Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14762 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14762 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14215-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 189/2023 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 28/04/2023 R.G.N. 16/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N. 14215/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 22/01/2025
CC
del 22/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’Appello di Ancona accoglieva in parte il reclamo proposto da COGNOME Nicola contro la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 315/2022, che aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva respinto la sua impugnativa del licenziamento disciplinare per giusta causa intimatogli con lettera del 10.11.2017 dalla Banca Popolare di Spoleto s.p.a., poi Banca di Desio e della RAGIONE_SOCIALE la Corte, invece, dichiarava illegittimo detto licenziamento e, ai sensi dell’art. 18, quinto comma, l. n. 300/1970, dichiarava risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti e condannava la Banca reclamata al pagamento in favore del Tempesta di un’indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione del credito al saldo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che, con nota in data 4.10.2017, la Banca Popolare di Spoleto aveva in sintesi contestato al Tempesta: 1) di aver fatto dichiarazioni infedeli con riguardo al chilometraggio di tre trasferte avvenute il 19.7.2017, il 20.7.2017 e il 21.07.2017; 2) di aver tenuto un atteggiamento dolosamente reticente nel comunicare alla Banca il proprio domicilio in Civitanova Marche (facendo risultare di essere domiciliato presso la sua residenza anagrafica in Ancona), in tal modo percependo somme maggiori rispetto al dovuto a titolo di ‘concorso spese’.
La Corte territoriale, facendo riferimento al giorno 7.9.2017, data della relazione dell’agenzia investigativa incaricata dalla banca, riteneva che la contestazione disciplinare del 4.10.2017, a distanza di poche settimane da quella relazione, era stata effettuata in tempi non irragionevoli e comunque giustificati, così respingendo il primo motivo di reclamo, con il quale il lavoratore aveva riproposto l’eccezione di violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare.
Respingeva, altresì, la censura del lavoratore, circa l’inutilizzabilità degli accertamenti eseguiti dall’agenzia di investigazione incaricata dalla datrice di lavoro; nonché l’eccezione di intervenuta rinuncia da parte della banca a perseguire disciplinarmente l’infrazione afferente il ‘concorso spese’.
Riteneva, invece, la Corte che la situazione di fatto delineata all’esito dell’istruttoria svolta nella fase sommaria ed emergente dalla documentazione in atti, aveva ad oggetto soltanto episodi circoscritti (a fronte di un percorso lavorativo ultradecennale nel quale il dipendente aveva svolto l’attività lavorativa senza rilievi), concentrati in un lasso di tempo delimitato e privo di comprovata potenzialità lesiva.
5.1. Pertanto, difformemente da quanto statuito dal primo giudice nella sentenza impugnata, la Corte concludeva che sussisteva una evidente ed inammissibile sproporzione tra l’infrazione contestata e la massima sanzione espulsiva applicata, e che al lavoratore spettasse la tutela di cui all’art. 18, quinto comma, l. n. 300/1970.
Avverso tale decisione NOME ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi e successiva memoria.
La Banca di Desio e della Brianza s.p.aRAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di tre motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, con riferimento all’addebito relativo al ‘concorso spese’, denuncia ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.’. Lamenta, in sintesi, che Corte d’appello avrebbe trascurato la comunicazione del 26.11.2014, da parte del lavoratore, del cambio di domicilio da Ancona a Civitanova Marche; e deduce che la Corte d’appello, se avesse esaminato tale comunicazione, certamente non avrebbe dato decisiva rilevanza -ai fini della sussistenza del fatto addebitato -alla contraria, opposta, logicamente confliggente ed inesistente circostanza dell”atteggiamento dolosamente reticente’ sul punto.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione art. 112 c.p.c. di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4) c.p.c.’. Deduce che la Corte di merito, .
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e disapplicazione degli artt. 2119 c.c. e 7, 18 comma IV L. n. 300/1970 in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3) c.p.c. Disapplicazione del principio di tempestività della contestazione’.
