Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 275 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 275 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3584-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliato presso suo studio in Roma INDIRIZZO (PEC: ).
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dal l’ avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliato presso il suo Studio in Roma, INDIRIZZO
INDIRIZZO n. INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4643/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/11/2022 -RG 1293/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell ’11 /12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 3584/2023 Cron. Rep. Ud.11/12/2024 CC
RILEVATO CHE
1. Con sentenza n. 1753/2022 il tribunale di Roma rigettava l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale, all’esito della fase sommaria, era stato rigettato il ricorso proposto dallo stesso COGNOME per l’impugnativa del licenziamento intimatogli per giusta causa con nota del 24.1.2020, in relazione agli addebiti contenuti nella lettera di contestazione disciplinare del 18.10.2019. In particolare, nella lettera di contestazione disciplinare veniva fatto riferimento agli addebiti contestati al COGNOME dalla Procura di Milano nella richiesta di rinvio a giudizio, pervenuti alla società datrice di lavoro, Rai – Radiotelevisione Italiana, tramite comunicazione ex art. 129 disp. att. c.p.p.. La Procura di Milano aveva, infatti, emesso, in data 12.10.2019, richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del COGNOME, insieme ad altri, con i seguenti capi di imputazione: 1) reato di cui agli artt. 56 e 319 quater, comma 1, c.p., perché, quale incaricato di pubblico servizio come giornalista della Rai S.p.A., interloquendo con NOME COGNOME abusando della sua posizione, compiva atti idonei in modo non equivoco a indurre il COGNOME a promettergli indebitamente una somma di denaro per l’inserimento della sua agenzia di moda nel servizio televisivo che il COGNOME stava preparando per il dossier ‘Saranno Famosi’; evento non realizzatosi per il mancato accoglimento di tale proposta da parte del COGNOME la cui intervista non veniva poi inserita nel servizio televisivo; 2) reato di cui all’art. 319 quater, comma 1 e 2, c.p., perché il COGNOME, quale incaricato di pubblico servizio come giornalista della Rai S.p.A., interloquendo con il legale rappresentante dell’Accademia della RAGIONE_SOCIALE.r.l., NOME COGNOME abusando della sua posizione, induceva quest’ultimo a promettergli indebitamente, ancorché con l’intenzione di restituirle, somme di denaro per la promozione della sua attività di formazione dei giovani nel campo della moda; il COGNOME si risolveva a versare tali somme per mezzo di due distinti bonifici intestati a NOME COGNOME – proprietario dell’appartamento di residenza del COGNOME -, recanti causali, rispettivamente, ‘fitto immobile INDIRIZZO int. 6B RM’ e ‘fitto NOME COGNOME per garantirsi
l’inserimento, poi realizzato, nel dossier televisivo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ dell’intervista a due giovani studenti della suddetta Accademia; 3) reato di cui all’art. 319 quater , comma 1 e 2, c.p., perché il COGNOME, quale incaricato di pubblico servizio come giornalista della Rai S.p.A., interloquendo con NOME COGNOME, abusando della sua posizione, induceva quest’ultimo, quale legale rappresentante della società di strategie di comunicazione, RAGIONE_SOCIALE, a promettergli indebitamente, ancorché con l’intenzione di restituirle, somme di denaro per la promozione delle realtà imprenditoriali di cui COGNOME era consulente; il COGNOME si risolveva a versare tali somme per garantire l’inserimento, poi avvenuto, dell’intervista dell’arch. NOME COGNOME nell’ambito degli eventi connessi alla promozione del marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘ presso il Salone del Mobile di Milano; 4) reato di cui all’art. 319 quater, comma 1 e 2, c.p., perché il COGNOME, quale incaricato di pubblico servizio come giornalista della Rai S.p.RAGIONE_SOCIALE, interloquendo con l’avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME abusando della sua posizione, induceva il COGNOME, quale membro del Consiglio di Amministrazione della società che deteneva integralmente le quote della RAGIONE_SOCIALE, a promettergli indebitamente somme di denaro per la promozione del progetto ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ideato dalla menzionata società calcistica. La proposta veniva accolta dal COGNOME che prometteva di corrispondere le somme richieste, cui seguiva la messa in onda del servizio di promozione del progetto nel TG2; la promessa di pagamento non veniva però successivamente onorata da parte dell’avvocato.