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Licenziamento disciplinare: quando è illegittimo?

Un dipendente pubblico veniva licenziato per due assenze dal luogo di lavoro non registrate. La Corte d’Appello ha annullato i licenziamenti, ritenendo la prima assenza giustificata da esigenze di servizio e la seconda da una situazione di necessità (soccorso a un collega). L’Amministrazione ha presentato ricorso in Cassazione, che lo ha dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ha chiarito di non poter riesaminare nel merito la valutazione dei fatti e delle prove, compito esclusivo del giudice di merito, confermando così l’illegittimità del licenziamento disciplinare.

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Pubblicato il 5 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Disciplinare: Non Basta l’Assenza, Serve la Prova della Colpa

Il licenziamento disciplinare è la sanzione più grave che un datore di lavoro possa infliggere a un dipendente, ma la sua validità dipende da una rigorosa valutazione dei fatti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda un principio fondamentale: se l’assenza dal lavoro, anche se non registrata, è giustificata da motivi validi, il licenziamento è illegittimo. Analizziamo insieme questo caso per capire i confini tra condotta colpevole e necessità.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un’amministrazione pubblica viene licenziato due volte in rapida successione.

1. Primo licenziamento: per essersi assentato dall’ufficio per tre giorni consecutivi, in una specifica fascia oraria, senza autorizzazione e senza che l’assenza fosse registrata dal sistema di rilevamento presenze.
2. Secondo licenziamento: per un’ulteriore assenza, avvenuta con le medesime ‘modalità fraudolente’, poco tempo dopo.

Il lavoratore impugna entrambi i licenziamenti, sostenendo la legittimità delle sue assenze. Mentre il Tribunale di primo grado dà ragione all’ente, la Corte d’Appello ribalta la decisione.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte territoriale accoglie le ragioni del dipendente, annullando entrambi i licenziamenti. Secondo i giudici d’appello, le prove raccolte, in particolare le testimonianze, hanno dimostrato che le assenze non erano ingiustificate:

* La prima, più lunga, era legata a un’attività di servizio esterno (osservazione per contrastare il contrabbando), che per sua natura non richiedeva una specifica autorizzazione formale per ogni spostamento.
* La seconda, più breve, era dovuta a una situazione di necessità: il dipendente si era allontanato per accompagnare al bar un collega colpito da un malore.

La Corte ha quindi concluso che, venendo meno l’antigiuridicità della condotta, il licenziamento disciplinare era sproporzionato e illegittimo in entrambi i casi.

Il Ricorso in Cassazione e l’analisi del licenziamento disciplinare

L’amministrazione pubblica non si arrende e ricorre in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel valutare il comportamento del dipendente e le prove testimoniali. Secondo l’ente, l’assenza non registrata costituiva di per sé un inadempimento grave, a prescindere dalle giustificazioni emerse.

La Suprema Corte, tuttavia, dichiara il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione spiega che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o di valutare nuovamente le prove, come le testimonianze. Questo compito spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione è ammesso solo per ‘violazione di legge’, cioè quando si contesta un errore nell’applicazione o interpretazione di una norma, non quando si è semplicemente in disaccordo con la ricostruzione dei fatti operata dal giudice precedente.

Nel caso specifico, l’amministrazione non contestava una vera e propria violazione di legge, ma tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove, cosa non consentita in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente (una ratio decidendi chiara) per cui le assenze erano giustificate. Di conseguenza, era venuto meno il carattere ‘fraudolento’ della mancata timbratura e, con esso, il presupposto stesso del licenziamento. Poiché il secondo licenziamento si basava sulla recidiva di una condotta già ritenuta legittima, anche quest’ultimo è stato inevitabilmente travolto dall’annullamento del primo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un concetto cruciale: la valutazione della gravità di un comportamento e la sua idoneità a giustificare un licenziamento disciplinare è un’analisi che si basa sui fatti concreti. La Corte di Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si può ridiscutere l’intera vicenda. Se il giudice di merito, attraverso una valutazione logica delle prove, conclude che la condotta del lavoratore era giustificata, questa decisione non può essere messa in discussione in Cassazione semplicemente perché la parte soccombente non la condivide. L’onere della prova della natura ingiustificata e fraudolenta dell’assenza ricade sul datore di lavoro, e se questa prova non viene raggiunta, il licenziamento non può reggere.

Un’assenza dal lavoro senza timbratura è sempre causa di licenziamento disciplinare?
No. Secondo questa ordinanza, se l’assenza, pur non registrata, è provata essere giustificata da validi motivi (come esigenze di servizio o situazioni di necessità), non costituisce un illecito disciplinare e il licenziamento è illegittimo.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti e le prove di un caso?
No, la Corte di Cassazione ha il compito di verificare la corretta applicazione delle norme di legge (giudizio di legittimità), ma non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove, come le testimonianze. Questo compito spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

Cosa succede se un secondo licenziamento si basa sulla recidiva di un primo licenziamento che viene poi dichiarato illegittimo?
Se il primo provvedimento sanzionatorio viene annullato perché la condotta non era illecita, viene a mancare il presupposto della recidiva. Di conseguenza, anche il secondo licenziamento, motivato esclusivamente sulla base della recidiva, perde il suo fondamento e viene travolto dall’illegittimità del primo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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