Con un quarto motivo denuncia ‘violazione degli artt. 2, 3, 4 L. 300/70 in correlazione agli articoli 11, 12, art. 8 allegato 6/A D.Lgs. 196/2003 (‘Codice privacy’), D.M. 2.11.2008 e art. 8 Delibera Garante Protezione dati personali n. 60 del 6.11.2008. Violazione dell’art. 8 C.E.D.U e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 1 comma n. 4) c.p.c.’.
Con un quinto motivo denuncia ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. ‘Motivazione contraddittoria e intimamente illogica sul capo della determinazione dell’indennità risarcitoria’. Si duole in sintesi che ‘gli stessi elementi della durata della percezione del concorso spese, della reale intenzione del lavoratore e della sua qualità e posizione lavorativa, sono stati valutati contemporaneamente come circostanze scriminanti, a fini di escludere la proporzionalità della massima sanzione, e, in modo opposto come circostanze punitive e aggravanti, ai
fini di limitare a 12 le mensilità risarcitorie’.
Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale la Banca di Desio e della Brianza s.p.a. denuncia ‘Violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 2119 c.c. 2104, 2106 c.c., dell’art. 18 L. 300 del 1970 e dell’art. 44 del CCNL Credito nella parte in cui la sentenza ha escluso la sussistenza della giusta causa sul presupposto della pretesa mancata quanto irreversibile compromissione del vincolo fiduciario per l’asserita esiguità del danno derivante dalla condotta illegittim a e per l’assenza di precedenti disciplinari’.
Con il secondo motivo del reclamo incidentale la stessa denuncia ‘Violazione dell’art. 132 c.p.c. ex art. 360, 1° comma n° 4, c.p.c. motivazione apparente, illogica e perplessa mercé l’utilizzo di un fatto solo pretesamente rilevante ossia: la tenuità del danno’.
Con il terzo motivo dello stesso reclamo incidentale si denuncia: ‘motivazione inconsistente, al punto da non poter assurgere a tale funzione, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la sentenza, dopo aver affermato che controparte ha posto in essere una condotta ‘dolosamente reticente’ consistente nel non avvertire l’azienda dell’errore in cui era incorsa nel non aggiornare il domicilio del dipendente all’interno del data base con conseguente erroneo pagamento del concorso spese, ha poi affermato che la condotta aziendale consistente nel pagare nel tempo il concorso spese avrebbe ingenerato nel ricorrente l’affidamento della correttezza del percepimento del concorso spese’.
I primi due motivi del ricorso principale, esaminabili
congiuntamente per evidente connessione, sono infondati.
10. Come già accennato in narrativa, la Corte di merito, in relazione al secondo addebito circa il c.d. ‘concorso spese’, ha ritenuto contestato al lavoratore di ‘ aver tenuto un atteggiamento reticente nel comunicare alla Banca il suo effettivo domicilio in Civitanova Marche (essendo anagraficamente residente ad Ancona), percependo così importi maggiori rispetto al dovuto …’ (così a pag. 2). Nel riferire più in dettaglio il contenuto delle contestazioni disciplinari di cui alla nota in data 4/10/2017, ha riportato che, sempre circa il ‘concorso spese’, era stato addebitato al lavoratore (così alla successiva pag. 3).
Anche nella sua successiva disamina del caso a riguardo, la Corte ha fatto costantemente riferimento a (così a pag. 7), a una , ritenuto essere un ‘atteggiamento dolosamente reticente’ (così a pag. 8), a un ‘atteggiamento reticente tenuto’ (a pag. 9) e a ‘una marcata e reiterata intenzi onalità
nell’atteggiamento reticente’ (a pag. 10).
In definitiva, è indiscutibile che nell’intero excursus dei motivi di reclamo esaminati la Corte abbia ritenuto contestato dalla datrice di lavoro e provato in giudizio anche e soprattutto il descritto ‘atteggiamento dolosamente reticente’ del lavoratore, aspetto considerato e comunque valorizzato nell’impugnata sentenza più della stessa indebita percezione di importi a titolo di ‘concorso spese’.
