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Licenziamento disciplinare: non basta l’assenza fisica

Una società cooperativa ha promosso un licenziamento disciplinare contro una dipendente con ruolo di coordinatrice, accusandola di violare l’orario di lavoro e di abusare della fiducia aziendale. I tribunali di merito e, in ultima istanza, la Corte di Cassazione hanno respinto le pretese della società. La Suprema Corte ha stabilito che, data la natura autonoma del ruolo della lavoratrice e la comprovata possibilità di svolgere le mansioni da remoto, la mera assenza fisica dalla sede non era sufficiente a dimostrare l’inadempimento. L’azienda non è riuscita a provare una concreta mancanza di risultati o lo svolgimento di attività incompatibili con il lavoro, rendendo così il licenziamento illegittimo.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Disciplinare per Assenza dal Lavoro: Non Basta se le Mansioni sono da Remoto

Il tema del licenziamento disciplinare è sempre delicato, ma assume contorni ancora più complessi nell’era del lavoro agile e flessibile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, stabilendo che la semplice assenza fisica del dipendente dal luogo di lavoro non è sufficiente a giustificare un recesso per giusta causa, specialmente quando le sue mansioni possono essere svolte efficacemente anche a distanza. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne i principi e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Una società cooperativa operante nel settore dei servizi aveva licenziato per giusta causa una sua dipendente con il ruolo di coordinatrice. Le accuse mosse dall’azienda erano principalmente tre:

1. La violazione sistematica delle disposizioni aziendali sull’orario di lavoro.
2. Lo svolgimento incompleto e discontinuo della prestazione, con l’abitudine di sbrigare faccende personali durante l’orario lavorativo.
3. L’abuso della fiducia del datore di lavoro, approfittando dell’assenza di un sistema di rilevazione automatica delle presenze.

La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento e sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello le avevano dato ragione, ritenendo il recesso illegittimo. La società, non rassegnata, ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito.

L’impostazione del Ricorso e il Licenziamento Disciplinare

L’azienda sosteneva che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente motivato la sua decisione, ignorando prove documentali (come un ordine di servizio che ribadiva gli orari) e limitandosi a ipotizzare che la lavoratrice potesse svolgere le sue mansioni da remoto. Secondo la ricorrente, la natura del lavoro di coordinamento rendeva impossibile una prestazione efficace a distanza, e la Corte non avrebbe risposto in modo puntuale alle sue contestazioni.

Il nucleo del problema ruotava attorno a una domanda fondamentale: l’assenza fisica dalla sede aziendale equivale automaticamente a un inadempimento contrattuale tale da giustificare un licenziamento disciplinare?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di merito con motivazioni solide e di grande attualità. I giudici hanno chiarito che, per configurare un vizio di “motivazione apparente”, non basta un dissenso con la valutazione del giudice, ma occorre che la motivazione sia totalmente assente, contraddittoria o perplessa, al punto da non far comprendere il ragionamento logico-giuridico seguito.

Nel caso specifico, la motivazione della Corte d’Appello era tutt’altro che apparente. I giudici di merito avevano correttamente accertato, sulla base delle prove e delle testimonianze raccolte, che il ruolo di coordinatrice non era legato a un rigido vincolo di orario o a una presenza fisica costante in ufficio. Le mansioni della dipendente includevano sopralluoghi sui cantieri e gestione di contatti, attività che per loro natura prevedevano autonomia e flessibilità.

È stato inoltre dimostrato che la lavoratrice era dotata di strumenti aziendali (come una scheda SIM) che le permettevano di lavorare e restare in contatto con l’azienda ovunque si trovasse. La Corte ha quindi concluso che la prestazione lavorativa poteva essere validamente eseguita anche da remoto.

Il punto cruciale della decisione risiede nel corretto riparto dell’onere della prova. Non spettava alla lavoratrice dimostrare di aver lavorato in ogni momento in cui era fisicamente assente dall’ufficio. Al contrario, era il datore di lavoro a dover provare che, durante quelle assenze, la dipendente non avesse adempiuto alle sue mansioni, non avesse prodotto i risultati attesi o, peggio, si fosse dedicata ad attività incompatibili con la prestazione lavorativa. Poiché l’azienda non ha fornito tale prova, il licenziamento è stato ritenuto illegittimo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale nel diritto del lavoro moderno: la valutazione dell’adempimento contrattuale non può basarsi su un concetto rigido e superato di presenza fisica, ma deve tenere conto della natura delle mansioni e delle concrete modalità di svolgimento del lavoro. Per i ruoli che consentono flessibilità e lavoro a distanza, il datore di lavoro che intende procedere con un licenziamento disciplinare per assenza deve essere in grado di dimostrare un inadempimento sostanziale e non solo formale. La mera assenza dal perimetro aziendale, in assenza di una prova concreta del mancato svolgimento delle proprie attività, non costituisce di per sé una giusta causa di recesso.

È sufficiente la semplice assenza fisica dal luogo di lavoro per giustificare un licenziamento disciplinare?
No, secondo questa ordinanza non è sufficiente, specialmente per ruoli che non richiedono una presenza fisica costante e permettono lo svolgimento delle mansioni da remoto. L’azienda deve dimostrare che l’assenza ha causato un inadempimento concreto, come la mancata esecuzione dei compiti o il mancato raggiungimento dei risultati.

In caso di licenziamento disciplinare per assenza, su chi ricade l’onere della prova?
L’onere della prova ricade interamente sul datore di lavoro. Egli deve dimostrare non solo l’assenza fisica del dipendente, ma anche che tale assenza ha costituito un effettivo inadempimento degli obblighi contrattuali, provando ad esempio che il lavoratore non ha svolto le sue attività o si è dedicato ad altre faccende personali incompatibili con il rapporto di lavoro.

Il lavoro da remoto può influire sulla valutazione di un licenziamento disciplinare?
Sì, in modo decisivo. Se le mansioni del dipendente, per loro natura, possono essere svolte efficacemente anche da remoto, il datore di lavoro non può fondare un licenziamento sulla sola assenza dalla sede fisica. La Corte ha considerato la possibilità di lavorare a distanza un elemento fondamentale per valutare la legittimità del provvedimento disciplinare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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