Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32150 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32150 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11190-2022 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 34/2022 della CORTE D’APPELLO di SASSARI, depositata il 23/02/2022 R.G.N. 241/2021;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 11190/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 26/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Sassari, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 22.4.2017 per avere tenuto un comportamento scorretto e aggressivo, insieme ad altro dipendente, nei confronti di un utente dell’Ecocentro di Olbia ove il lavoratore era assegnato.
La Corte territoriale, ha, con ampia ed approfondita argomentazione, rilevato che il quadro probatorio acquisito (riprese delle telecamere presenti all’interno della struttura e prova testimoniale) consentiva di ritenere accertato il grave comportamento tenuto dal dipendente, in qualità di addetto all’Ecocentro, il quale, intervenendo nella colluttazione fisica tra un collega e un utente del suddetto centro, già messo in condizioni di minorata libertà di azione (in quanto seduto a terra con il braccio bloccato), ha ulteriormente infierito bloccando l’altro braccio con il piede, impedendo all’utente di alzarsi, prendendogli la testa per i capelli, strattonandola e buttandola all’indietro, e chiudendo il cancello al fine di impedirne la fuga; la Corte ha rilevato la violazione grave dei doveri che competono al lavoratore, come anche precisati dall’art. 69 del CCNL Igiene Ambientale FISE, e la proporzionalità della sanzione espulsiva.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo, la Corte territoriale, trascurato che l’utente dell’RAGIONE_SOCIALE non solo aveva insultato i dipendenti della struttura ma li aveva anche minacciati.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, violazione dell’art, 132, n., 4, c.p.c. nonché motivazione contraddittoria, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 346 c.p.c., 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale, trascurato che l’utente era solo parzialmente immobilizzato a terra dal collega del COGNOME ed era, quindi, potenzialmente pericoloso.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo, la Corte territoriale, trascurato che il caposquadra aveva avvisato telefonicamente il Responsabile dell’RAGIONE_SOCIALE invitandoli a porre in essere le opportune iniziative ed a chiamare le forze dell’ordine.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo, la Corte territoriale, trascurato le minacce ricevute dagli addetti alla struttura, la lunga permanenza dell’utente presso l’Ecocentro, la natura prudenziale dell’ordine di chiudere il cancello (affinché le vetture che affluivano non investissero i litiganti), l’assenza di precedenti disciplinari.
Il ricorso è inammissibile.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge oppure come omessa esame di un fatto decisivo mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
6.1. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
6.2. Va ribadito al riguardo l’orientamento consolidato espresso dalle Sezioni Unite secondo cui, all’esito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in relazione all’apprezzamento delle risultanze processuali rileva solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, e che abbia carattere decisivo. L’omesso esame di elementi istrutt ori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie e neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante nel giudizio di legittimità (si rimanda alla motivazione di Cass. S.U. 27 dicembre 2019 n. 34476, che richiama Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053; Cass. S.U. 18 aprile 2018 n. 9558; Cass. S.U. 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass. S.U. 22 febbraio 2023 n. 5556).
6.3. La nullità della sentenza per mancanza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., è prospettabile quando la motivazione manchi addirittura graficamente, ovvero sia così oscura da non lasciarsi intendere da un normale intelletto. In particolare, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cfr. Cass. n. 3819 del 2020), non essendo più ammissibili, a seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata (Cass. n. 23940 del 2017). 6.4. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha dedicato ampio spazio ad illustrare le ragioni per le quali ha ritenuto grave l’infrazione disciplinare del lavoratore, ragioni che non possono dirsi né mancanti né inintelligibili; la valutazione della condotta tenuta dal dipendente è stata operata -secondo l’orientamento consolidato di questa Corte – con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo
rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (cfr. in tema Cass. n.1977 del 2016, Cass. n. 1351 del 2016, Cass. n. 12059 del 2015 Cass. n. 25608 del 2014).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarre.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 novembre