In questa prospettiva, è evidente che nell’iter decisionale della Corte d’appello l a circostanza -ammessa anche in questa sede di legittimità dalla controricorrente incidentale (cfr. pagg. 42-43 del controricorso) – che in data 26 novembre 2014 il Tempesta aveva comunicato il cambio di residenza, è del tutto irrilevante alla luce dell’ulteriore incontestata circostanza -cui la Corte ha data rilievo disciplinare -dall’approfittamento da parte del Tempesta dell’errore in cui era incorsa la Banca la quale, nonostante tale comunicazione (e per un omesso aggiornamento del nuovo domicilio nel data base), aveva continuato a corrispondere il rimborso spese.
Il ricorrente anzitutto non ha censurato l’interpretazione della nota di contestazione disciplinare fornita dalla Corte in parte qua (il che, in questa sede di legittimità, doveva essere fatto valere denunciando, per il tramite dell’art. 1324 c.c., la violazione dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.).
12.1. Nota, comunque, il Collegio che il ricorrente, in realtà, non ha trascritto nella sua interezza la lettera di
contestazione disciplinare, e non considera, quindi, che proprio dal testo della nota in questione risulta che la datrice di lavoro, dopo ulteriori considerazioni, aveva concluso che: ‘Nonostante le evidenze sopra descritte, Lei ha nel tempo percepito le somme indebitamente corrisposte, senza segnalare alcunché all’Azienda’; aspetto, quest’ultimo, che rimanda appunto alla reticenza ritenuta dalla Corte di merito.
Pertanto, è privo di fondamento il primo motivo del ricorso principale, non sussistendo tutti i presupposti del vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., ma dev’essere disatteso anche il secondo motivo, non ricorrendo alcuna extrapetizione nelle valutazioni espresse dalla Corte d’appello segnatamente circa il significato annesso al contenuto degli addebiti mossi al lavoratore.
Anche il terzo motivo del ricorso principale, circa la tardività della contestazione disciplinare, è privo di fondamento.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. n. 19115 del 2013; n. 15649 del 2010; n. 19424 del 2005; n. 11100 del 2006) e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l’esigenza di una articolata organizzazione aziendale (Cass. n. 14726 del 2024; n. 1248 del 2016; n. 281 del 2016; n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007), restando comunque riservata al giudice
del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (Cass. n. 23346 del 2018; n. 16841 del 2018; n. 281 del 2016; n. 20719 del 2013, n. 19115 del 2013).
15 .1. Su quest’ultimo aspetto si è puntualizzato che compete al giudice di merito verificare in concreto quando un potenziale illecito disciplinare sia stato scoperto nei suoi connotati sufficienti a consentire la contestazione, mentre costituisce questione di diritto, sindacabile in sede di legittimità, determinare se l’arco temporale intercorso tra la scoperta dell’illecito disciplinare e la sua contestazione dia luogo, o meno, a violazione del diritto di difesa del lavoratore (v. Cass. n. 23346 del 2018). Sotto altro profilo, si è aggiunto che il ritardo della contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore, tenendo anche conto che la ponderata e responsabile valutazione dei fatti da parte del datore di lavoro può e deve precedere la contestazione anche nell’interesse del prestatore di lavoro, che altrimenti sarebbe esposto ad incolpazioni non adeguatamente meditare o comunque non sorrette da un sufficiente approfondimento (v. Cass. n. 109 del 2024).
Tutti tali principi di diritto sono stati, da ultimo, ribaditi anche in Cass. n. 22617/2024.
Rileva allora il Collegio che la Corte di merito, facendo appunto riferimento al suddetto indirizzo giurisprudenziale, con estesa motivazione, ha concluso che nella specie fosse stato rispettato il principio di immediatezza della contestazione disciplinare (v. in extenso § 1. alle pagg. 4-5 della sua
motivazione).
Per contro, il ricorrente, anche nello svolgimento della censura in esame (cfr. pagg. 21-23 del suo ricorso), prende in considerazione solo una quota di tale parte motiva e altro passaggio motivazionale non direttamente riferito a detta questione (a pag. 8 dell’impugnata sentenza).
Nota, del resto, il Collegio che il terzo motivo è limitato all’addebito del ‘concorso spese’, e che il ricorrente torna a sostenervi che dalla contestazione disciplinare risultava che già dal 26.11.2014 il Tempesta aveva comunicato il cambio di domicilio in Civitanova Marche, coincidente con la sede di lavoro; circostanza che, a detta del ricorrente, avrebbe dato luogo all’indebita percezione della somma ‘concorso spese’.
