Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33821 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33821 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15886-2023 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2265/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/05/2023 R.G.N. 2734/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 15886/2023
COGNOME
Rep.
Ud.20/11/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli da Poste Italiane spa il 1° ottobre 2020.
La Corte territoriale ha escluso che la società fosse decaduta dal potere di intimare il licenziamento per decorso del termine di cui all’art. 55, comma 4, c.c.n.l., avendo qualificato la lettera del 25 agosto 2020 come atto di diffida e di messa in mora, estranea al procedimento disciplinare che era iniziato, invece, a seguito della contestazione mossa in data 2 settembre 2020. Ha accertato che il COGNOME, nella veste di direttore dell’ufficio postale di Ravanusa, aveva posto in essere plurime trasgressioni delle regole aziendali e in materia di sicurezza concernenti sia le modalità di custodia delle banconote e sia le attività preordinate alla corretta gestione dell’ATM, nonché le operazioni di quadratura contabile e di custodia delle chiavi del tesoretto. Ha escluso che la condotta addebitata al dipendente fosse riconducibile a quelle sanzionate con misure conservative ed ha ritenuto che la stessa fosse sussumibile nella previsione dell’art. 54, comma IV, lett. c) del c.c.n.l. e, comunque, fosse di gravità tale da rendere proporzionata la massima sanzione espulsiva, ai sensi dell’art. 80, lett. e) del c.c.n.l.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Poste Italiane spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1362 e ss. e 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 7, legge 300 del 1970, dell’art. 55 c.c.n.l. dei dipendenti postali in relazione alla lettera di Poste Italiane del 21.8.2020, ricevuta dal lavoratore il 25.8.2020. Si censura la sentenza d’appello per avere qualificato la citata lettera esclusivamente come richiesta risarcitoria e di messa in mora anziché come atto di inizio del procedimento disciplinare.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, secondo l’orientamento consolidato, l’interpretazione di un atto negoziale (a cui sono equiparati gli atti unilaterali) è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione inidonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico della decisione. Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). Posto che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica
interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica che si esaurisca nella prospettazione di una diversa lettura degli stessi elementi già esaminati in sede di merito (Cass. n. 7500 del 2007; Cass. n. 24539 del 2009).
8. Nel caso in esame, la lettura data dai giudici di appello fa leva sul tenore letterale della missiva in questione, sia quanto all’oggetto della stessa, indicato come ‘Lettera di diffida e messa in mora ai sensi degli artt. 1219 e ss. del codice civile’, e sia quanto al contenuto, diretto a richiedere al dipendente la restituzione di determinate somme, con effetto anche di interruzione della prescrizione, e a far valere unicamente una responsabilità patrimoniale, senza cenno alcuno ai profili di carattere disciplinare. A fronte di tale motivata interpretazione, le censure mosse dal ricorrente non contengono elementi tali da far apparire erroneo il risultato interpretativo oggetto di impugnazione ma si limitano a giustapporre un diverso e alternativo percorso ermeneutico, così collocandosi al di fuori dell’area della violazione di legge denunciata.
9. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2119 c.c., degli artt. 1362 e ss. c.c. anche in relazione agli artt. 54, 55 e 56 c.c.n.l., dell’art. 30, legge 183 del 2010 e dell’art. 12, legge 604 del 1966. Il ricorrente censura l’interpretazione ed applicazione delle clausole contrattuali ad opera dei giudici di appello assumendo che avrebbero dovuto ricondurre la condotta addebitata al Rinallo tra quelle sanzionate con misure conservative, anche in ragione dell’elemento soggettivo doloso richiesto per le condotte suscettibili di provocare il licenziamento in tronco, di cui all’art.
54, comma VI, lettere a), c) e k) del c.c.n.l., nel caso di specie non dimostrato.
Il motivo non è fondato.
11. I giudici di appello hanno accertato che la condotta posta in essere dal direttore dell’ufficio postale è connotata da particolare gravità perché concretatasi in ‘plurime e consapevoli violazioni di più disposizioni e procedure aziendali’, tutte finalizzate a garantire la sicurezza e la custodia dei valori nonché la prevenzione di condotte illecite. Sulla base di tale accertamento in fatto, non censurabile in questa sede di legittimità, a maggior ragione in una ipotesi di cd. doppia conforme, hanno negato la riconducibilità degli addebiti alle fattispecie contrattuali per le quali è prevista la sanzione conservativa, sottolineando come le stesse previsioni del contratto collettivo invocate dal lavoratore fanno salva l’applicazione della sanzione espulsiva per i casi di maggiore gravità. In coerenza con la scala valoriale declinata dalle parti sociali e in ragione dell’accertato elemento soggettivo doloso come caratterizzante la condotta posta in essere dal COGNOME, hanno ritenuto applicabile la sanzione espulsiva per essere la condotta sussumibile sia nelle ipotesi di cui alle lettere a), c) e k) dell’art. 54, comma VI del c.c.n.l. e sia nella nozione di giusta causa, espressamente richiamata dall’art. 80, lett. e) del c.c.n.l., disposizione anch’essa post a a base della decisione di recesso. In tale operazione la sentenza impugnata si è rigorosamente attenuta alla citata scala valoriale e, attraverso essa, alla previsione di cui all’art. 30, legge 183 del 2010, ed anche ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del
2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007), in tal modo sottraendosi a tutte le critiche oggetto del motivo in esame.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1455, 2106, 2119 c.c. e degli artt. 54, 55 e 56 c.c.n.l. per avere la sentenza d’appello giudicato ininfluente, ai fini della proporzionalità della sanzione irrogata al Rinallo, la circostanza che al vicedirettore dell’ufficio, per la medesima vicenda disciplinare, è stata irrogata solo una sanzione conservativa.
Il motivo è inammissibile. Ammesso che il trattamento disciplinare riservato ad altro dipendente possa avere rilievo nel giudizio di proporzionalità della sanzione, deve osservarsi come la denuncia di violazione di legge si basi su una ricostruzione in fatto diversa da quella accertata nella sentenza d’appello. Quest’ultima ha escluso che le contestazioni mosse ai due dipendenti fossero sovrapponibili ed ha inoltre giustificato la proporzionalità della sanzione espulsiva adottata verso il Rinallo in rag ione del ruolo di direttore dell’ufficio e dei connessi più pregnanti obblighi e responsabilità rispetto al collega avente qualifica inferiore e ruolo sotto-ordinato. Le critiche mosse non incrinano quindi la correttezza della valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva adottata nei confronti dell’attuale ricorrente.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. 16. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del
2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20 novembre 2024