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 4643/2022 pubblicata il 28.11.2022 ha rigettato il reclamo proposto dal COGNOME, ritenendo che la datrice di lavoro Rai S.p.A. avesse ‘ correttamente adempiuto all’onere probatorio sulla stessa incombente, risultando sufficientemente dimostrata la sussistenza dei fatti addebitati nella lettera di contestazione disciplinare, cui ha fatto seguito il licenziamento per giusta causa ‘. Sottolineava, infatti, come la Rai ‘ ha allegato e prodotto, insieme ad altre prove documentali, anche gli atti delle indagini raccolti in sede penale, ivi
compresi i verbali di assunzione di informazioni ex artt. 362 e 370 c.p.p. di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché la richiesta di rinvio a giudizio allegata alla comunicazione ex art. 129 disp. att. c.p.p.. notificata alla società datrice di lavoro’. In base a quanto emergente dagli elementi probatori, la Corte ha, dunque, ritenuto che il COGNOME, quale redattore Rai del settore moda da svariati anni, esercitasse una posizione di ‘influenza’ rispetto alle scelte dei suoi superiori in ordine ai servizi che potessero essere più di interesse per gli spettatori e che in ragione di ciò avesse percepito o si fosse fatto promettere somme di danaro, non a titolo personale, bensì ‘ come ‘aggio’ per la realizzazione di servizi da mandare successivamente in onda ‘ e che ‘ tale condotta, a prescindere dall’accertamento dell’eventuale sussistenza di ipotesi penalmente rilevanti, si pone in assoluta antitesi con i doveri di fedeltà e diligenza imposti al lavoratore, nonché con le norme del Codice Etico adottate dalla società datrice di lavoro’. In conclusione, la Corte d’appello di Roma ha ritenuto sufficientemente provati i fatti posti a base del licenziamento e proporzionata la sanzione del licenziamento rispetto alle condotte tenute dal lavoratore che avevano determinato il venir meno del vincolo fiduciario.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il COGNOME affidato a quattro motivi.
4.La RAGIONE_SOCIALE replica con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso il COGNOME eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 5 l. 604/66 per aver la Corte d’Appello posto in essere un’illegittima inversione dell’onere della prova emergente dalla sentenza impugnata laddove è stata ritenuta provata la giusta causa di licenziamento non già sulla base di una prova diretta da parte datoriale
bensì dalla circostanza secondo cui il lavoratore non avrebbe provato l’insussistenza del fatto contestatogli.
Con il secondo motivo di ricorso si impugna la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 11 del CNLG in materia di prerogative del redattore ordinario rispetto a quelle dei superiori gerarchici, caporedattore e direttore, per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che tra le prime rientrasse anche la proposizione di servizi giornalistici ai fini della messa in onda con conseguente approvazione da parte dei dirigenti laddove tanto l’approfondimento del servizio proposto quanto l’eventuale messa in onda è competenza unicamente del dirigente e del giornalista posto a capo della redazione (Caporedattore) i quali solo hanno la responsabilità nei confronti della società. Deduce, pertanto, l’errata applicazione delle suddette norme nella parte in cui il giudice del gravame ritiene che rientri tra le prerogative del giornalista quella di proporre servizi ..’con la conseguente approvazione da parte dei direttori’ laddove l’attività del redattore ordinario si pone alla base della struttura gerarchica piramidale che caratterizza il lavoro della redazione di testata per come disciplinata dalle norme del CNLG e per come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità. Evidenzia il carattere decisivo di tale (errata) affermazione essendo stata utilizzata come base (‘presupposto indefettibile’) per il successivo ragionamento inferenziale esposto in sentenza che ha condotto la Corte d’Appello a ritenere provata la giusta causa di licenziamento. Il COGNOME è stato, infatti, ritenuto responsabile del fatto addebitato ovvero di aver richiesto, percepito o essersi fatto promettere somme di denaro per ottenere in cambio servizi promozionali sulle attività facenti capo, a vario titolo, ai soggetti passivi proprio in ragione della ritenuta capacità/potere di influenzare le decisioni dei dirigenti sui servizi da mandare in onda o da scartare.
