Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30701 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30701 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19937-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente – avverso la sentenza n. 25/2022 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 08/02/2022 R.G.N. 336/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 19937/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/10/2024
CC
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza in atti, accogliendo il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ed avverso la sentenza del tribunale di Ascoli Piceno, in riforma della sentenza impugnata, ha accolto la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE ed ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 7/7/2020 e per l’effetto ha dichiarato estinto il rapporto di lavoro e condannato la società datrice di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria in favore del lavoratore calcolata in 20 mensilità dell’ultima retribuzione utile per la determinazione del TFR ex articolo 3, comma 1 del decreto legislativo numero 23 del 2015. 2.- A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha rilevato che la datrice di lavoro aveva intimato il licenziamento al lavoratore per giustificato motivo soggettivo in seguito alla contestazione riguardante il comportamento recidivo tenuto dal lavoratore in data 29 giugno 2020.
In quell’occasione mentre era alla guida del furgone di proprietà della società, nell’esecuzione di una manovra in retromarcia, il RAGIONE_SOCIALE aveva urtato un muretto, danneggiando la parte posteriore del mezzo.
Pur non essendo stato quantificato, il danno in questione, come dedotto e documentato dal ricorrente e non specificamente contestato dalla società, era consistito nella rottura di uno dei due fanali posteriori del mezzo.
3.- Tanto permesso in fatto, la Corte d’appello ha sostenuto che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, nel caso di specie il comportamento censurato non fosse
riconducibile alla fattispecie prevista dall’articolo 32 del CCNL di settore che nella sua ampia formulazione prevedeva l’applicazione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione nel caso in cui il lavoratore arrechi danno per incuria al veicolo e del licenziamento nell’ipotesi di recidiva.
3.1. Ciò in quanto anzitutto, la locuzione per incuria, secondo la Corte, faceva riferimento ai danni conseguenti a comportamenti adottati con sciatteria e noncuranza dei beni aziendali comportamenti che si dispiegano in un lasso di tempo più o meno lungo. Mentre nel caso concreto il comportamento del lavoratore si era esaurito in un solo momento, vale a dire in una mancanza di attenzione per ciò che stava eseguendo.
3.2. Peraltro le successive giustificazioni fornite dal COGNOME in data 6/7/2020 contenevano una specifica replica a quanto contestato dal datore essendosi evidenziato come l’urto ed il danno che ne era conseguito fossero dipesi da una situazione contingente, legata alla particolarità della strada percorsa, estremamente stretta e ai numerosi adempimenti lavorativi, influenti su tranquillo svolgimento degli stessi. A fronte di ciò la società nulla aveva dimostrato sul comportamento incurante del prestatore di lavoro; per cui andava pure escluso che l’addebito potesse ricondursi alla fattispecie del contratto collettivo individuata dal tribunale.
3.3. In ogni caso andava comunque rilevato che nel caso concreto difettasse anche la valida contestazione della recidiva, con la conseguenza che veniva meno il presupposto idoneo a permettere la punibilità del danneggiamento per incuria con il licenziamento invece che con la sospensione, poiché nella comunicazione di addebito il riferimento alla recidiva era generico dal momento che veniva soltanto indicata la sussistenza di un precedente disciplinare ma senza alcuna
ulteriore indicazione che ne permettesse l’individuazione. (Corte di cassazione n. 30564/2018)
3.4. Inoltre andava considerato che avendo il lavoratore contestato l’esistenza del precedente era onere del datore di lavoro darne la prova che invece non poteva ritenersi acquisita dal momento che la datrice del lavoro si era costituita in ritardo decadendo dalla produzione dei documenti relativi necessari per dimostrare la presenza del precedente disciplinare. Il collegio rilevava infatti come pacifico e documentato che nel processo di primo grado la società datrice si fosse costituita soltanto sette giorni prima dell’udienza fissata in violazione quindi del termine di 10 giorni previsto dalla norma di cui all’articolo 416, comma 1 c.p.c.
3.5. Infine la Corte d’appello ha affermato che l’addebito posto a carico del lavoratore oltre a non rientrare nelle ipotesi specificatamente disciplinate dalla contrattazione collettiva per l’irrogazione della sanzione, non rivestiva nemmeno i caratteri di gravità tali da meritare la massima punizione secondo la previsione dell’articolo 3 della legge 604/66, apparendo congrua al più una sanzione economica da porre a carico del ricorrente.
4.- Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società datrice di lavoro con quattro motivi di ricorso ai quali ha resistito con controricorso il lavoratore. La ricorrente ha depositato memoria prima dell’udienza. Il collegio ha riservato la moti vazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce violazione ed errata applicazione dell’articolo 155 c.p.c. con conseguente violazione dell’articolo 24 della Costituzione per avere la Corte d’appello errato nell’interpretazione della regola prevista dall’articolo 155,
comma 4 c.p.c. che secondo la Corte troverebbe applicazione soltanto per i termini a decorrenza successiva e non per quelli da computarsi a ritroso.
Il primo motivo è privo di fondamento perché – come affermato dalla Corte d’appello in relazione alla tardività della costituzione ( avvenuta 7 giorni prima dell’udienza di discussione e non nei dieci previsti dalla legge ) ed alla decadenza dalla produzione dei documenti è consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di computo dei termini lo spostamento nel tempo della scadenza dei termini da calcolarsi a ritroso, se cadenti in giorno festivo, dev’essere pure esso calcolato a ritroso, individuando il “dies ad quem” nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, non già nel giorno successivo, così da non abbreviare l’intervallo di tempo, previsto a tutela di chi deve ricevere l’atto ( Cass. n. 8496 del 24/03/2023).
