Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12305 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10609-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 310/2023 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 23/10/2023 R.G.N. 21/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 10609/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 27/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Con ricorso proposto ai sensi dell’art.1, commi 48 e ss., della legge n.92/2012, NOME COGNOME impugnava il licenziamento per giusta causa a lei intimato dalla datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE con comunicazione del 26 marzo 2021 (e riguardante l’inadempimento all’ordine di iniziare alle ore 10.30 la prestazione lavorativa nella giornata di sabato e la conseguente assenza ingiustificata dal lavoro), sostenendone l’illegittimità e/o la nullità per ritorsività, e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della datrice di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, oltre a quella di 12 mensilità. Deduceva, altresì, la sussistenza di un’ipotesi di ‘ straining ‘ e chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento del conseguente danno alla salute.
Il Tribunale di Brescia, con sentenza n.1/2023, del 3 gennaio 2023, respingeva l’opposizione proposta dalla Zucchetti avverso l’ordinanza n.1808/2022, resa all’esito della fase sommaria, con la quale il Tribunale ha dichiarato improponibile la domanda risarcitoria per danni non patrimoniali da straining , esulando dallo specifico ambito delle pretese azionabili con lo speciale rito di cui all’art.1, comma 47, l.92 del 2012, e respinto nel merito l’impugnativa di licenziamento.
Con sentenza n. 310/2023 del 23/10/2023 la Corte d’appello di Brescia rigettava il reclamo proposto dalla lavoratrice avverso la suddetta pronuncia. La Corte territoriale ha premesso che era pacifica, oltre che documentalmente provata, la condotta contestata alla lavoratrice, consistita nell’essersi presentata al lavoro nel giorno del sabato alle 9.00, anziché alla 10.30, come viceversa disposto dal datore di lavoro e poi, una volta invitata a ripresentarsi all’orario corretto, nell’essersi allontanata senza far più rientro al lavoro per l’intera giornata, e che il licenziamento per giusta causa fosse stato intimato in relazione all’ultima di una serie di condotte del medesimo contenuto, tenute
continuativamente e sistematicamente dalla lavoratrice, tutte sanzionate disciplinarmente. La Corte territoriale, condividendo le valutazioni svolte in primo grado, premesso che in virtù del CCNL del terziario e della distribuzione del 2006 il datore di lavoro aveva previsto una riduzione dell’orario di lavoro della Zucchetti, senza variazione della retribuzione, da 30 a 28,5 ore settimanali, ha ritenuto che la lavoratrice, in difetto di prova in ordine ad accordi scritti, orali o per fatti concludenti, non vantasse un diritto alla collocazione della riduzione oraria alla fine della giornata del sabato e che, dunque, legittimamente la società la aveva collocata all’inizio della giornata del sabato con termine della prestazione alle ore 12,30 rispettando la fascia oraria (9-14) originariamente stabilita con l’ultimo accordo scritto del 2003. La Corte, inoltre, ha escluso che la condotta della società (che ‘ all’esito di apposite trattative intavolate con la ricorrente senza alcun risultato utile, ha ritenuto di accogliere soltanto in parte le richieste della RAGIONE_SOCIALE, concentrando la riduzione nella giornata di sabato, ma non alla fine del turno, bensì all’inizio dello stesso (pur rispettando la fascia oraria originariamente pattuita) ‘, fosse illegittima e che, pertanto, integrasse un inadempimento idoneo a giustificare la condotta tenuta dalla RAGIONE_SOCIALE. Riteneva, poi, che l’inadempimento della società datrice di lavoro, ove ritenuto sussistente, non fosse, in ogni caso, di gravità tale da legittimare, ex art. 1460 c.c., le plurime e reiterate condotte di insubordinazione e di assenza ingiustificata dal lavoro poste in essere dalla Zucchetti. Infine, confermava la valutazione di proporzionalità del licenziamento già svolta in primo grado.
Avverso tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 5, comma 1 e 2, e 6, comma 4, d.lgs.