Con il terzo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in quanto il ragionamento presuntivo svolto dal giudice del merito è irrispettoso del paradigma della gravità, della precisione e della concordanza in ossequio alle disposizioni in materia di
presunzioni semplici, nella parte in cui i giudici del gravame, non potendo, per carenza di prova piena, accertare la commissione del fatto addebitato, – ovvero la circostanza che il COGNOME abbia determinato taluno dei soggetti passivi coinvolti, consapevoli dell’indebita pretesa, a dare o promettere, a lui medesimo, denaro o altre utilità in cambio di una promozione delle diverse attività – partendo dal presupposto secondo cui il COGNOME avrebbe avuto il potere di influenzare le scelte dirigenziali su quali servizi effettuare e quali di questi mandare in onda (fatto noto) attraverso un ragionamento inferenziale perviene a ritenere provato il fatto ignoto, ovvero l’induzione a farsi dare o promettere danaro per avere in cambio la dedotta promozione. A supporto il giudice di secondo grado ritiene che deponga in tal senso anche la circostanza per cui la messa in onda del servizio sia avvenuta solo nel caso in cui vi è stato un pagamento (COGNOME e COGNOME) o una promessa di pagamento (COGNOME) e non anche nel caso in cui il pagamento non sia avvenuto (COGNOME). In primo luogo, è errato il presupposto (definito dai giudici di merito come ‘indefettibile’) assunto come fatto noto da cui è stata fatta discendere la sussistenza del fatto ignoto: ossia la circostanza secondo cui il Fatone era in grado di influenzare le decisioni dei dirigenti sui servizi da effettuare e su quelli da mandare in onda. Da ciò, pertanto, consegue che la mera possibilità di influenzare le decisioni non è in grado di supportare il concetto secondo cui i soggetti passivi affidassero o promettessero al Fatone somme in cambio di un’utilità se di tale utilità non avessero avuto alcuna certezza. E’ logico ritenere, infatti, sotto il profilo della gravità, ovvero del grado di probabilità della sussistenza del fatto da provare, che in alcun modo i soggetti passivi (per i quali, si ricorda, vi sono contestuali responsabilità penali) avrebbero concluso accordi (illeciti) con un soggetto senza avere la certezza che, una volta corrisposto il prezzo, la loro attività sarebbe stata oggetto di servizi promozionali messi in onda nel corso di una rubrica del TG2. Neanche può dirsi sussistente il requisito della concordanza nel senso inteso dalla Corte d’Appello laddove è un fatto che
sia COGNOME che COGNOME confermano che i soldi al Fatone sono stati da questi richiesti e da loro corrisposti unicamente a scopo personale.
Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce la nullità della sentenza impugnata ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. per violazione dell’art. 437 cpc in relazione all’art. 2697 c.c. per non aver la Corte d’Appello esercitato i poteri officiosi pur essendo stata a ciò sollecitata dalla parte appellante al fine di acquisire il fascicolo delle indagini preliminari e della successiva fase dibattimentale oltre che al fine di assumere d’ufficio le dichiarazioni di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda del ricorrente. Evidenzia al riguardo di aver ‘in più passaggi evocato l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio deducendo la lacunosità del giudizio espresso dai precedenti giudici di merito i quali, pur dichiarando la legittimità del licenziamento sulla base delle sole risultanze delle indagini preliminari, non avevano compiutamente vagliato le dichiarazioni ivi raccolte così come non avevano vagliato quelle raccolte nella successiva fase dibattimentale’ e di aver chiesto, anche ai sensi dell’art. 437 cpc, l’acquisizione delle testimonianze come da richiesta istruttoria che si riporta in ricorso (cfr pag. 48 atto di reclamo).
