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Licenziamento disciplinare per rissa: è legittimo?

Un dipendente di un centro di raccolta, licenziato per aver tenuto un comportamento aggressivo e violento durante un alterco con un utente, ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la legittimità del licenziamento disciplinare. La decisione si basa sulla gravità della condotta del lavoratore, che ha ecceduto i suoi doveri intervenendo in una colluttazione e usando violenza ingiustificata, minando così in modo irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Disciplinare per Rissa: la Cassazione Conferma la Legittimità

Il licenziamento disciplinare rappresenta la sanzione più grave che un datore di lavoro possa infliggere a un dipendente, intervenendo quando il comportamento di quest’ultimo mina irrimediabilmente il rapporto di fiducia. Ma cosa accade quando un lavoratore è coinvolto in una rissa sul luogo di lavoro? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, confermando la legittimità del licenziamento di un dipendente per condotta aggressiva e violenta nei confronti di un utente.

I Fatti del Caso: Aggressione in un Centro di Raccolta

La vicenda ha origine in un centro di raccolta rifiuti, dove un dipendente è stato licenziato il 22 aprile 2017. Il motivo? Aver tenuto, insieme a un collega, un comportamento scorretto e aggressivo verso un utente.
Nello specifico, era scoppiata una colluttazione fisica tra un collega del lavoratore e l’utente. Quest’ultimo si trovava già in una posizione di vulnerabilità, seduto a terra con un braccio bloccato. Invece di placare gli animi, il lavoratore è intervenuto bloccando l’altro braccio dell’utente con un piede, afferrandogli la testa per i capelli, strattonandolo e spingendolo all’indietro. Per finire, ha chiuso il cancello del centro, impedendo di fatto la fuga all’utente.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Se in primo grado il giudice aveva dato ragione al lavoratore, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, ritenendo il licenziamento legittimo e proporzionato alla gravità dei fatti, provati da riprese di telecamere e testimonianze.
Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali. Sosteneva che la Corte d’Appello avesse omesso di valutare fatti decisivi, come le presunte offese e minacce ricevute dall’utente, il fatto che quest’ultimo fosse solo parzialmente immobilizzato e quindi ancora potenzialmente pericoloso, e che il cancello fosse stato chiuso per motivi di sicurezza. Inoltre, ha evidenziato l’assenza di precedenti disciplinari a suo carico.

La Decisione della Cassazione sul licenziamento disciplinare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito che i motivi presentati non denunciavano reali violazioni di legge, ma miravano a una rivalutazione dei fatti e delle prove, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (primo grado e appello) e non alla Corte di Cassazione.

Le Motivazioni

I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si può ridiscutere l’intera vicenda. Il suo scopo è verificare la corretta applicazione del diritto, non riesaminare le prove. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione ampia, approfondita e logica, illustrando chiaramente le ragioni per cui la condotta del lavoratore era stata ritenuta una grave infrazione disciplinare.
La Corte ha ritenuto che la valutazione della condotta del dipendente e la proporzionalità della sanzione espulsiva fossero state operate correttamente, tenendo conto di tutti gli aspetti concreti: la natura del rapporto di lavoro, le mansioni specifiche, la portata dei fatti e l’intenzionalità del gesto. Le argomentazioni del lavoratore, volte a minimizzare la propria responsabilità e a evidenziare presunte omissioni dei giudici d’appello, sono state respinte come un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo giudizio di merito.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce che un comportamento violento e aggressivo sul luogo di lavoro costituisce una grave violazione dei doveri del dipendente e può giustificare un licenziamento disciplinare. La valutazione della gravità del fatto e della proporzionalità della sanzione è riservata al giudice di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità se la motivazione è logica e completa. Anche in presenza di presunte provocazioni, la reazione del lavoratore deve essere proporzionata, e l’escalation della violenza, come avvenuto in questo caso, è un fattore che rompe definitivamente il legame di fiducia necessario per la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Un comportamento aggressivo di un dipendente giustifica sempre un licenziamento disciplinare?
Sì, secondo questa ordinanza, un comportamento gravemente scorretto e aggressivo può giustificare un licenziamento disciplinare se viene ritenuto una violazione grave dei doveri del lavoratore e se rompe in modo irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

La provocazione da parte di un cliente o utente può essere considerata una valida scusante per una reazione violenta?
No, la Corte ha implicitamente confermato la valutazione del giudice d’appello, secondo cui la reazione del lavoratore è stata sproporzionata e grave, a prescindere da eventuali provocazioni. La violenza fisica, specialmente quando si infierisce su una persona già in difficoltà, costituisce una grave infrazione.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove come le testimonianze o i video di sorveglianza?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare le prove o i fatti del caso. Questo compito spetta ai giudici di primo e secondo grado. Il ricorso in Cassazione serve solo a controllare la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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