Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7482 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 7482 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso 7527-2024 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto licenziamento
R.G.N. 7527/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 21/01/2025
PU
avverso la sentenza n. 30/2024 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 22/01/2024 R.G.N. 879/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 30 del 2024, ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della Regione Puglia, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Bari.
Il lavoratore aveva impugnato dinanzi al Tribunale di Bari il licenziamento disciplinare disposto dalla Regione Puglia con provvedimento dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari n. AOO 106 0001634 del 21 gennaio 2020.
Il recesso gli era stato intimato in ragione dei fatti ascrittigli con nota di addebito disciplinare prot. 18684 del 12 settembre – 2 – 2019, tramite la quale gli era stato contestato di aver liquidato, nell’ambito dell’istruttoria relativa al riconoscimento di debiti fuori bilancio, le competenze professionali spettanti a tre avvocati esterni, officiati dalla Regione, in misura di gran lunga eccedente quella riconoscibile in favore dei medesimi sulla base delle condizioni di conferimento degli incarichi loro affidati e della vigente direttiva della Giunta regionale in tema di liquidazione delle parcelle.
Il Tribunale ha rigettato la domanda escludendo che fosse intervenuta decadenza dall’azione disciplinare e rilevando nel merito che i fatti erano chiari e non contestati. Ha escluso l’esimente della mancanza dell’elemento soggettivo atteso che emergeva ‘con prepotenza un profilo di negligenza preponderante, difficile da giustificare sulla base della quantità di lavoro e considerando che, in ogni caso, fino ad un certo punto la qualità può cedere il passo alla quantità e come tale profilo debba intendersi assolutamente da evitare allorché possa determinare un danno erariale. L’istruttoria delle parcelle e le verifiche di congruità costituenti l’oggetto del procedimento di liquidazione, rientrano nell’esclusiva responsabilità delle PO Liquidazione Compensi Professionali, che adottano in completa autonomia il provvedimento conclusivo; la legge di riconoscimento del debito fuori bilancio, infatti, è il provvedimento con cui il Consiglio regionale riconduce all’interno del sistema del bilancio una spesa insorta in violazione delle procedure contabili. Il compito precipuo del ricorrente, dunque, era proprio il controllo delle parcelle e tale controllo è stato spesso del tutto omesso, tanto che ne è derivato un secondo licenziamento (oggetto del procedimento 10591/2020) che per le stesse ragioni qui esposte deve ritenersi pienamente legittimo’.
La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione escludendo vizi procedurali, affermando la sussistenza della condotta disciplinare contestata e la proporzionalità della sanzione.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando otto motivi di ricorso.
Resiste la Regione Puglia con controricorso, assistito da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente ha censurato il capo 9.1. della sentenza, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: violazione dell’art. 111, comma sesto, Cost. , a ll’art. 132, c. 2 n. 4, c.p.c. – motivazione apparente;
in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione dell’art. 7 del dPR n. 62 del 2013, in relazione all’art. 51, c.p.c., e all’art. 21, c. 1bis , d.lgs. n. 165 del 2001. Violazione dell’art. 6 -bis della legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 7 comma 4 del Codice di Comportamento dei dipendenti della Regione Puglia approvato con Deliberazione della Giunta regionale n. 1423 del 04.07.2014′.
La Corte d’Appello avrebbe negato la sussistenza di conflitto di interessi in capo alla dirigente del servizio amministrativo dell’Avvocatura regionale, che ha promosso il procedimento disciplinare a carico del lavoratore per l’erronea liquidazione di parcelle di avvocati esterne incaricati dalla Regione Puglia.
Tale statuizione violerebbe la legge sul conflitto di interessi nel pubblico impiego ed è allo stesso tempo sarebbe viziata da motivazione apparente, perché aggirerebbe l’effettiva doglianza contenuta nell ‘atto d’appello.
Il dedotto conflitto di interessi non si riferiva al riparto delle competenze interne alla struttura burocratica della
Regione Puglia, ma si legava, a valle dell ‘ esercizio della funzione amministrativa, all ‘ interesse personale della dirigente a tacere all’U.P.D. il diretto coinvolgimento della medesima negli stessi fatti.