5. Il ricorso, anche a voler prescindere dalle irrituali modalità di redazione mediante assemblaggio di atti e documenti del giudizio penale, inframezzati da semplici frasi di passaggio: (modalità non rispettose del principio di cui all’art. 366 cod. proc. civ.: cfr. in tal senso Cass. sez.lav. n. 26837 del 25/11/2020, Rv. 659630 – 01; Cass. n. 33353 del 30/11/2023, Rv. 669663 – 01; Cass. n. 22185 del 30/10/2015, Rv. 637747 – 01), va rigettato.
6. Il primo motivo è infondato. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una (asserita) incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto che la parte onerata avesse assolto tale onere. La valutazione
sull’assolvimento dell’onere probatorio costituisce, infatti, accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, se correttamente e logicamente motivato. Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che nell’ambito del sindacato di legittimità non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. tra le tante Cass. n. 32505 del 22/11/2023, Rv. 66941201; Cass. n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541-01; Cass n. 19064 del 05/09/2006; Cass. n. 2935 del 10/02/2006).
6.1. Nel caso di specie la Corte d’appello, dopo aver chiaramente riaffermato il principio secondo il quale l’onere probatorio relativo alla sussistenza delle condotte contestate e del conseguente venire meno del rapporto fiduciario ricade sul datore di lavoro, ha, in primo luogo, precisato che tale onere probatorio può essere assolto ‘ mediante la produzione degli atti di indagine compiuti in sede penale (Cass., 26/10/2017, n. 25458), rimanendo saldo il principio, come si è detto, per cui il giudice civile potrà autonomamente valutare gli elementi raccolti in quella sede e giungere, eventualmente, a conclusioni anche differenti rispetto a quel giudizio ‘. In secondo luogo, ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova dei fatti addebitati al lavoratore nella lettera di contestazione in base alle prove documentali prodotte dalla Rai s.p.a. ed in particolare ‘ gli atti delle indagini raccolti in sede penale, ivi compresi i verbali di assunzione di informazioni ex artt. 362 e 370 c.p.p. di Rizzica NOME e COGNOME NOMECOGNOME nonché la richiesta di rinvio a giudizio allegata alla comunicazione ex art. 129 disp. att. c.p.p.. notificata alla società datrice di lavoro ‘.
7. Il secondo motivo è inammissibile. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa ritenuti rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi. La Corte d’appello, infatti, non ha affermato, come erroneamente dedotto dal ricorrente, che rientrasse ‘nelle prerogative’ del redattore ordinario proporre servizi giornalistici essendo rimesso ai dirigenti la mera approvazione della messa in onda, così violando le norme del CCNL richiamate. La Corte, al contrario, con ampia ed articolata motivazione ed in base ad un accertamento in fatto insindacabile in questa sede, ha ritenuto che risultasse provato ‘ sia dai verbali di assunzione di informazioni presso la Procura di Milano sia dalle deposizioni testimoniali rese all’udienza dibattimentale del 20.9.2022, nonché in sede di giustificazioni ‘, che il Fatone, in via di fatto ed in forza della sua pluriennale esperienza in materia quale redattore Rai del settore moda da svariati anni, ‘ avesse il potere di influenzare le scelte dei suoi superiori in ordine ai servizi che potessero essere più di interesse per gli spettatori ‘.
8. Il terzo motivo è inammissibile. Il motivo, il cui contenuto è stato sopra sunteggiato, verte sul modo con cui la sentenza impugnata ha utilizzato
le presunzioni semplici, ma non è articolato in modo idoneo ad evidenziare il vizio di violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. esaminabile in sede di legittimità. In tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. e dell’idoneità degli elementi presuntivi considerati a fondare una inferenza di tipo probabilistico riguardo ai fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. La violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., ricorre solo quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541), evenienza che, nel caso in esame, non è stata nemmeno dedotta dal ricorrente. Per contro, è inammissibile il motivo quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali, per essere il giudice partito da un presupposto fattuale erroneo, o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (v. Cass. 29 maggio 2023, n. 27266; 21 marzo 2022, n. 9054), o, ancora, ‘senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’articolo 2729, comma 1 (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’articolo 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti . Terreno che, come le Sezioni Unite,
(Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente l’articolo 360 c.p.c., nuovo n. 5, è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito ha omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria’ (v. Cass., sez. un., 1785/2018).
