Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30561 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30561 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29417-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 521/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 05/10/2022 R.G.N. 394/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Torino, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 5.10.2017.
La Corte territoriale ha, dapprima, individuato (tramite l’interpretazione delle lettere di contestazione disciplinare e di licenziamento) l’infrazione disciplinare contestata, consistente nella diffusione di un documento riservato (utilizzato da persona terza per una denuncia nei confronti dei vertici aziendali), e, successivamente, ha ritenuto che il quadro probatorio acquisito (impossibilità di collocare temporalmente la stampa del documento; documento trasmesso, via EMAIL, a vari dipendenti oltre alla NOME; assenza di prova circa l’accesso alla posta elettronica della NOME) non consentiva di dimostrare né l’indebita diffusione a terzi del documento né la riservatezza delle informazioni ivi racchiuse. La Corte territoriale ha dichiarato la illegittimità del licenziamento e, ritenuto insussistente il fatto contestato, ha applicato il comma 4 dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970.
Avverso tale sentenza la banca ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, illustrati da memoria. La lavoratrice ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. nonché 2699 e 2700 c.c. per avere, la Corte territoriale, trascurato che il giudice della fase sommaria aveva verbalizzato, in udienza (4.10.2019), le dichiarazioni dei rispettivi consulenti delle parti, i quali avevano concordato sul fatto che il documento era stato estratto da postazione interna alla banca, attraverso l’accesso alla casella disposta della signora COGNOME, attraverso dispositivo assegnato alla signora COGNOME; del pari, il giudice dell’opposizione aveva assunto la medesima conclusione; posto che il verbale di udienza è atto pubblico e che fa piena prova fino a querela di falso, la Corte territoriale non poteva ignorare che i consulenti avevano concordato sulla provenienza del documento dalla casella di posta elettronica della COGNOME; inoltre, la Corte territoriale ha acquisito successivamente una dichiarazione del consulente tecnico della lavoratrice e gli ha attribuito maggiore efficacia probatoria.
Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, comma 1, 1363, nonché nullità della sentenza ed omesso esame di fatti decisivi, discussi tra le parti, avendo, la Corte territoriale, nell’interpretare la lettera di contestazione, applicato il canone letterale con esclusivo riferimento ad una sola parola del testo (‘diffusione’), enfatizzandone la portata e trascurando di valutare il senso letterale di tutte le altre parole e della connessione di esse con una o più frasi, con ciò errando
nell’escludere -nell’ambito della condotta -anche la violazione dell’obbligo di custodia.
Con il quinto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116, 420, commi 5 e 6, c.p.c., 24 e 111 Cost., nonché nullità della sentenza, avendo, la Corte territoriale, trascurato (una volta privato del valore di prova legale il verbale di udienza del 4.10.2019) di provvedere sugli ulteriori mezzi di prova offerti dalle parti, in specie sull’istanza della banca di nominare un consulente d’ufficio e di escutere dei testimoni.
Con il sesto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, nullità della sentenza per omissione totale della sentenza avendo, la Corte territoriale, applicato il principio della ragione più liquida per concentra rsi (a fronte degli ‘innumerevoli motivi di censura’) sulla individuazione del fatto contestato e, poi, sulla valutazione dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte del datore di lavoro, senza peraltro motivare specificamente sulla necessità di adottare tale tecnica decisoria e adottando un provvedimento connotato da insuperabili criticità.
Con il settimo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omesso esame di fatti decisivi avendo, la Corte territoriale, trascurato l’esame di numerosi fatti allegati nel ricorso in opposizione all’ordinanza resa in sede sommaria (di cui ai nn. 23-30) che avrebbero senz’altro consentito una diversa valutazione della condotta addebitata alla lavoratrice.
Con l’ottavo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 4 e 5, nullità della sentenza e omesso esame di un fatto decisivo violazione
dell’art. 2697 c.c. avendo, la Corte territoriale, valorizzato ai fini della insussistenza del fatto -l’intervista resa al quotidiano La RAGIONE_SOCIALE dai vertici della banca sulla base di una erronea equiparazione tra ‘informazioni attinenti alla posizione di liquidità dell’istituto sul conto corrente aperto presso la RAGIONE_SOCIALE popolare di Vicenza e su tutti gli altri c/c accesi presso altre banche nonché ai tassi di interesse praticati a favore dell’Istituto su ciascuno di tali conti’ e ‘la vicenda dei rapporti t ra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE popolare di Vicenza’.
Il ricorso è inammissibile.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ovvero come nullità della sentenza mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
8.1. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
8.2. Ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di
mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
8.4. Le censure sviluppate in tutti i motivi di ricorso sono inammissibili in quanto non individuano un errore di diritto ma, piuttosto, involgono apprezzamenti di merito in ordine alla sussistenza dell’addebito di cui alla fattispecie concreta, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte.
Con particolare riguardo ai primi due motivi di ricorso, il verbale di udienza, in quanto atto pubblico, fa piena prova delle dichiarazioni che il pubblico ufficiale attesta essere state rese in sua presenza, ma non investe la veridicità del contenuto delle suddette dichiarazioni (cfr. Cass. n. 1884 del 1996). Il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, valutando il complessivo quadro probatorio (come diffusamente illustrato
dalla pag. 7 alla pag. 10 della sentenza impugnata) ha ritenuto -secondo accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità -che non fosse stata fornita la prova della diffusione, da parte della lavoratrice, del documento (utilizzato da terzi per effettuare una denuncia) e nemmeno della riservatezza delle informazioni ivi contenute.
11. In ordine al terzo e quarto motivo di ricorso, occorre premettere che l’interpretazione di un atto negoziale è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito (da ultimo Cass. n. 8586 del 2015; in precedenza, ex multis , cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto (tra le tante, Cass. n. 9070 del 2013).
11.1. Le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex plurimis , Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003).
11.2. Orbene, la Corte territoriale ha correttamente svolto il processo di esegesi della lettera di contestazione disciplinare (al fine di enucleare l’infrazione addebitata) utilizzando il dato letterale dell’intero contesto esaminato, nel coordinamento delle parole e dei periodi utilizzati, trovando, altresì, riscontri nell’ulteriore elemento extratestuale rappresentato dalla (successiva) lettera di licenziamento; né sono stati evidenziati, da parte ricorrente, anomalie del ragionamento svolto dal giudice di merito denunciabili ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo risultante dalle modifiche introdotte
dall’art. 54 del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis ), in quanto la banca, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole perché ritiene che la lettera di contestazione disciplinare individuerebbe la violazione dell’obbligo di custodia (e non l’indebita diff usione all’esterno delle informazioni riservate contenute nel documento).
11.3. Ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra. Infatti il ricorso in sede di legittimità – riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo – laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più
congrue (in termini: Cass. n. 18375 del 2006; conforme, più di recente, Cass. n. 12360 del 2014 e n. 8586 del 2015).
12. In ordine ai restanti motivi, ribadito l’inammissibile intento di rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento, questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020; nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, né in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
13. La violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova
ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018, Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella specie parte ricorrente lamenta la mancata assunzione e valutazione di mezzi istruttori.
14. Inoltre, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione); per’ l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, nel caso in esame, i motivi di ricorso che denunciano carenze motivazionali non indicano il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività,
che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fanno riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza «così radicale da comportare» in linea con «quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione». E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata.
14.1. Infine, come questa Corte ha più volte affermato, l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass. n. 27415 del 2018), dovendo, inoltre, dedurre, il ricorrente, come e quando l’istanza istruttoria sia stata riproposta in sede di appello (circostanza non illustrata nel caso di specie).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché
in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 ottobre