Tale assunti, però, anzitutto non sono appunto riferibili al primo addebito relativo ai fatti dei tre giorni di luglio 2017 circa le infedeli dichiarazioni del dipendente con riguardo al chilometraggio delle trasferte di quei giorni.
Inoltre, anche con riferimento alla seconda parte della contestazione disciplinare, da un lato, è evidente che la comunicazione del 26.11.2014 non era di per sé produttiva dell’indebita percezione del ‘concorso spese’, dall’altro lato, la deduzione del ricorrente torna a non essere aderente ai termini della contestazione disciplinare che, per come riferita dallo stesso ricorrente, in parte qua partiva da luglio 2015 (v. pag. 5 del ricorso), come peraltro considerato dalla Corte d’appello (cfr. pag. 3 della sua sentenza).
Parimenti infondato è il quarto motivo del ricorso
principale.
21. Difatti, nella giurisprudenza di questa Corte, fermo restando che il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’inadempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza (tra le recenti, v. Cass. n. 17004 del 2024; in precedenza Cass. n. 9167 del 2003; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 21621 del 2018; Cass. n. 25287 del 2022), si afferma reiteratamente che il controllo delle agenzie investigative può avere ad oggetto il compimento di ‘atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale’ (così ancora Cass. n. 9167 del 2023, che cita la giurisprudenza precedente); ad esempio, è stato costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad ogget to l’adempimento della prestazione lavorativa ma sia ‘finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente’, come nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’abusivo utilizzo dei permessi ex lege n. 104/1992 (v. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019; da ultimo Cass. n. 6468 del 2024). E’ stato anche precisato (Cass. n. 20440 del 2015) che – ribadito come i divieti contenuti nello Statuto dei lavoratori non riguardino ‘comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale’ ovvero ‘intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività
lavorativa nonché illeciti’ (comportamenti, questi ultimi, che possono essere controllati ‘anche mediante agenzie investigative private’) -‘ciò tanto più vale quando il lavoro dev’essere eseguito, (…) al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui è facile la lesione dell’interesse all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell’immagine dell’impresa, all’insaputa dell’imprenditore’. In ogni caso, si è statuito che ‘l’accertamento circa la riferibilità (o meno) del controllo investigati vo allo svolgimento dell’attività lavorativa rappresenta una indagine che compete al giudice del merito, involgendo inevitabilmente apprezzamenti di fatto’ (in termini, da ultimo: Cass. n. 22051 e n. 27610 del 2024).
21 .1. Per altro verso si giustifica l’intervento in questione ‘per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione’ (v. Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017).
21.2. Come noto, più recentemente, questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione di rilievo nomofilattico circa la compatibilità dei c.d. ‘controlli difensivi’ con la modifica dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori recata dall’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015 e successive integrazioni, ha affermato (cfr. Cass. n. 25732 del 2021; successiva conf. Cass. n. 34092 del 2021) i seguenti principi: occorre distinguere, anche per comodità di sintesi verbale, ‘tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. 4 novellato in
tutti i suoi aspetti e ‘controlli difensivi’ in senso stretto, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili -in base a concreti indizi -a singoli dipendenti, anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro’; questi ultimi ‘controlli’, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore’, si situano, ancora oggi, ‘all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4’; per non avere ad oggetto una ‘attività in senso tecnico -del lavoratore’, il controllo ‘difensivo in senso stretto’ deve essere ‘mirato’ ed ‘attuato ex post ‘, ossia ‘a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto’, perché solo a partire ‘da quel momento’ il datore può provvedere alla raccolta di informazioni utilizzabili; anche ‘in presenza di un sospetto di attività illecita’, occorrerà ‘nell’osservanza della disciplina a tutela della riservatezza del lavoratore, e segnatamente dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, ‘assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto’.