8.1. Tutto ciò premesso, l’illustrazione del motivo in esame non prospetta la falsa applicazione dell’articolo 2729, comma primo, cod. civ. nei termini su indicati, ma si risolve soltanto nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali, per essere il giudice (asseritamente) partito da un presupposto fattuale erroneo (il potere del Fatone di influenzare le decisioni dirigenziali in ordine alla messa in onda dei servizi giornalistici). Da ciò consegue che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’articolo 2729, comma primo, cod. civ..
8.2. Occorre, peraltro, rilevare che la Corte d’appello con un articolato ragionamento logico presuntivo, coerente con i principi enunciati da questa Corte sopra richiamati ha ritenuto provato l’addebito – consistente nel farsi dare o promettere somme di danaro al fine di promuovere le attività svolte da determinati soggetti tramite inserimento in servizi giornalistici -tenendo conto di altri fatti quali, in particolare, la circostanza che ‘ in seguito alla richiesta di denaro non accolta dal COGNOME, l’intervista di quest’ultimo venisse espunta dal servizio e non venisse mandata in onda, a differenza invece delle interviste ai due giovani studenti dell’Accademia di Moda di Napoli, IUAD, di cui NOME COGNOME era presidente. Quest’ultimo, a differenza del Rizzica, aveva, infatti, effettuato due distinti bonifici per il pagamento dei canoni di locazione in favore del proprietario dell’appartamento di residenza del Fatone’ e ‘ la coincidenza dell’immediato inserimento dell’intervista all’architetto
collaboratore del marchio sponsorizzato dal RAGIONE_SOCIALE con la corresponsione di somme da parte di quest’ultima.
Il quarto motivo è del pari inammissibile. Occorre, infatti, sottolineare, in tema di poteri istruttori del giudice, che rientra nella discrezionalità del giudice di merito il potere di non ammettere prove chieste dalla parte, quando i fatti risultino accertati a sufficienza e le prove richieste appaiano, per la stessa prospettazione della parte, inidonee a vanificare anche parzialmente il detto accertamento. Il giudice di merito non è, peraltro, tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede di legittimità, ritenga sufficientemente istruito il processo. Al riguardo la superfluità dei mezzi non ammessi può implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza. Del pari, l’acquisizione di documenti non prodotti dalle parti è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (cfr Cass. n. 27412 del 08/10/2021, Rv. 662416-02; Cass. Sez. L, n. 15502 del 02/07/2009, Rv. 609042-01; Cass. n. 14611 del 12/07/2005).
9.1. La Corte d’Appello, del resto, come emerge dalla lettura della sentenza, ha esaminato la documentazione di cui il COGNOME lamenta la mancata acquisizione ed ha ritenuto implicitamente che non fosse necessario assumere altre prove, avendo ritenuto (vd pag. 6) sufficienti ai fini della decisione della controversia ‘ gli atti delle indagini raccolti in sede penale, ivi compresi i verbali di assunzione di informazioni ex artt. 362 e 370 c.p.p. di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché la richiesta di rinvio a giudizio allegata alla comunicazione ex art. 129 disp. att. c.p.p.. notificata alla società datrice di lavoro ‘ prodotti dalla Rai S.p.A., insieme ad altre prove documentali, sin dal primo grado; nonché i ‘ verbali di assunzione di informazioni presso la Procura di Milano ‘, ‘ le
deposizioni testimoniali rese all’udienza dibattimentale del 20.9.2022 (doc. depositato in atti all’udienza del 10.11.2022), nonché in sede di giustificazioni (5.11.2019) ‘. Al riguardo va chiarito che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. tra le più recenti Cass. n. 14577 del 2024; Cass. Sez. L, n. 32406 del 2023 e tra le pronunce massimate Cass. n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328-01; Cass. Sez. L, n. 17097 del 21/07/2010, Rv. 614797-01).
9.2. La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, di conseguenza le censure proposte mirano ad una impropria revisione del giudizio di fatto precluso in sede di legittimità.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
La Corte rigetta il ricorso
condanna NOME Franco al pagamento, in favore della società controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione