Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1931 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 1931 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30431/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e dife sa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la Sentenza del la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE n. 3807/2022, depositata il 13.10.2022;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE -confermando la sentenza del Tribunale della medesima città -rigettò l’impugnazione del
licenziamento disciplinare senza preavviso comminato in data 10.2.2021 alla ricorrente dall’RAGIONE_SOCIALE , che l’aveva assunta all’esito di una procedura concorsuale alterata dagli illegittimi interventi in suo favore concordati con uno dei componenti la commissione esaminatrice.
Contro la sentenza della Corte d’Appello la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. L’RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno anche depositato memoria illustrativa. Il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso. Alla pubblica udienza sono intervenuti il rappresentante del Pubblico Ministero e i difensori di entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, come vizio di cui a ll’art . 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001, artt. 2697, 1334 e 1335 c.c. Erroneità della sentenza in relazione alla prova della effettiva conoscenza della contestazione e conseguente tardività della stessa. Violazione dei termini complessivi di durata».
Oggetto di attenzione da parte della ricorrente è la comunicazione dell’atto di contestazione disciplinare, avvenuta mediante lettera raccomandata che fu inviata al suo indirizzo il 17.9.2020, ma che venne restituita al mittente per compiuta giacenza. La ricorrente nega di avere avuto notizia della giacenza del plico all’ufficio postale e imputa alla Corte d’Appello di non avere fatto, sul punto, una corretta applicazione delle norme sulla ripartizione degli oneri probatori.
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1. La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione della presunzione di conoscenza posta dall’art. 1335 c.c. (presunzione legale relativa), prendendo atto del fatto documentato che la
comunicazione pervenne all’indirizzo della destinataria , anche se non fu consegnata per la mancanza di persone idonee a riceverla.
Era dunque onere della ricorrente dare la prova «di essere stata, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia». La Corte territoriale ha quindi prudentemente apprezzato i fatti noti sulla base dei quali eventualmente accertare l’allegata anomalia dell’omesso inserimento dell’avviso di giacenza nella cassetta della posta (omesso avviso che, a sua volta, avrebbe potuto giustificare il giudizio di incolpevole ignoranza). In base a tale apprezzamento il giudice d’appello è giunto alla conclusione che non fosse stata raggiunta la prova dell’omesso avviso, in particolare valorizzando l a debolezza degli indizi a favore della tesi della ricorrente e la presenza di alcuni indizi discordanti (tra i quali il fatto che la ricorrente non aveva lamentato la mancata conoscenza della contestazione nelle difese svolte nel corso del procedimento disciplinare).
Il prudente apprezzamento del materiale istruttorio compete al giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, fermo restando che l’uso delle presunzioni semplici non è uscito dai canoni dell’art. 2729 c.c. La residua incertezza sul fatto allegato dalla ricorrente è rimasta a suo carico, in quanto parte onerata della prova contraria alla presunzione legale relativa.
1.1.2. Si deve altresì aggiungere un ‘ ulteriore e autonoma ragione che conferma la correttezza del dispositivo adottato dalla Corte d’Appello. L’affermazione della ricorrente di non avere ricevuto la comunicazione dell’atto di contestazione è strumentale all’eccezione di decadenza per mancato rispetto del termine perentorio di 30 giorni fissato, per tale atto, dall’art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001.
Ebbene, per il rispetto di tale termine non è necessario che l’atto di contestazione disciplinare sia comunicato al lavoratore, essendo sufficiente che esso sia emanato dall’ apposito ufficio (Cass. n. 16900/2016) . Infatti, benché l’atto di contestazione sia un atto recettizio, che deve essere portato a conoscenza del destinatario per
produrre i suoi effetti, tuttavia in caso di emissione tempestiva, il ritardo nella comunicazione può dare luogo a nullità solo se l ‘ interessato provi di avere subito un concreto pregiudizio all ‘ esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 6555/2019).
Nel caso di specie, non è in discussione la tempestiva emissione dell’atto di contestazione disciplinare , ma solo la tempestività della sua comunicazione, e la ricorrente non ha allegato in alcun modo che il preteso ritardo abbia pregiudicato il suo diritto di difendersi già in sede disciplinare.
È poi appena il caso di aggiungere, poiché nella rubrica del motivo si fa cenno anche alla «Violazione dei termini complessivi di durata» del procedimento disciplinare, c he l’eventuale ritardo nella contestazione dell’addebito avrebbe eventualmente procrastinato, e non certo abbreviato, il termine di 120 giorni per concludere il procedimento disciplinare, posto che tale termine decorre proprio dalla contestazione dell’addebito (art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001, con la precisazione che trova applicazione, nel caso di specie, il testo novellato dall’art. 13 del d.lgs. n. 75 del 2017).