Con il secondo motivo di appello il ricorrente ha censurato il capo 9.2 della sentenza, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: violazione dell’art. 111 c. 6 Cost. in relazione all’art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. – motivazione apparente;
in relazione all’art. 360 n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Deduce il lavoratore che il giudice di appello, nell’integrare la motivazione del giudice di primo grado sul conflitto di interessi, avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, e quindi che l’istruttoria svolta dal lavoratore sulle parcelle degli avvocati esterni non era confluita in provvedimenti amministrativi, ma era stata recepita in tre schemi di disegni di legge regionale per debiti fuori bilancio, firmati dalla denunciante, dirigente della sezione amministrativa, che aveva un interesse personale a porre ogni responsabilità per negligenza sul sottoposto funzionario.
Con il terzo motivo di appello il ricorrente ha censurato il capo 9.3 della sentenza, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione dell’art. 7 dPR n. 62 del 2013, in relazione all’art. 51, c.p.c., e all’art. 21, comma 1 -bis d.lgs. n. 165 del 2001. Violazione dell’art. 6 -bis della legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 7 del Codice di Comportamento dei dipendenti della
Regione Puglia approvato con Deliberazione della Giunta regionale n. 1423 del 04.07.2014. Violazione dell’art. 55 -bis d.lgs. n. 165/2001.
La Corte territoriale avrebbe violato la legge imperativa dello Stato e il regolamento regionale pugliese in materia di conflitto di interessi nel pubblico impiego perché riconosce al dirigente del servizio amministrativo della Regione Puglia il diritto ex articolo 55bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, di tacere in atti il proprio coinvolgimento nelle vicende per cui è causa.
4. Con il quarto motivo di appello il ricorrente ha censurato il capo 9.4 della sentenza per la violazione dei principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione; violazione dell’art. 7 dPR n. 62 del 2013, in relazione all’art. 51, c.p.c., e all’art. 21, c. 1 -bis , del d.lgs. n. 165 del 2001; violazione dell’art. 6 -bis della legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 7 del Codice di Comportamento dei dipendenti della Regione Puglia approvato con Deliberazione della Giunta regionale n. 1423 del 04.07.2014; violazione dell’art. 55 -bis d.lgs. n. 165/2001. In relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost. in relazione all’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c. motivazione apparente’.
La sentenza d’Appello ipotizzerebbe in via subordinata l’effettiva sussistenza del conflitto di interessi della dirigente denunciante, ma concluderebbe per l’ir rilevanza di tale circostanza. Tale subordinata motivazione violerebbe il quadro normativo illustrato nella rubrica, perché esclude senza
motivazione qualunque effetto patologico conseguente al genetico vizio della procedura.
I primi quattro motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Con gli stessi il lavoratore ha censurato la sentenza della Corte territoriale di Bari per non aver ritenuto sussistente il conflitto di interessi in capo alla dirigente che avrebbe promosso l’azione disciplinare. Nello specifico, il ricorrente ha lamentato che la dirigente della sezione amministrativa dell’Avvocatura regionale ha firmato i disegni di legge relativi ai debiti fuori bilancio istruiti dal lavoratore.
I motivi sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha fondato la decisione in esame sulla titolarità di Posizione Organizzativa Liquidazione Compensi Professionali, in capo al lavoratore.
La Corte d’Appello ha confermato l’accertamento del Tribunale secondo cui il compito precipuo del ricorrente era proprio il controllo delle parcelle, e ha accertato che tale controllo è stato spesso del tutto omesso, tanto che ne è derivato un secondo licenziamento (oggetto del procedimento 10591/2020) che per le stesse ragioni doveva ritenersi pienamente legittimo. Né poteva ritenersi l’illegittimità in virtù di un presunto conflitto di interessi dell’Avvocatura regionale, avendo parte ricorrente realizzato una profonda frattura del rapporto fiduciario con il datore di lavoro sull’oggetto specifico della propria funzione, oggetto tra l’altro, di posizione organizzativa.
La Corte d’Appello ha richiamato il provvedimento datato 23 maggio 2019 con cui la Dirigente della Sezione amministrativa dell’Avvocatura regionale ha attribuito al lavoratore la posizione organizzativa di tipologia B) relativa alle ‘liquidazioni compensi professionali’, in ragione del la quale il lavoratore «è delegato: ad adottare in autonomia, senza limiti di importo, le determinazioni dirigenziali connesse ai procedimenti di liquidazione e di rimborso (a titolo esemplificativo, atti dirigenziali di impegno e di liqui- dazione di compensi professionali in favore di avvocati e consulenti), nonché le determinazioni connesse a procedimenti oggetto di specifica assegnazione da parte del dirigente o del coordinatore, ad esempio, regolarizzazioni contabili; a firmare comunicazioni ed atti a rilevanza esterna quali -a titolo esemplificativo -pareri, relazioni tecniche e verbali concernenti transazioni/convenzioni di negoziazione assistita / procedure di conciliazione ex art. 66 RD n. 1578 del 1933 / impugnazione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il pagamento di compensi professionali o altri procedi- menti amministrativi di competenza della Sezione».
