Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21123 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19028-2021 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 684/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/05/2021 R.G.N. 238/2021;
Oggetto
Licenziamento disciplinare Rapporto privato
R.G.N.19028/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Milano ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto (in sede di opposizione, a sua volta con conferma dell’ordinanza di rigetto resa in esito alla fase sommaria ai sens i dell’art. 1, commi 48 ss., legge n. 92/2012) dell’impugnativa del licenziamento irrogatogli dalla società RAGIONE_SOCIALE (di cui era dipendente dal 1999, dal 2008 inquadrato nel I livello CCNL Terziario con mansioni di vice-direttore di punto vendita in Milano) con lettera del 19.9.2019, a seguito di procedimento disciplinare iniziato con contestazione del 2.9.2019, riferita a episodi di aver favorito acquisti di merce in promozione in favore di cd. accaparratori, in contrasto con le disposizioni aziendali, an che quanto all’utilizzo di ticket per il pagamento;
per la cassazione della predetta sentenza ricorre NOME COGNOME con due motivi; resiste la società con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970, nonché dell’art. 48, commi 14, 15, 16 del CCNL Terziario Distribuzione ed erronea qualificazione delle circolari aziendali; lamenta che erroneamente le circolari su cui si basano le contestazioni sono state qualificate riconducibili a situazioni di violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di
lavoro, ed esterne all’obbligo di pubblicità del codice disciplinare, mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti o quantomeno allegato al primo cedolino paga utile, nonché omessa pronuncia circa la nullità di circolare non firmata;
2. il motivo non è fondato;
con motivazione condivisibile e conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la Corte territoriale ha ritenuto provata la conoscenza o, comunque, la conoscibilità delle procedure che il datore di lavoro ha contestato come violate, collegata (confermando le motivazioni dei gradi precedenti di giudizio) a qualifica e livello di inquadramento, e al dovere di vice-direttore di punto vendita di prendere conoscenza delle procedure aziendali;
la Corte di merito ha accertato che vi erano delle specifiche procedure da seguire, la cui inosservanza, finalizzata al soddisfacimento di interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro, configurava una grave violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà; il giudizio della Corte circa l’irrilevanza dell’affissione di un codice disciplinare è pertanto congruo e motivato e si pone in linea con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro (Cass. n. 6893/2018, n. 24392/2014, n. 20270/2009);
con il secondo motivo, parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2119 c.c., 18 legge n. 300/1970, comma 4, così come modificato dalla legge n. 92/2012; sostiene l’assenza
di prova della contestata collusione, e quindi l’insussistenza del fatto contestato, e comunque il difetto di proporzionalità della sanzione;
il motivo non è meritevole di accoglimento;
esso risulta, in primo luogo, inammissibile nella misura in cui, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019), per di più in situazione di doppia conforme;
invero, in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia; tali vizi della sentenza impugnata non sono riscontrabili nel caso in esame, avendo la Corte territoriale dato ampiamente conto della ricostruzione in fatto operata in base alle prove raccolte, traendone conseguenze conformi a diritto;
in generale, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e
valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.; questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale; dunque, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 7029/2023, n. 26043/2023, n. 107/2024, n. 5596/2024);
10. né la tolleranza, da parte del datore di lavoro, di precedenti mancanze – dello stesso o di altro lavoratore – implica acquiescenza preclusiva della possibilità di un licenziamento per un’eguale infrazione successiva, atteso anche il presumibile progressivo abbassamento del limite entro il quale il datore di lavoro può essere indotto a tollerare la ripetizione di condotte
antigiuridiche dei propri dipendenti, le quali lo legittimerebbero a recedere dal contratto, e tenuto conto altresì che la mancata reazione alle prime infrazioni può essere giustificata, nel caso in cui l’azienda abbia una struttura organizzativa complessa, dalla diversità di competenze degli organi e uffici preposti all’accertamento e alla valutazione delle varie mancanze (Cass. n. 1505/1995);
in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 22 maggio 2024.