Il secondo motivo censura, sempre come vizio di cui a ll’art . 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 55 -ter , commi 2, 3 e 4, d.lgs. n. 165/2001. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha omesso di operare il necessario controllo sui presupposti della sospensione del procedimento disciplinare e sulla sua successiva riattivazione».
Secondo la ricorrente, l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto sospendere il procedimento disciplinare appena avviato sulla base della ricezione della richiesta di rinvio a giudizio penale, per poi riattivarlo, prima della definizione del processo penale, per contestare i medesimi fatti già risultanti dal capo di imputazione della richiesta di rinvio a giudizio.
2.1. Anche questo motivo è infondato.
La ricorrente contesta, in modo promiscuo, sia la decisione di sospendere che quella di riattivare il procedimento disciplinare.
La Corte d’Appello ha rilevato che «la reclamante non spiega per quale ragione eventuali motivi di illegittimità della sospensione possano riverberarsi sul licenziamento», esprimendosi comunque nel senso della legittimità della decisione di sospenderlo.
Si può intuire che la contestazione sulla legittimità della sospensione fosse strumentale all’eccezione di decadenza dal potere disciplinare per mancato rispetto del termine di 120 giorni per concludere il procedimento (mentre la considerazione preliminare del giudice d’appello rimane valida per la contestazione sulla legittimità del riavvio del procedimento disciplinare). Tuttavia, è corretta la considerazione che la sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del processo penale è una scelta discrezionale che spetta al datore di lavoro, così come quella di riattivarlo prima della definizione del processo penale, allorquando ritenga che gli elementi successivamente acquisiti siano sufficienti per la decisione (Cass. nn. 7085/2020, 12662/2019).
Ma anche volendo sindacare la conformità ai criteri di legge dell’esercizio di tale potere discrezionale , non si può negare che la pubblica amministrazione fosse giunta «in possesso di elementi nuovi», nel momento in cui ricevette il verbale di interrogatorio della ricorrente e i tabulati delle intercettazioni telefoniche (v. sentenza impugnata, alla quarta facciata). È vero che alle «fonti di prova», tra le quali «intercettazioni di conversazioni», faceva menzione anche la richiesta di rinvio a giudizio, ma -a parte il fatto che non era menzionato l’interrogatorio dell’indagata -è persino banale osservare che una cosa è avere notizia delle fonti di prova, cosa ben diversa è disporre di quelle fonti e poterne esaminare il contenuto.
Infine, il terzo motivo è così rubricato: «art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2119 c.c., art. 55 -bis d.lgs. n. 165/2001, art. 434 c.p.c. Inapplicabilità del procedimento disciplinare per fatti e condotte antecedenti l’instaurazione del rapporto ».
Secondo la ricorrente, un comportamento tenuto prima dell’assunzione non avrebbe potuto essere oggetto di sanzione disciplinare, ma, eventualmente, di recesso del datore di lavoro per giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 c.c.
3.1. La censura è infondata, perché la contestazione non riguarda un comportamento estraneo al rapporto di lavoro, ma, al contrario, inerente proprio all’instaurazione di quel rapporto.
Basti pensare che l’ art. 55 -quater , comma 1, lett. d , del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede espressamente quali ipotesi sanzionabili con il licenziamento disciplinare, «Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo», le «falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell ‘ instaurazione del rapporto di lavoro». Il che smentisce, sul piano indiscutibile dell’evidenza normativa, la tesi dell’incompatibilità tra procedimento disciplinare e comportamenti tenuti «in occasione dell ‘ instaurazione del rapporto di lavoro».
3.2. Ad ogni modo, sulla infondatezza del motivo prevale la sua inammissibilità, già rilevata dalla Corte territoriale con riferimento al corrispondente motivo d’appello, perché la ricorrente non spiega quali sarebbero «le forme e i modi diversi» che l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto seguire e quali le «conseguenze estremamente diverse per il lavoratore» che sarebbero derivate da un licenziamento per giusta causa. In altri termini, non viene allegato un vulnus al diritto di difesa della ricorrente (diritto di difesa che, anzi, il procedimento disciplinare è volto a garantire), né altro interesse a proporre il motivo di censura.
Respinto il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13 , comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte della ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese legali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge;
a i sensi dell’art. 13 , comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio del 5.12.2023.