Il giudice di appello ha anche richiamato la determinazione dirigenziale n. 7 del 15 marzo 2019 (recante i «Criteri per l’istituzione ed il conferimento degli incarichi di Posizione Organizzativa della Regione Puglia ai sensi degli articoli 13, 14 e 15 del CCNL Co. Funzioni Locali 2016-2018»; doc. 2.7 del fascicolo della Regione) nella quale si precisa, inoltre, che: 1) le posizioni organizzative di tipologia B) sono posizioni finalizzate allo «… svolgimento di attività con contenuti
di alta professionalità, incluse quelle per le quali è necessaria l’iscrizione ad albi professionali, connotate dal necessario possesso di elevata competenza specialistica, acquisita mediante il conseguimento di diplomi di laurea e/o di titoli presso scuole/istituti universitari, oppure attraverso consolidate esperienze lavorative in posizioni di responsabilità o di elevata qualificazione professionale» (…).
Dunque, con accertamento di fatto all’esito della valutazione delle risultanze documentali e probatorie in atti, il giudice di appello ha affermato che rientrava nei compiti propri del lavoratore la verifica delle parcelle per gli avvocati esterni e che ciò era oggetto della specifica posizione organizzativa conferitagli. Di talché i fatti contestati al lavoratore attengono all’attività posta in essere dallo stesso, propri o in ragione della posizione organizzativa conferitagli, e precedente alla trasmissione degli schemi alla dirigente.
La Corte d’Appello rileva che nell’espletamento del proprio compito il lavoratore non ha fatto altro che limitarsi a recepire qualunque proposta di liquidazione proveniente dall’avvocato esterno, come lo stesso ha pienamente ammesso nel c.d. ‘atto di chiar imenti’ trasmesso al Dirigente della Sezione Amministrativa il 9 agosto 2019: «… il sottoscritto ha in buona fede recepito i valori delle singole controversie dichiarati dai legali esterni officiati dalla Regione Puglia. Ciò in quanto trattasi di professio nisti destinatari di piena fiducia dell’Ente, visto il nutrito contenzioso loro affidato nel tempo dalle diverse compagini politiche succedutesi al governo. Lo scrivente è stato in buona fede indotto in errore nel recepimento del ‘valore di
causa’ indicato dai detti professionisti di rinomata fiducia dell’amministrazione regionale …» (doc. 5 del fascicolo dell’appellante). Nella specie, l’addebito mosso al lavoratore è consistito proprio nel negligente recepimento del valore delle controversie indicato nelle note specifiche redatte dagli avvocati esterni, in relazione alla predisposizione degli schemi di disegni di legge.
La titolarità della suddetta posizione organizzativa non è contestata. Dunque le deduzioni che la dirigente ha firmato gli schemi dei disegni di legge istruiti dal lavoratore, indica lo sviluppo ordinario dell’ iter procedimentale per la presentazione dei disegni di legge per le spese fuori bilancio, con fasi successive e distinte competenze dei responsabili di ciascuna, ma non esclude o diminuisce e anzi conforta che ‘a monte’ il lavoratore era chiamato, in ragione dei compiti e delle responsabilità connesse alla posizione organizzativa conferitagli , a mettere a disposizione dell’Ufficio un dato controllato e corretto, su cui si potesse fare affidamento per gli ulteriori passaggi in cui si articola la procedura, come di competenza della dirigente preposta al servizio o di altri funzionari, chiamati a svolgere attività formalizzate le quali in quanto tali erano già palesi e non occultabili.
D’altro canto, la Corte d’Appello, nel disattendere la richiesta di esibizione degli schemi di disegni di legge ‘incriminati’ decisione contestata dall’appellante -e che a parere dello stesso, avrebbero dimostrato la sua completa innocenza -ha chiarito che non erano in contestazione, né l’eccessiva entità della liquidazione dei compensi da parte del
lavoratore, né la circostanza che i disegni di legge fossero stati sottoscritti anche dalla dirigente preposta al servizio.
