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Licenziamento disciplinare: quando il dolo è generico

La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento disciplinare di un dipendente di una società di servizi finanziari per aver violato ripetutamente le procedure interne. La Corte ha stabilito che la reiterazione consapevole delle violazioni, come l’omissione dell’uso di codici di sicurezza, integra il ‘dolo generico’, sufficiente a rompere il vincolo fiduciario e a giustificare il licenziamento per giusta causa, anche in assenza di un provato intento di arrecare un danno economico specifico all’azienda.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Disciplinare: La Violazione Ripetuta delle Regole Basta a Provare il Dolo?

Il licenziamento disciplinare rappresenta la sanzione più grave nel rapporto di lavoro e richiede una violazione di tale gravità da compromettere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, chiarendo quando la sistematica violazione delle procedure aziendali sia sufficiente a dimostrare l’intento doloso del dipendente, giustificando così il recesso per giusta causa. Analizziamo la vicenda e le importanti conclusioni dei giudici.

Il Caso: Operazioni Sospette e Violazioni Procedurali

I fatti riguardano un operatore di sportello di un’importante società di servizi finanziari, licenziato a seguito di una complessa indagine interna. Al lavoratore è stato contestato di aver eseguito diverse operazioni irregolari, tra cui la riscossione di buoni fruttiferi postali e l’attivazione di una carta prepagata, omettendo sistematicamente l’utilizzo del ‘gestore code’, un codice di sicurezza previsto dalle procedure interne.

Queste operazioni, inoltre, si inserivano in un contesto più ampio di attività sospette che avevano già portato al licenziamento di un’altra collega e a denunce all’autorità giudiziaria. In sintesi, l’azienda accusava il dipendente di aver deliberatamente aggirato le norme di sicurezza per compiere operazioni di dubbia legittimità.

La Difesa del Lavoratore: Negligenza o Scelta Deliberata?

Il lavoratore si è difeso sostenendo che le sue mancanze non derivassero da un intento fraudolento, ma da una condizione di sovraccarico di lavoro e dalla prassi “elastica” dell’ufficio. A suo dire, si sarebbe trattato di semplice negligenza o inosservanza, meritevole al massimo di una sanzione conservativa (come una multa o una sospensione), e non di un licenziamento disciplinare. Ha quindi contestato la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo, affermando di non aver agito con la volontà di violare le regole per scopi illeciti.

La Decisione della Cassazione sul licenziamento disciplinare

La Corte di Cassazione, confermando le sentenze dei giudici di primo e secondo grado, ha rigettato il ricorso del lavoratore. La decisione si fonda su un’analisi approfondita dell’elemento psicologico richiesto per la giusta causa di licenziamento in casi come questo.

Il Concetto di Dolo Generico

I giudici hanno chiarito che, per la validità del licenziamento, non era necessario dimostrare un ‘dolo specifico’, ovvero l’intenzione di trarre un profitto personale o di danneggiare l’azienda. Era invece sufficiente il cosiddetto ‘dolo generico’. Quest’ultimo consiste nella piena consapevolezza e volontà di compiere un’azione che si sa essere contraria ai propri doveri d’ufficio e alle normative interne.

Secondo la Corte, la “reiterazione delle condotte illecite appare sintomo di un comportamento del tutto intenzionale”. La violazione sistematica delle procedure non poteva essere liquidata come semplice disattenzione, ma esprimeva una scelta cosciente e volontaria, incompatibile con la nozione di colpa (negligenza, imperizia).

La Rottura del Vincolo Fiduciario

Di conseguenza, la condotta del dipendente è stata ritenuta di gravità tale da ledere in modo insanabile il vincolo fiduciario. La pluralità dei comportamenti illegittimi e l’assenza di giustificazioni verosimili hanno dimostrato, con “ragionevole certezza”, la volontarietà delle azioni. Tale comportamento, secondo la Corte, ha reso impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro, legittimando pienamente il licenziamento disciplinare per giusta causa.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente, sottolineando come i giudici di merito avessero ampiamente e correttamente valutato l’elemento psicologico. La sentenza impugnata aveva diffusamente argomentato che il lavoratore aveva “sistematicamente violato le procedure aziendali” e che tale condotta era “sintomo di un comportamento del tutto intenzionale”. La volontarietà era evidente dalla consapevolezza che le operazioni, compiute violando i doveri d’ufficio, avrebbero minato la fiducia necessaria per il futuro adempimento della prestazione. La Corte ha specificato che la gravità, la pluralità e la mancanza di giustificazioni dei comportamenti escludevano la possibilità di classificarli come mera disattenzione o negligenza, elementi che caratterizzano la colpa e che avrebbero portato a sanzioni conservative. Inoltre, i motivi di ricorso relativi all’omesso esame di prove testimoniali sono stati dichiarati inammissibili in base al principio della “doppia conforme”, essendo le decisioni di primo e secondo grado fondate sul medesimo iter logico-argomentativo.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro: la violazione ripetuta e consapevole delle procedure aziendali, specialmente in settori sensibili come quello finanziario, può integrare il dolo generico sufficiente a giustificare un licenziamento per giusta causa. Per i lavoratori, ciò rappresenta un monito sull’importanza di aderire scrupolosamente alle normative interne, poiché la loro sistematica inosservanza difficilmente potrà essere giustificata come semplice negligenza. Per i datori di lavoro, la sentenza conferma che è possibile procedere con la massima sanzione espulsiva quando la condotta del dipendente, per le sue modalità, dimostra una chiara volontà di contravvenire ai propri doveri, minando alla base il rapporto di fiducia.

Per un licenziamento disciplinare è sempre necessario dimostrare che il dipendente voleva danneggiare l’azienda o trarne profitto?
No, la sentenza chiarisce che non è necessario provare un dolo specifico (intento di nuocere o di profitto). È sufficiente il ‘dolo generico’, ovvero la coscienza e volontà di compiere un atto sapendo che viola le norme e i doveri contrattuali.

Cosa si intende per ‘dolo generico’ in un licenziamento per giusta causa?
Per ‘dolo generico’ si intende la consapevolezza del lavoratore che le operazioni che stava compiendo violavano i suoi doveri d’ufficio. In questo caso, la violazione ripetuta e sistematica delle procedure di sicurezza è stata considerata prova sufficiente di tale consapevolezza e volontarietà.

La violazione ripetuta di una procedura aziendale può da sola giustificare un licenziamento?
Sì, secondo questa ordinanza, la reiterazione di condotte illecite, come la sistematica omissione di un codice di sicurezza, è un forte sintomo di un comportamento intenzionale. Se tale condotta è grave e incompatibile con la fiducia richiesta dal rapporto di lavoro, può costituire giusta causa di licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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