Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23052 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23052 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21229-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2447/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/06/2021 R.G.N. 556/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/06/2024
CC
RILEVATO CHE
In data 4.11.2015 veniva intimato dall’RAGIONE_SOCIALE licenziamento disciplinare al dipendente NOME COGNOME, con qualifica di Quadro e con mansioni di responsabile del settore ‘Servizi agli edifici’ presso l’Aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, per av ere il 6.10.2015, durante una riunione convocata dal suo Responsabile COGNOME volta a valutare l’andamento del servizio di Pulizie in azienda da parte del nuovo fornitore RAGIONE_SOCIALE, alla presenza di altri colleghi, ribadito, quanto già affermato in una conversazione del 15.9.2015 tenutasi con il predetto COGNOME al ‘Caffè’ e, cioè, che si sapeva che la gara per le pulizie doveva essere vinta dalla RAGIONE_SOCIALE, sostenendo di fatto l’illiceità della gara stessa.
Impugnato il recesso il Tribunale di Civitavecchia, già in fase sommaria e poi in sede di opposizione ex lege n. 92/2012, dichiarava la illegittimità del licenziamento con la reintegra del COGNOME nel posto di lavoro e con la condanna della datrice di lavoro al risarcimento del danno nella misura di un indennizzo pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2447/2021, rigettava il reclamo proposto dalla società.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) nella conAVV_NOTAIOa del COGNOME non era ravvisabile l’ipotesi della insubordinazione essendo essa consistita nella affermazione di una propria opinione basata su un giudizio personale circa la probabilità che la società RAGIONE_SOCIALE si aggiudicasse la gara rispetto alle altre partecipanti; b) la percezione del COGNOME, circa la insinuazione di una illiceità della gara, non era stata intesa nel medesimo modo da tutti gli altri presenti alla riunione; c) non vi era sta ta alcuna denigrazione dell’altrui operato; d) andava, quindi, condivisa la statuizione del primo giudice in ordine alla insussistenza del fatto per irrilevanza disciplinare della conAVV_NOTAIOa contestata, anche sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo.
Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE in amministrazione
straordinaria, affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
Il controricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cc, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che il comportamento contestato al COGNOME non integrasse una gravissima i nsubordinazione in quanto consistita nell’affermare, con chiare e non equivoche espressioni, all’interno dei locali aziendali e durante l’orario di lavoro, alla presenza sia di superiori gerarchici che di propri collaboratori, la parzialità della società nella assegnazione di appalti.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, si eccepisce la nullità della sentenza, per il contrasto insanabile tra le affermazioni contenute nella gravata pronuncia, ove pur essendo stato riportato il senso intrinseco delle dichiarazioni rese dai testi, circa l’accusa del COGNOME nei confronti del proprio datore di lavoro di parzialità nell’assegnazione degli appalti, tuttavia, tale accusa era stata ritenuta dalla Corte di appello come una opinione personale del dipendente senza alcun contenuto denigratorio o offensivo.
I due motivi, che per la loro connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
In primo luogo, va rilevato che la ricorrente, nella sostanza, invoca un improprio riesame di merito degli apprezzamenti istruttori, fondati sulle risultanze testimoniali e documentali. Esame che, ovviamente, è precluso al Giudice di legittimità.
Sotto altro profilo va ricordato che la ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 1362 e ss. cc, non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato da l giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso
l’ escamotage dell’evocazione dell’art. 1362 cod. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cod. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
Nella fattispecie, non si pone pertanto un problema di sussunzione, o meno, del comportamento oggetto di addebito, nella ipotesi della grave insubordinazione (da intendersi quale comportamento suscettibile di incidere sulla esecuzione e sul regolare svolgimento della prestazione lavorativa) avendo la Corte territoriale, con un accertamento di fatto, esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc come dopo sarà chiarito, valutato la conAVV_NOTAIOa del dipendente come mera espressione di un giudizio personale circa la probabilità della società RAGIONE_SOCIALE di aggiudicarsi la gara rispetto alle altre partecipanti.
Si trattava, quindi, a parere dei giudici di seconde cure, di una convinzione personale del COGNOME non percepita, peraltro, da tutti i presenti alla conversazione nel senso compreso dal AVV_NOTAIO. COGNOME e, in quanto tale, si trattava di un fatto irrilevante disciplinarmente.
In secondo luogo, quanto alle doglianze sulla motivazione aAVV_NOTAIOata dalla Corte territoriale, deve ribadirsi che la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016). A tale ipotesi
deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard ; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
10. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914). È nulla la sentenza sorretta da un costrutto motivazionale di pura ed evidente apparenza, attraverso il quale il giudice si è illegittimamente sottratto al dovere di spiegare le ragioni della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilità del percorso argomentativo, che non può ridursi al nudo atto di libera, anzi arbitraria, manifestazione del volere, avendo il giudice il dovere di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, non essendo bastevole una sommaria evocazione priva di un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (in tal
senso, da ultimo, Cass. nn. 9105/2017, 20921/2019, 13248/2020). Nullità che ricorre tutte le volte in cui resti insondabile il percorso argomentativo seguito dal giudice e cripticamente apodittica la decisione a riguardo della censura d’appello, potendosi affermare versarsi nell’ipotesi del modello di decisione apriori, nel quale assume rilievo l’atto del puro volere del giudice (rigetto dell’impugnazione), privo del costrutto giustificativo, in totale difformità del modello imposto dall’art. 111 Cost.
Nel caso in esame, invece, la sentenza rende motivazione compiuta, collegata alle risultanze istruttorie e logicamente ripercorribile, nel mentre la parte ricorrente propone unicamente un alternativo assetto motivazionale che avrebbe potuto darle ragione.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’11 giugno 2024