81 del 2015, che, in relazione al contratto di lavoro a tempo parziale, impongono che le variazioni della collocazione temporale della prestazione lavorativa o della sua durata siano pattuite, e dunque frutto di un accordo, per iscritto, e la violazione dell’art. 2697 c.c. (inversione dell’onere della prova), con rilevanza dei vizi anche ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. per avere la Corte d’appello posto a carico della lavoratrice l’onere di provare l’esistenza di un accordo di rimodulazione dell’orario di lavoro che, invece, incombeva al datore di lavoro.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 violazione dell’art. 6, comma 8, d.lgs. n. 81 del 2015 e dell’art. 1460 c.c.. Lamenta che la Corte d’appello, stigmatizzando la condotta della ricorrente che – rifiutando l’imposizione datoriale – non ha inteso concedere la variazione dell’orario di lavoro ex adverso pretesa, ha violato l’art. 6, comma 8, citato che vieta di considerare giustificato motivo di licenziamento il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro e l’art. 1460 c.c. posto che era stato il datore di lavoro a rifiutare, per primo e senza giustificazione alcuna, l’effettuazione della prestazione lavorativa pacificamente offerta ogni giorno dalla Zucchetti dalle ore 9 come da accordo del 2003.
Con il terzo ed ultimo motivo, si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 e/o 4 e/o 5 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2 n. 4) c.p.c., 111 Cost. e 6 CEDU per esposizione di una motivazione meramente apparente e/o insanabilmente contraddittoria su un punto decisivo della controversia nella parte in cui la Corte d’appello di Brescia, pur avendo riconosciuto l’applicabilità alla fattispecie della disciplina di cui agli artt. 5 e 6 del D. Lgs. 15.06.2015 n. 81, non solo ha ignorato tali norme ma, anzi, le ha palesemente violate. La motivazione della sentenza impugnata, dunque, si risolve in un assunto insanabilmente contraddittorio tra la premessa dell’applicazione delle norme sopra citate e la conclusione di non applicarle affatto, anzi di contraddirle; il che
preclude la possibilità di comprendere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento in merito alla ritenuta spettanza dell’indennizzo.
In via pregiudiziale, deve evidenziarsi che nel controricorso la RAGIONE_SOCIALE ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per essersi formato un giudicato esterno sulle questioni oggetto del presente ricorso. A supporto di tale affermazione ha allegato la sentenza del Tribunale di Brescia n. 373 del 13.11.2023 (resa tra le stesse parti oggi in causa), pubblicata il 13 novembre 2023 e notificata in data 8 gennaio 2024 ( doc. N) e munita della certificazione di cancelleria di sua non avvenuta impugnazione (doc. O). La controricorrente ha evidenziato che con la suddetta sentenza è stato accertato, con valore di giudicato: l’insussistenza del diritto della Zucchetti di iniziare la propria giornata lavorativa il sabato alle ore 9 e di concluderla alle ore 12,30; la legittimità della determinazione aziendale dell’orario di lavoro per la giornata del sabato dalle ore 10,30 alle 14, alla luce dei tentativi di pervenire ad una definizione concordata, delle comprovate esigenze organizzative del punto vendita, e dell’assenza di ragioni fornite in senso contrario dalla lavoratrice; l’inidoneità della condotta del datore di lavoro ad integrare un inadempimento di gravità tale da legittimare il comportamento della ricorrente.
L’eccezione di giudicato esterno è inammissibile per difetto di autosufficienza. Nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità, riprodurre nel ricorso o (come nel caso di specie nel controricorso) il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Cass. n. 15737/2017, Rv. 644674-01; Cass. n. 13988/2018, Rv. 649163-01; Cass. n. 17310/2020, Rv. 658895-01; Cass. n. 25700/2024, Rv. 672456-01). Nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE si è
limitata a evocare per relationem il contenuto della sentenza e ad allegarla al controricorso, senza quindi procedere alla relativa trascrizione, come prescritto.
Passando, dunque, all’esame del ricorso esso non è meritevole di accoglimento.
