Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34411 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34411 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15396-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 15396/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 1309/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/12/2021 R.G.N. 143/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 2.8.2018 per diverbio litigioso con un ospite della struttura (che accoglie rifugiati di varie etnie) e degenerazione in vie di fatto.
La Corte territoriale, ha, rilevato che il quadro probatorio acquisito -pur dimostrando l’insorgere della lite non consentiva di verificare che la dipendente avesse innescato l’alterco e conseguentemente la condotta, pur se censurabile disciplinarmente, non era connotata da tale gravità da giustificare il licenziamento, non potendosi ritenere che la condotta rientrasse nell’ipotesi di ‘diverbio litigioso seguito da vie di fatto ‘ (ipotesi punita dal CCNL Turismo, applicato all’azienda, con la sanzione del licenziamento).
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. La lavoratrice ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 192 CCNL aziende del settore Turismo avendo, la Corte territoriale, trascurato che la
Suprema Corte già ha fornito una interpretazione della clausola collettiva applicata nel caso di specie (dovendosi, dunque, intendere per ‘alterco’ ‘qualsiasi discussione, o litigio, animata e scomposta tra due persone; se connotato dalle c.d. vie di fatto, invece, occorre che tale diverbio sia stato caratterizzato da un ricorso alla violenza, intesa come estrinsecazione di energia fisica trasmodante in un pregiudizio fisico, anche tentato, verso una persona o una cosa, ad opera di un uomo’ Cass. . 22636 del 2019) e ricorrendo, nel caso di specie, tutti i requisiti.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo in riferimento all’art. 192 CCNL applicato, avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che -per integrare la fattispecie negoziale -sia necessario che il dipendente inneschi l’alterco; inoltre, il racconto della stessa dipendente ha smentito la circostanza che la stessa si sia limitata a difendersi (avendo, invece, ostacolato con il proprio corpo la discesa delle scale da parte dell’ospite).
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omesso esame dei precedenti disciplinari posti in essere dalla lavoratrice ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva (nella specie, continui litigi con altra dipendente e negligente pulizia di parti della struttura, contestazioni del 2017 sfociate in due sanzioni conservative), precedenti trascurati dalla Corte territoriale (diversamente dal giudice di primo grado).
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966 nonché dell’art. 2697 c.c. avendo, la Corte territoriale, trascurato di
effettuare una precisa e puntuale ricostruzione delle circostanze di fatto dell’evento.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili e, nella parte residua, infondati.
Preliminarmente, va sottolineato che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ‘ (cfr., da ultimo, Cass., 2 maggio 2024, n. 11718; nello stesso senso, Cass., 27 gennaio 2022, n. 2356; Cass., 13 gennaio 2020, n. 331; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. civ., sez. lav., 8 settembre 2015, n. 17774; Cass., 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. Lav., 7 febbraio 2004, n. 2357): le censure che sollecitano, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento sono, pertanto, inammissibili.
Questa Corte, ancora di recente (Cass. n. 8642 del 2024), ha, inoltre, ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito ( ex pluribus : Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità – che implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia – è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza
impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, c.p.c., deve denunciare – beninteso, entro i limiti della c.d. “doppia conforme” – l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).
8. Con particolare riguardo alle previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari, questa Corte essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale – ha più volte espresso il generale principio che tali previsioni non vincolano il giudice di merito ( ex plurimis , Cass. n. 12365 del 2019; Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011), anche se ‘la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.’ (Cass. n. 9396 del 2018; Cass. n. 28492 del 2018) e considerato, altresì, che l’art. 30, comma 3, l. n. 183 del 2010, ha previsto che ‘nel valutare le motivazioni
poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro’ (cfr. Cass. n. 32500 del 2018; circa la natura non meramente ricognitiva delle disposizioni cont enute nell’art. 30 della l. n. 183 del 2010 v. anche Cass. n. 25201 del 2016).
9. Ebbene, nel caso di specie la valutazione della gravità della infrazione è stata operata dal giudice di merito con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. nn. 1351 e 1977 del 2016, Cass. n. 12059 del 2015), e tale attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. ‘è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards , conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale’ (cfr. Cass. n. 13534 de l 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005), censura non avanzata in questa sede.
10. In specie, la Corte territoriale, pur considerando la previsione della parti sociali (che, nel codice disciplinare, inserisce il ‘diverbio litigioso seguito da vie di fatto’ tra le condotte punibili con il licenziamento disciplinare), ha sottolineato s pecifiche circostanze di fatto (l’assenza di prova circa l’innesco del litigio da parte della dipendente, la
condizione di stress vissuta dagli ospiti della struttura, la mancanza di formazione specifica per interagire con persone dal vissuto travagliato come i profughi accolti dalla struttura alberghiera) che connotavano l’accaduto secondo profili di non particolare gravità, tale da precludere l’adozione di una sanzione espulsiva.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 ottobre