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Licenziamento disciplinare pubblico impiego: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la legittimità del licenziamento disciplinare pubblico impiego di un dipendente per falsa attestazione della presenza. La sentenza chiarisce che la contestazione dell’addebito è valida anche se fatta ‘per relationem’ a documenti di un procedimento penale noti al lavoratore. Inoltre, il mancato rispetto dei termini procedurali non invalida la sanzione se il diritto di difesa non è compromesso. La Corte ha ritenuto la sanzione proporzionata data la grave e sistematica violazione del rapporto fiduciario.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Disciplinare Pubblico Impiego: Legittimo anche con Contestazione “per Relationem”

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34339/2024, si è pronunciata su un caso di licenziamento disciplinare pubblico impiego, confermando la validità del recesso intimato a un dipendente di un’azienda sanitaria per falsa attestazione della presenza. La decisione offre importanti chiarimenti su aspetti procedurali cruciali, come la specificità della contestazione e il rispetto dei termini, ribadendo la centralità dell’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale, con la qualifica di “Coadiuvatore Amministrativo Esperto”, veniva licenziato nel settembre 2019 a seguito di una contestazione disciplinare. L’addebito era collegato a un’indagine penale che aveva portato all’emissione di una misura cautelare nei suoi confronti. Le accuse riguardavano numerosi e sistematici episodi di falsa attestazione della presenza in servizio, realizzati alterando i sistemi di rilevazione, avvenuti in un arco temporale di diversi mesi. Il lavoratore, ritenendo illegittimo il licenziamento, ne chiedeva l’annullamento e la reintegrazione nel posto di lavoro. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano il ricorso, confermando la legittimità del provvedimento espulsivo.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il dipendente ricorreva in Cassazione affidandosi a quattro motivi, tutti respinti dalla Suprema Corte.

Analisi del licenziamento disciplinare pubblico impiego e termini procedurali

Il primo motivo di ricorso denunciava la nullità del licenziamento per il mancato rispetto del termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare, previsto dall’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001. La Corte ha ritenuto il motivo infondato. Ha chiarito che, a seguito delle modifiche introdotte dalla c.d. legge “Madia” (D.Lgs. 75/2017), la violazione dei termini procedurali non determina più la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione, a meno che non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, circostanza non dimostrata nel caso di specie. Il principio di tempestività deve essere valutato in concreto.

Validità della contestazione “per relationem”

Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la genericità della contestazione disciplinare, poiché essa faceva riferimento al contenuto di un’ordinanza cautelare emessa dal GIP senza riportarne il testo né allegarla. La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, ribadendo il principio consolidato secondo cui la contestazione “per relationem” è pienamente ammissibile. È sufficiente che gli atti richiamati siano noti al lavoratore, come nel caso in esame, per metterlo in condizione di comprendere appieno gli addebiti e difendersi compiutamente.

Onere della prova e proporzionalità della sanzione

Il terzo motivo, relativo a una presunta violazione dell’onere della prova a carico del datore di lavoro, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha specificato che la valutazione delle prove è compito del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, se non per vizi logici non presenti nella decisione impugnata. Infine, con il quarto motivo, il lavoratore contestava la sproporzione della sanzione espulsiva. La Corte ha affermato che la valutazione sulla gravità dei fatti e sulla proporzionalità è un giudizio di merito, insindacabile in Cassazione se adeguatamente motivato. I giudici di merito avevano correttamente considerato la sistematicità delle condotte e la loro gravità, tali da ledere in modo irreversibile l’elemento fiduciario, rendendo proporzionato il licenziamento senza preavviso.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su principi cardine del diritto del lavoro pubblico. In primo luogo, viene ribadita la specialità della disciplina dei licenziamenti, che impone al lavoratore di dedurre specifici vizi dell’atto, senza che il giudice possa rilevarne d’ufficio altri. In secondo luogo, la Corte sottolinea l’evoluzione normativa in materia di termini procedurali, che non sono più considerati a pena di decadenza, ma la cui violazione deve essere valutata alla luce di un’effettiva lesione del diritto di difesa. Il fulcro della decisione risiede però nella valutazione della condotta del lavoratore. La sistematica e fraudolenta alterazione delle presenze costituisce una violazione talmente grave degli obblighi di diligenza e fedeltà da rompere irrimediabilmente il vincolo di fiducia. In questo contesto, diventano irrilevanti sia l’assenza di precedenti disciplinari sia la modesta entità del danno patrimoniale arrecato all’ente, poiché è la condotta in sé a essere “sintomatica” di un’inaffidabilità futura del dipendente.

Le Conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento rigoroso in materia di licenziamento disciplinare pubblico impiego per i cosiddetti “furbetti del cartellino”. Le implicazioni pratiche sono chiare: le pubbliche amministrazioni possono procedere con maggiore sicurezza nei confronti di condotte gravemente lesive della fiducia, potendo fare legittimo riferimento agli atti di procedimenti penali per fondare la contestazione. Per i lavoratori, emerge l’importanza di una difesa incentrata non solo su aspetti formali, ma sulla dimostrazione della propria estraneità ai fatti o della non gravità della condotta. La sentenza riafferma che l’onestà e la correttezza sono elementi essenziali del rapporto di lavoro, la cui violazione sistematica giustifica la sanzione più grave.

Una contestazione disciplinare può fare riferimento ad atti di un procedimento penale senza allegarli?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che una contestazione “per relationem” è pienamente legittima, a condizione che gli atti a cui fa riferimento (come un’ordinanza di custodia cautelare) siano già noti al dipendente. Questo garantisce che il lavoratore sia in grado di comprendere le accuse e preparare una difesa adeguata.

Il mancato rispetto del termine di 120 giorni per concludere il procedimento disciplinare nel pubblico impiego rende nullo il licenziamento?
No. A seguito delle riforme (in particolare la legge “Madia”), la violazione dei termini procedurali non causa più la decadenza dell’azione disciplinare o l’invalidità della sanzione, a meno che non si dimostri che il diritto di difesa del dipendente sia stato irrimediabilmente compromesso.

Un danno economico minimo per l’azienda può rendere sproporzionato un licenziamento per falsa attestazione della presenza?
No, la Corte ha chiarito che la gravità della condotta non si valuta solo in base al danno patrimoniale. La falsa attestazione sistematica della presenza è un comportamento che lede in maniera irreversibile l’elemento fiduciario, ovvero la fiducia del datore di lavoro, giustificando il licenziamento anche in assenza di un danno economico ingente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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