Ed invero ‘Il comma 4 dell’art. 155 c.p.c., diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo, ed il successivo comma 5 del medesimo articolo, introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. f), della l. n. 263 del 2005 e diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato, operano anche con riguardo ai termini che si computano “a ritroso” (come, nella specie, quello previsto dall’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 69 del 2013, conv. con modif. in l. n. 98 del 2013), ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il ‘dies ad quem’ dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di
scadenza in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass Sez. 6 Ordinanza n. 21335 del 14/09/2017).
2.- Con il secondo motivo si sostiene vizio di motivazione in relazione all’articolo 421 c.p.c. con conseguente falsa applicazione dell’art. 3 legge 604/1966, in quanto le preclusioni in caso di tardiva costituzione si riferiscono alla possibilità di proporre domande riconvenzionali o sollevare eccezioni non rilevabili d’ufficio ma non alle mere di difese svolte dal convenuto e nel caso di specie la difesa dell’azienda si era limitata ad esporre delle mere difese. Inoltre la documentazione prodotta era stata depositata dallo stesso ricorrente con l’unica eccezione del NUMERO_DOCUMENTO che però era stato riconosciuto dallo stesso ricorrente.
Quand’anche si fossero materializzate le preclusioni il giudice avrebbe in ogni caso potuto assumere la propria decisione basandosi sulla documentazione prodotta dallo stesso ricorrente ex articolo 116 e 421 c.p.c.; anche perché i poteri istruttori riconosciuti al giudice del lavoro sono diretti alla ricerca della cosiddetta varietà materiale.
2.1. Il secondo motivo è inammissibile anzitutto perché viola il difetto specificità con inosservanza della prescrizione ex art. 366, co. 1, n. 4 e n. 6 c.p.c. per mancanza di trascrizione della documentazione di cui si discute .
Inoltre non si misura con le varie rationes decidendi poste a base della sentenza ed è privo di rilevanza. La Corte ha infatti affermato in primis che mancasse il comportamento di incuria contestata sia in di diritto sia in fatto. Ed inoltre che la recidiva addebitata fosse generica ed inesistente; e che in ogni caso il
comportamento non integrasse la nozione legale del giustificato motivo soggettivo.
Inoltre va pure evidenziato che il potere di acquisire ex officio le prove da cui è decaduta la parte ex artt. 421 e 437 c.p.c postula, secondo la consolidata giurisprudenza, l’esistenza di piste probatorie, e costituisce un potere-dovere del giudice del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (Cass.14731/06; Cass. 25374/17); nel caso di specie, non risultante.
3.- Col terzo motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 del CCNL trasporti e logistica applicato al caso di specie, e degli articoli 1362, 1363, 1366, 1367 c.c. con conseguente falsa applicazione dell’articolo 3 legge 604 del 1966 per avere la Corte d’appello affermato che nel caso di specie non vi fosse alcuna prova dell’incuria caratterizzante la condotta posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Il motivo è inammissibile perchè tende alla rivalutazione del fatto accertato dalla Corte d’appello secondo cui nel comportamento addebitato mancava la nozione giuridica di incuria, ma mancava in ogni caso qualsiasi fatto di incuria perché l’accaduto si era verificato in una determinata situazione contingente legata alla particolarità della strada percorsa, estremamente stretta e ai numerosi adempimenti lavorativi, influenti sul tranquillo svolgimento degli stessi ; a fronte dei
quali il datore di lavoro nulla aveva dimostrato circa il comportamento incurante del prestatore di lavoro.
Inoltre quanto alla recidiva la Corte d’appello ha affermato che quella comunque addebitata in ritardo era estremamente generica e non poteva costituire recidiva a termini della contrattazione collettiva anche per la costituzione tardiva della parte.
4.Col quarto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, comma 1 decreto legislativo numero 23/2015, nonché violazione dell’articolo 12 preleggi, posto che anche dopo la sentenza numero 194 del 2018 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata incostituzionale la determinazione dell’indennità risarcitoria spettante al lavoratore in quanto basata sull’unico criterio dell’anzianità, criterio dell’anzianità di servizio doveva continuare ad avere una priorità sostanziale rispetto agli altri criteri. Nel caso di specie la indennità avrebbe dovuto essere di gran lunga inferiore perché il lavoratore prestava servizio per conto dell’azienda solo da un anno e mezzo e quindi pur volendo tener conto in debita considerazione di ulteriori criteri il criterio dell’anzianità di servizio doveva essere sempre predominante.
4.1. Il motivo è privo di fondamento perché la Corte d’appello nel determinare l’entità della indennità risarcitoria ha espressamente tenuto conto -attraverso una valutazione sinteticadell’anzianità di servizio, del lavoratore, delle dimensioni del datore di lavoro (quanto al numero dei dipendenti occupati), delle caratteristiche e modalità del rapporto intercorso tra le parti e del fatto che il licenziamento fosse stato irrogato in seguito ad una mancanza di scarso rilievo ed il lavoratore era in età avanzata.
La determinazione della misura dell’indennità risarcitoria appare quindi frutto del motivato esercizio della discrezionalità del giudice di merito e non è assoggettabile a censure in cassazione per vizi di legittimità.
5.- Il ricorso essere pertanto rigettato; parte ricorrente deve essere condannata, in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO antistatario.
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che liquida in € 5000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione in f avore dell’AVV_NOTAIO antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 9.10.2024