Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5907 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5907 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17162-2023 proposto da:
COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 17162/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 15/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 453/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 26/06/2023 R.G.N. 131/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale di Pisa, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato da RAGIONE_SOCIALE, con lettera dell’1.8.2018, a NOME COGNOME per cessione abusiva di merce aziendale e infedeltà nella compilazione dei rendiconti relativi alle trasferte effettuate.
La Corte di appello, ha, in sintesi, osservato, che -sulla base del quadro probatorio acquisito -poteva ritenersi raggiunta la prova sia della vendita sottobanco di merce aziendale (otto pallets ) in data 23.7.2018 (con conseguente lesione grave della fiducia riposta nel dipendente, avente mansione di venditore) sia della disinvoltura nel rendicontare l’attività svolta durante le trasferte di alcuni giorni (viste le annotazioni, nei reports, di visite ad aziende-clienti in realtà non effettuate); escl usa l’equiparazione di tali condotte alle fattispecie (più lievi) punite con sanzioni conservative dal CCNL applicato (Legno ed Industria), i giudici del merito hanno ritenuto legittimo il licenziamento intimato dalla società e condannato il lavoratore a ripetere le somme riscosse a seguito della sentenza (riformata) del giudice di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso affidato a due motivi (a loro volta complessivamente articolati in cinque sottomotivi), illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso principale (suddiviso in due sottomotivi) si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 2119, 2697 c.c., 5 della legge n. 604 del 1966, 18 della legge n. 300 del 1970, 115 e 116 c.p.c., per inversione dell’onere probatorio e per erronea valutazione delle prove legali; la Corte territoriale ha ritenuto legittimo il licenziamento in assenza di qualsivoglia elemento decisivo e/determinante ma sulla base di mere supposizioni (peraltro tutte inverosimili), dovendosi, invece, affermare che non è stata raccolta alcuna prova dell’asserita cessione abusiva della merce aziendale; inoltre, non sono stati considerati tutti gli aspetti concreti della fattispecie, ossia il modesto valore dei pallets oggetto di contestazione, la brillante carriera professionale del dipendente, la comunicazione (immediatamente successiva al trasporto) del prelevamento per esigenze personali che senz’altro poss ono far ricondurre la condotta tra le fattispecie punite dal CCNL con sanzione conservativa, con conseguente sproporzione della sanzione rispetto ai fatti contestati.
Con il secondo motivo di ricorso (suddiviso in tre sottomotivi) si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo, la Corte territoriale palesemente omesso di analizzare il contenuto della contestazione disciplinare del 26.7.2018 che attribuiva maggiore valenza alla posizione del lavoratore (contestando, il datore di lavoro, la dichiarazione rilasciata dal lavoratore circa
il prelevamento dei pallets per uso personale); i giudici del merito hanno, altresì, omesso di valutare le circostanze (dell’uso personale dei pallets ) come emerse dalle giustificazioni (in sede disciplinare) del lavoratore e dalla deposizione del teste COGNOME, nonché hanno reso una motivazione incomprensibile in ordine alla mancata visita, durante la trasferta del 26.4.2018, alla società RAGIONE_SOCIALE
Con ricorso incidentale condizionato, la società controricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. avendo, la Corte territoriale, erroneamente valutato le condotte tenute dal lavoratore durante le trasferte, condotte che integrano, di per sé sole, un grave inadempimento.
Il ricorso principale è inammissibile.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità
5.1. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del
2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
5.2. Ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
Le censure proposte con il paradigma del n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. sono inammissibili in quanto non individuano un errore di diritto (ossia un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge) ma, piuttosto, involgono apprezzamenti di merito in ordine alla sussistenza della condotta addebitata nella fattispecie concreta, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte.
Si censura, con modalità inammissibili, anche il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, che, secondo un costante insegnamento (da ultimo, v. Cass. n. 36427 del 2023, Cass. n. 6468 del 2024), è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); difatti, la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno
dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione sul punto della sentenza impugnata manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).
8. Difetta, pertanto, con riguardo alle censure veicolate tramite il paradigma legale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., il presupposto del fatto storico dimostrato in giudizio, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e che se valutato avrebbe determinato un diverso esito della lite, risolvendosi la esposizione del motivo nell’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito delle risultanze istruttorie, preclusa dai limiti dell’oggetto del giudizio di legittimità, circoscritto al solo controllo di legalità del provvedimento impugnato che -come detto – è privo dei caratteri propri di un terzo grado di giudizio diretto al riesame del compendio
probatorio in funzione di un nuovo accertamento in fatto della fattispecie controversa.
Con riguardo, infine, alla errata interpretazione, da parte della Corte territoriale, della lettera di contestazione disciplinare (censura che sottintende una contestazione di violazione del criterio di immutabilità del fatto addebitato), si tratta di questione che non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata e il ricorrente non indica in quale atto difensivo e in quale momento processuale la questione sarebbe stata introdotta, le ragioni del suo rigetto ed i motivi con i quali è stata riproposta al giudice del gravame, con ciò violando gli oneri di specificità dei motivi del ricorso per cassazione dettati dall’art. 366 c.p.c., primo comma, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. nn. 23073/2015, 23675/2013); anche questa censura è, pertanto, inammissibile.
In conclusione, il ricorso principale è inammissibile; il ricorso incidentale, in quanto condizionato, è assorbito. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 gennaio