Attraverso la trasmissione degli atti all’ufficio procedimenti disciplinari la dirigente della Sezione Amministrativa ha adempiuto al compito di segnalazione nella qualità di ‘responsabile della struttura’ presso cui all’epoca prestava servizio il lavorato re, come previsto dall’art. 55 -bis , comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, con riguardo alla omessa verifica delle parcelle da parte del lavoratore, compito proprio delle stesso in relazione alla posizione organizzativa.
Va altresì osservato, che nel corso dei motivi, attraverso il richiamo di documentazione in atti, il ricorrente chiede a questa Corte un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie.
Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (si v., Cass. n. 11176 del 2017): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
Quanto alla terzietà dell’UPD, questa Corte, come ricorda la Corte d’Appello, sia pure ad abundantiam rispetto alla ratio
decidendi sopra richiamata di esclusione della sussistenza del conflitto d’interessi, ha affermato che la disciplina di cui all’art. 55bis del d.lgs. n. 165 del 2001 rinnova e ribadisce la necessità della distinzione tra il soggetto responsabile della struttura amministrativa, in cui presta servizio il dipendente che si intende sottoporre a procedimento disciplinare, e il soggetto competente per l’esercizio del potere disciplinare, come avvenuto nella specie, stabilendo peraltro che tale distinzione possa venir meno , con l’unione delle due funzioni nel medesimo soggetto, unicamente nell’ipotesi in cui si realizzi la duplice condizione che l’infrazione rilevata sia fra quelle punibili con sanzioni di minore gravità (così come normativamente definite) e il responsabile della struttura rivesta qualifica dirigenziale.
Tale distinzione, come più volte sottolineato nella giurisprudenza di questa Corte, riflette l’obiettivo di garantire, in relazione alle sanzioni di maggiore gravità, che tutte le fasi del procedimento disciplinare vengano condotte da un soggetto terzo, co sì da attuare un ‘sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale è addetto il dipendente autore dell’infrazione’ e l’esigenza ‘di evitare che la cognizione disciplinare avvenga nell’ambito’ stesso dell’ufficio di appartenenza (Cass. n. 20417/2019, fra altre), nel quale potrebbero non sussistere le indispensabili condizioni di serenità e imparzialità nell’esame dei fatti.
Con il quinto motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. pro. civ., è prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di decisione tra le parti nella
mancata valutazione delle circostanze di fatto che potevano escludere la proporzionalità del licenziamento.
8 . Con il sesto motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, n.5, cod. proc. civ., è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di decisione tra le parti, con riguardo all’omessa valutazione del fatto che la liquidazione delle parcelle degli avvocati esterni non era contenuta in provvedimenti a firma del lavoratore.
9. Entrambi i motivi sono inammissibili
Non viene prospettato alcun “fatto decisivo” nel senso precisato da questa Corte ai fini dell’art. 360, n. 5, c.p.c. L’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo.
Costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., non una “questione” o un “punto”, come nella specie ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa” “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 cit. le argomentazioni o deduzioni difensive, gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o “il vario insieme dei materiali di causa” (così, Cass. n. 9483 del 2020).
Il quinto motivo non adduce l’omesso esame di un fatto storico rilevante per il giudizio di proporzionalità, bensì, nel dedurre l’omesso esame della mancata firma da parte del lavoratore dei provvedimenti in oggetto, censura la ricostruzione e la valutazione resa dal giudice di merito in ordine alla posizione organizzativa e ai relativi compiti e le motivazioni in base alle quali la Corte d’Appello ha escluso il conflitto di interessi.
La sesta censura non tiene conto della ratio decidendi incentrata come si è detto sulla posizione organizzativa ricoperta dal ricorrente e sui relativi compiti e responsabilità e non sulla firma di provvedimenti.
10 . Con il settimo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 100, cod. proc. civ. e dell’art. 24 Cost. Il ricorrente censura il capo 13 della sentenza di appello, in relazione alla pronuncia di inammissibilità per difetto di interesse dei motivi afferenti al primo licenziamento disciplinare.
