Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15998 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15998 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10909-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 296/2024 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 08/04/2024 R.G.N. 1036/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Impiego pubblico Licenziamento disciplinare
R.G.N.10909/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 08/05/2025
CC
–
–
FATTI DI CAUSA
Con sentenza dell’8 aprile 2024, la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Agrigento, accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità dei due licenziamenti disciplinari intimati allo Scalzo in successione il 27 ed il 28.10.2020, il primo per essersi lo stesso ingiustificatamente assentato dall’ufficio per tre giorni consecutivi, il 31.8, l’1.9 ed il 2.9.2020 nella fascia oraria 13,00-14,00, senza che tale assenza fosse stata fatta risultare dal sistema di rilevamento delle presenze e senza che fosse stata rilasciata a tal fine alcuna autorizzazione da parte del dirigente dell’ufficio ed i l secondo per essersi ancora lo COGNOME allontanato dall’ufficio in data 11.9.2020 dalle ore 8,18 alle 9,35 con le stesse modalità fraudolente.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto, quanto al primo licenziamento, non aver l’Amministrazione datrice provato l’addebito, essendo emersi in sede istruttoria elementi idonei a scriminare l’antigiuridicità della condotta ed a ritenere l’allontanamento giustificato , così da escludere che l’oggettiva mancanza dell’attestazione di uscita e di rientro del dipendente fosse effettivamente volta a nascondere fraudolentemente l’allontanamento indebito e, quanto al secondo licenz iamento, neutralizzata l’antigiuridicità della condotta tanto da non risultare lo Scalzo passibile della massima sanzione irrogata, per fondarsi questa su un episodio rimasto isolato e pure condizionato da una situazione di necessità non adeguatamente confutata per cui l’allontanamento si imponeva per dare sostegno ad un collega colpito da malore nell’accompagnarlo al bar.
–
–
–
–
In particolare, quanto al primo licenziamento, il giudice d’appello rilevava che dalla prova testimoniale era emerso che lo Scalzo si era allontanato per effettuare un servizio di osservazione funzionale alla scoperta e repressione di operazioni di contrabbando di combustibile. Ha ritenuto che la deposizione del teste indicato dall’appellante fosse coerente con quanto riferito dallo stesso nell’ambito delle indagini penali e non fosse stata contraddetta da altre risultanze della istruttoria, traendone la conseguenza della insussistenza di un giusta causa di licenziamento in quanto la condotta dello COGNOME si inseriva nel contesto dell’attività di servizio e quindi non richiedeva una specifica autorizzazione.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, lo Scalzo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, l’Agenzia ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 quater, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 165/2001, 62, comma 2, lett. a) e f) del CCNL per il comparto Funzioni centrali 2016/2018, 2697 e 2106 c.c., 12 l. n. 212/2000, 115 e 116 c.p.c. e 3 c.p.p., lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale, per non avere questa, quanto al primo licenziamento, dato adeguato rilievo al comportamento del dipendente inadempiente all’ordine di servizio , da ritenersi viceversa rilevante in sé, a prescindere dalla sussistenza di ragioni giustificatrici, emerse, peraltro, da dichiarazioni testimoniali ampiamente contestate nella loro attendibilità e, pertanto, insuscettibili di escludere l’antigiuridicità della condotta e da riflettersi così sul secondo provvedimento espulsivo fondato
–
–
sulla recidiva in cui il dipendente era incorso per effetto dell’identica condotta in precedenza tenuta, recidiva, per quanto detto, illegittimamente disconosciuta.
Il motivo si rivela inammissibile, atteso che la censura mossa, per quanto prospettata sotto l’apparenza di un vizio di violazione di legge, si risolve nella mera confutazione dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ricostruzione in fatto della vicenda posta a base del primo licenziamento, in relazione alla quale la Corte medesima approda ad una ratio decidendi, con la quale l’Agenzia ricorrente neppure si misura, che, sulla condivisibile premessa secondo cui la prova della giusti ficatezza dell’allontanamento esclude il carattere fraudolento della sua mancata attestazione, fonda la conclusione dell’inconfigurabilità stessa del comportamento inadempiente nella specie addebitato, ratio che inevitabilmente riverbera sul giudizio di proporzionalità del secondo licenziamento che, motivato esclusivamente in relazione alla recidiva nella condotta già sanzionata, non poteva che risentire della sancita illegittimità del precedente provvedimento.
V a richiamato l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è,
–
–
–
–
–
dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. fra le tante Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 640/2019; Cass. n. 24155/2017).
E’ stato altresì affermato che nella deduzione del vizio di violazione di legge o di disposizioni di contratto collettivo è onere del ricorrente indicare non solo le norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, svolgere specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione ( Cass. n. 17570/2020; Cass. n. 16700/2020).
Nella specie, come già detto, il ricorso, oltre a non cogliere pienamente la ratio della pronuncia gravata, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in un’inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone la revisione, non consentita in sede di legittimità.
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
Non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di
–
quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici alle stesse equiparate, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017). Nella specie il legislatore, con il d.l. n. 16/2012, art. 12, comma 5, ha esteso alle Agenzie fiscali l’applicazione dell’art. 158 del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8.5.2025.
La Presidente NOME COGNOME