I primi due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati e sono inammissibili. Costante orientamento di questa Corte ha precisato che quando la sentenza di merito impugnata si fonda su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente censuri tutte le rationes ; l’omessa impugnazione di una di essere rende, dunque, inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle altre, le quali, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. n. 5102/2024, Rv. 670188-01; Cass., 18/06/2023, n. 18403; Cass., 27/07/2017, n. 18641; Cass., 14/02/2012, n. 2108; Cass., 03/11/2011, n. 22753). Nel caso di specie la sentenza impugnata si fonda sia sul rilievo della legittimità della condotta datoriale e, conseguentemente, dell’insussistenza dell’inadempimento, sia sulla autonoma ratio decidendi rappresentata dalla considerazione che, ove anche configurabile un inadempimento datoriale in punto di determinazione dell’orario di lavoro, la sua limitata rilevanza non consentiva di ricondurre la condotta della lavoratrice all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.p.c. In sentenza (pag. 29, primo cpv) si legge, infatti, ‘ Se pure la società avesse erroneamente e infondatamente collocato la riduzione dell’orario di lavoro in una fascia oraria contraria agli accordi raggiunti dalle parti o alla legge, così ponendo in essere un inadempimento, è indubbio che si sarebbe trattato di un inadempimento soltanto parziale e limitato ad una variazione di orario assai contenuta e di scarso rilievo nell’economia
complessiva del rapporto di lavoro (1 ora e 30 minuti nella sola giornata del sabato), non idoneo a giustificare le plurime e reiterate condotte di insubordinazione e di assenza ingiustificata dal lavoro poste in essere dalla lavoratrice ‘. Tale ratio non risulta utilmente attinta da censura da parte della Zucchetti con conseguente sua definitività ed inammissibilità per carenza di interesse delle censure svolte che si appuntano esclusivamente contro la prima delle due r ationes .
8. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 22232/2016; Cass. 8053/2014) ha invero affermato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture». Devesi invero ribadire che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. (Cass. n. 22598/2018, Rv. 650880 – 01). Il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste, dunque, solo
quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. sez. lav. n. 3819 del 14/02/2020, Rv. 656925-02).
8.1. Nel caso di specie non può dirsi in alcun modo sussistente la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c. atteso che l’iter logico seguito è del tutto percepibile, né le affermazioni motivazionali presentano profili di contraddittorietà che possano far ipotizzare per tale via un difetto di motivazione rilevante ex art. 132 n 4 c.p.c.. L’ampia ed articolata motivazione dà conto del fondamento della decisione costituito dal rilievo che, in carenza di prova in ordine ad accordi scritti, orali o per fatti concludenti, la lavoratrice non vantasse un diritto alla collocazione della riduzione oraria alla fine della giornata del sabato e che, dunque, la condotta della datrice di lavoro che la aveva collocata all’inizio della giornata del sabato con termine della prestazione alle ore 12,30 rispettando la fascia oraria (9-14) originariamente stabilita con l’ultimo accordo scritto del 2003 fosse legittima, dovendo escludersi che integrasse un inadempimento idoneo a giustificare la condotta tenuta dalla COGNOME. La Corte ha, inoltre, evidenziato che la RAGIONE_SOCIALE aveva dapprima intavolato una trattativa al fine di stabilire consensualmente l’orario di lavoro in conseguenza della riduzione operata dal CCNL e che, essendo questa rimasta senza esito, ‘ nell’esercizio del potere organizzativo e di conformazione della prestazione lavorativa che compete al datore di lavoro’ aveva stabilito l’orario con una decisione ‘non pretestuosa’ ma ‘derivata da precise esigenze organizzative, collegate all’operatività del punto vendita ove lavorava la COGNOME posto che ‘quest’ultima, non potendo occuparsi delle operazioni di rifornimento degli scaffali, ma dovendo essere adibita unicamente o in via prevalente alle mansioni di cassiera, avrebbe potuto essere impiegata più proficuamente
nello svolgimento di queste mansioni nell’orario di maggior affluenza della clientela al punto vendita, orario che nella giornata di sabato, come intuibile e anche notorio, si concentrava nella seconda parte della mattinata ‘.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente COGNOME NOME al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 27 marzo 2025.
LA PRESIDENTE
NOME COGNOME