11 . Con l’ottavo motivo di ricorso, la sentenza di appello è censurata: in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 100, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2104, 2106, 2119, cod. civ., nonché degli art.3 della legge n. 604/1996 e 18 della legge n. 300/1970; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n.5, cod. proc. civ.). Deduce il ricorrente che i motivi afferenti al primo licenziamento erano e sono ammissibili. La Regione Puglia, nel disporre il primo licenziamento in data 21 gennaio 2020, ha rinunciato ad
avvalersi del potere disciplinare in relazione agli ulteriori episodi stesso oggetto contestati due mesi prima con nota integrativa, sfociata nel tardivo secondo illecito licenziamento del 21 aprile 2020.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono in parte inammissibili e in parte non fondati.
La Corte d’Appello, all’esito dell’accertamento di fatto svolto, non adeguatamente contestato, ha rilevato che si era in presenza di due procedimenti disciplinari promossi -per così dire -‘in parallelo’, i quali pur avendo ad oggetto violazioni non dissimili attinenti ai doveri d’ufficio del lavoratore e collegati in particolare alla posizione organizzativa al medesimo conferita (‘liquidazione compensi professionali’), riguardavano in realtà circostanze di fatto del tutto diverse. Precisamente:
A) con la nota del 12 settembre 2019 è stato contestato che: A-1) in relazione alla legge regionale Puglia n. 24 del 2019, ben 12 dei 22 debiti fuori bilancio per compensi professionali dovuti agli avvocati come indicati (pratiche istruite dal lavoratore) erano stati quantificati in misura di gran lunga eccedente rispetto a quella riconoscibile e dovuta agli avvocati in base alle condizioni di conferimento degli incarichi loro affidati e sulla scorta della vigente direttiva deliberata dalla Giunta regionale; A-2) analoghi chiarimenti erano stati chiesti con riferimento ai disegni di legge 100, 101 e 109/2019; A-3) i chiarimenti resi dal lavoratore erano insufficienti, perché la omissione della necessaria verifica del valore della controversia costituiva grave inadempimento dell’obbligo di diligenza;
B) tramite nota del 29 novembre 2019 è stato contestato che con riferimento agli anni 2018 e precedenti erano emerse ulteriori irregolarità, ossia:
B-1) mediante quattro atti dirigenziali erano state disposte liquidazioni di compensi in favore dell’avvocato indicato per prestazioni già liquidate in precedenza con esborso indebito a carico del bilancio pari nel complesso a 77.953,08 euro; B-2) con altri tre atti dirigenziali adottati nel corso del 2018 Ve., omettendo di espungere diritti non spettanti oppure applicando un maggior valore di causa, aveva provocato esborsi non dovuti in favore degli avvocati indicati quantificabili complessivamente in 21.607,64 euro (determinazioni dirigenziali n. 510587-588- 594/2018).
Pertanto, il giudice di appello ha osservato che era evidente che i due procedimenti disciplinari, pur avendo in comune il profilo dell’inosservanza da parte del lavoratore del dovere di diligenza nell’esecuzione della sua attività di liquidazione dei compensi, riguardavano episodi del tutto diversi. Di conseguenza, al fine di garantire la piena difesa dell’incolpato non era affatto necessario che il primo licenziamento (cioè quello intimato nel mese di gennaio del 2020) contenesse anche riferimenti alla contestazione disciplinare dalla quale è scaturito il secondo recesso (comunicato nel mese di aprile dello stesso anno).
Correttamente quindi ha fatto applicazione del principio secondo cui, in materia di reintegrazione nel posto di lavoro per illegittimità dell’impugnato licenziamento, l’interesse alla relativa pronuncia giudiziale va individuato nella concreta ed
attuale possibilità di ripristino del rapporto e viene a mancare quando, per fatti anteriori ed assorbenti, questo non possa comunque proseguire, di talché, qualora il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore due distinti licenziamenti per diverse causali o motivi ed entrambi siano stati oggetto d’impugnazione, l’efficacia del secondo licenziamento rimane necessariamente condizionata dal perdurare dell’efficacia del rapporto di lavoro all’epoca in cui esso è stato intimato ed il venir meno di quest’ultima, in conseguenza di una sentenza non più impugnabile dichiarativa della legittimità del primo recesso, fa sì che il lavoratore risulti sfornito di interesse alla pronunzia sulla seconda azione di reintegrazione eventualmente promossa avverso il nuovo licenziamento intimatogli, considerandosi il rapporto di lavoro definitivamente risolto per l’accertata legittimità del primo licenziamento (cfr. in tal senso, Cass. n. 41586 del 2021).
13. Il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.000,00, per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della