Ancor più di recente (v. Cass. n. 18168 del 2023), ribaditi i richiamati principi, è stato anche stabilito che se incombe sul datore di lavoro l’onere di allegare prima e provare poi le specifiche circostanze che lo hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post , tuttavia, una volta ‘consegnati al contraddittorio gli elementi che la parte datoriale adduce a fondamento dell’iniziativa di controllo tecnologico, spetterà al
giudice valutare, mediante l’apprezzamento delle circostanze del caso, se gli stessi fossero indizi, materiali e riconoscibili, non espressione di un puro convincimento soggettivo, idonei a concretare il fondato sospetto della commissione di comportamenti illeciti’.
Da ultimo, il panorama della giurisprudenza di legittimità in subjecta materia è stato riepilogato come sopra nella motivazione di Cass., sez. lav., ord. 21.11.2024, n. 30079 (v. anche Cass., sez. lav., ord. 3.6.2024, n. 15391).
Ebbene, la sentenza impugnata in parte qua risulta conforme a tutti tali principi.
23.1. Le pur estese considerazioni giuridiche svolte dal ricorrente, infatti, non sono aderenti alla fattispecie concreta, come accertata dalla Corte di merito, anche in ordine al mandato che era stato conferito all’agenzia investigativa.
23.2. In particolare, rilevato che il quarto motivo, al pari della specifica statuizione con esso impugnata, è riferito esclusivamente all’addebito circa le infedeli dichiarazioni sul chilometraggio delle n. 3 trasferte contestate, per avere la datrice di lavoro utilizzato a riguardo un’agenzia investigativa, nota in primo luogo il Collegio che il ricorrente, pur deducendo a riguardo anche la violazione dell’art. 4 L. n. 300/1970, non allega che la datrice di lavoro o l’agenzia investigativa di cui quella si era avvalsa abbiano dispos to controlli ‘tecnologici’ a distanza.
E, soprattutto, appare dirimente il rilievo che secondo l’accertamento fattuale operato dai giudici di merito, il ricorso ad un’agenzia investigativa non riguardava nella specie l’attività lavorativa del dipendente, e, tantomeno,
l’adempimento o l’inadempimento dello stesso nello svolgimento delle sue prestazioni.
Quel controllo atteneva piuttosto a tre trasferte eseguite dal lavoratore con la propria automobile (e non con mezzo aziendale) ed ai chilometri effettivamente percorsi in tali occasioni, poi confrontati con quelli dichiarati dal lavoratore; ed infatti l’intera contestazione, anche in relazione a quei giorni, non afferiva ad eventuali indennità (di trasferta) o emolumenti altrimenti compensativi degli spostamenti del lavoratore intesi come rientranti nella prestazione lavorativa, bensì ad un mero concorso nelle spese relative a detti spostamenti (un parziale e forfettario rimborso delle stesse ragguagliato ad un determinato chilometraggio).
25 . E’ infondato anche il quinto motivo del ricorso principale.
26. Secondo un ormai consolidato indirizzo di questa Corte, più volte espresso anche a Sezioni unite, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto si riferisce all’ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (così, ex plurimis , più di recente Cass., sez. un., 21.12.2022, n. 37406).
27 . Ebbene, il vizio di ‘motivazione contraddittoria e intimamente illogica’ non si riscontra assolutamente nell’impugnata sentenza.
In particolare, la Corte, dopo aver ritenuto sufficientemente dimostrati entrambi gli addebiti mossi, ha considerato che, ‘ quanto alla infedele rendicontazione delle tre trasferite, dalle testimonianze raccolte e degli atti di causa appariva pacifico che il lavoratore ha sempre realmente effettuato le trasferte nei giorni indicati, non essendo in contestazione l’ an (ossia l’effettuazione o meno della trasferta), ma solo, in misura irrisoria ed assolutamente trascurabile, il solo quantum (ovvero la percorrenza chilometrica, stante il chilometraggio lievemente superiore a quello effettivamente percorso e con un danno patito dall’azienda non superiore a poche decine di euro)’. E ha osservato, circa l’altra contestazione, che si tratta di un ‘atteggiamento dolosamente reticente che si va ad innestare su un errore degli uffici amministrativi della Banca, protrattosi per anni, a fronte di un domicilio in Civitanova che il Tempesta non ha mai occultato, tanto da aver richiesto un mutuo per l’acquisto di tale abitazione alla Banca stessa’. Dopo una serie di ulteriori considerazioni, la Corte ha anche rilevato che si trattava ‘soltanto di episodi circoscritti (a fronte di un percorso lavorativo ultradecennale nel quale il dipendente ha svolto l’attività lavorativa senza rilievi concentrati in un lasso di tempo delimitato e privi di comprovata potenzialità lesiva’. E,
sulla base di queste ed altre considerazioni, ha concluso che ‘sussista una evidente ed inammissibile sproporzione tra l’infrazione contestata e la massima sanzione espulsiva applicata’ (v. in extenso § 4 alle pagg. 7-10 della sua sentenza).
Quando, poi, la Corte ha determinato in dodici il numero dell’indennità risarcitoria ex art. 18, comma quinto, L. n. 300/1970, ha ‘tenuto conto della documentata sussistenza dei fatti contestati (e quindi della inapplicabilità del quarto comma), nonché in ragione della elevata qualifica professionale del dipendente, trattandosi di un Quadro Direttivo, e della considerevole durata dell’infrazione relativa al ‘concorso spese’, indicativa di una marcata e reiterata intenzionalità dell’atteggiamento reticente’.
Il Collegio, quindi, non intravvede alcun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili in queste argomentazioni che peraltro attengono a piani ben diversi di valutazione, quali sono quello del giudizio di proporzionalità tra condotte e sanzione disciplinare e quello relativo alla determinazione del numero di mensilità dell’indennità risarcitoria da riconoscere al lavoratore.
31. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
32 . Come si è visto nell’esaminare il quinto motivo del ricorso principale, la Corte territoriale ha formato il proprio convincimento circa la sproporzione tra i fatti contestati e il licenziamento per giusta causa, non soltanto in base all’assenza di precedenti disciplinari, ed all’esiguità del danno, che peraltro la Corte ha riferito solo al primo addebito relativo alle tre trasferte di luglio 2017, e non all’intera condotta
illegittima, come invece sostiene la ricorrente incidentale.
La Corte, piuttosto, ha argomentatamente ritenuto ‘che i comportamenti contestati non appaiono di gravità tale da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto’, valutandoli in dettaglio nei termini sopra sintetizzati.
Pertanto, risulta infondato anche il secondo motivo dello stesso ricorso, in cui, in chiave di anomalia motivazionale, si denuncia che la Corte avrebbe ‘utilizzato un fatto solo pretesamente rilevante ossia: la tenuità del danno’.
33.1. Deduce la ricorrente incidentale che la Corte d’appello avrebbe ‘valorizzato l’asserita esiguità del danno prendendo in considerazione, peraltro, esclusivamente la fattispecie contestata dei rimborsi chilometrici omettendo di considerare l’ulteriore illecito arricchimento relativo all’indebita percezione delle somme a titolo di ‘Concorso Spese’, con ciò valutando in modo atomistico una condotta, illecito arricchimento, che deve logicamente essere valutata nel suo complesso’.
33.2. E’ sufficiente in contrario aggiungere che la Corte ha senz’altro diffusamente apprezzato anche il secondo addebito, non potendo tuttavia valorizzare in ordine ad esso una precisa dimensione quantitativa del relativo ‘ulteriore illecito arricchimento’ derivato al lavoratore; precisa dimensione che non risulta dal testo della motivazione dell’impugnata sentenza e non risulta che fosse stata contestata al lavoratore, prima che provata in giudizio.
34 . Alcuna motivazione ‘apparente, illogica e perplessa’ è perciò imputabile all’impugnata sentenza.
Infine, neppure sussiste l’anomalia motivazionale denunciata dalla ricorrente incidentale nel terzo motivo.
36.1. Difatti, dalla completa motivazione resa dai giudici di secondo grado emerge chiaramente che è stato sì confermato un atteggiamento dolosamente reticente del lavoratore, ma che esso è stato semplicemente ridimensionato, segnatamente sul piano dell’elemento soggettivo, alla luce della condotta tenuta dalla banca circa l’erogazione delle somme a titolo di ‘concorso spese’.
Dunque, anche tale apprezzamento non risulta contraddittorio.
In ragione della reciproca soccombenza, le spese di questo giudizio di cassazione possono essere integralmente compensate tra le parti. Queste ultime sono tuttavia tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.