Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23664 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23664 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14627-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME – controricorrente – avverso la sentenza n. 1808/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/04/2023 R.G.N. 1991/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa dal giudice di prime cure, ha respinto l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso il licenziamento intimato, in data 29.6.2018, dalla Casa di
Oggetto
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
R.G.N. 14627/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2025
cc
cura privata RAGIONE_SOCIALE per aver effettuato, in qualità di medico Responsabile del raggruppamento ‘cardiopneumologia ambulatori’, visite intramurarie nell’orario di lavoro, aver percepito denaro contante da pazienti privati nell’ambito dell’attivi tà intramoenia senza comunicazione né autorizzazione, essersi allontanato in due occasioni dal luogo di lavoro e, con l’ausilio di terzi, aver provveduto alla falsa timbratura in uscita.
La Corte territoriale ha rilevato preliminarmente che, a fronte di una sentenza di primo grado che aveva accertato la sussistenza e l’antigiuridicità delle condotte tenute dal medico e in assenza di appello incidentale del lavoratore, doveva ritenersi definitivo il suddetto accertamento, con formazione di giudicato interno; in ordine alla ritenuta sproporzione della sanzione ritenuta dal giudice di primo grado (ed oggetto dell’appello proposto dalla Casa di cura), i giudici del merito hanno rilevato che -alla luce del codice disciplinare previsto dal CCNL applicato nel caso di specie (personale medico dipendente da case di cura, i.r.c.c.s., presidi e centri di riabilitazione) nonché di altra contrattazione collettiva di settori affini, quale l’Area Sanit à in ambito di pubblico impiego -ciascuna condotta, singolarmente considerata, era di tale gravità da giustificare la sanzione espulsiva.
Per la cassazione di tale sentenza il medico ha proposto ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria, e la struttura ospedaliera resiste con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 324 c.p.c. avendo, la Corte territoriale,
erroneamente affermato la formazione di giudicato interno sui comportamenti imputati al medico, che non poteva ritenersi formato a fronte della proposizione di appello, da parte della società, sulla valutazione dei fatti posti a base del licenziamento ai fini della proporzionalità della sanzione. Il giudice doveva, quindi, riesaminare i comportamenti del medico e formulare una sua valutazione in quanto l’appello concernente il profilo della proporzionalità tra infrazione e sanzione riapriva la cognizione su ll’intera questione.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 2119 c.c. avendo, la Corte territoriale, omesso di considerare che il medico era inviso alla governance aziendale, era sottoposto a stringenti controlli sulla sua attività (nonostante ricoprisse il ruolo di Responsabile del raggruppamento cardiopneumologia ambulatori), era stato destinatario di precedenti contestazioni disciplinari (annullate o non seguite da sanzione), aveva ricevuto la proposta di trasformazione del rapporto da lavoro dipendente a libero professionale, elementi che impedivano di configurare la lesione dell’elemento fiduciario.
Il primo motivo non è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, con la conseguenza che l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione (nella specie, individuazione del regime sanzionatorio da applicare a fronte di un licenziamento disciplinare) riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli
aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (nella specie, la sussistenza e l’antigiuridicità dei comportamenti addebitati al lavoratore; cfr. Cass. n. 32563/2024).
Questa Corte ha, peraltro, altresì, affermato che l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione preclude al giudice del gravame di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, pur dovendosi includere i punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, direttamente connessi a quelli censurati (cfr. tra le tante, Cass. n. 1377/2016; Cass. n. 30129/2024)
Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale -pur richiamando impropriamente la formazione di un ‘giudicato interno’ sulla sussistenza dei comportamenti addebitati al lavoratore -ha, in realtà, svolto un’ampia valutazione di tutte le condotte contestate al medico ed accertate sulla base del quadro probatorio acquisito in giudizio, non limitandosi a verificare l’aspetto della proporzionalità della sanzione disciplinare ma facendo una nuova approfondita disamina di tutti i fatti e della loro gravità in rapporto alla professionalità e al ruolo svolto dal medico nell’ambito della struttura ospedaliera, al fine di verificare se dovevano ritenersi espressive di un disvalore così intenso da giustificare la compromissione irrimediabile del vincolo fiduciario tra le parti.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha affermato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito – mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni
relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva appunto, in cui si colloca la fattispecie ‘è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards , conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005), censura non contenuta nel motivo in esame, che si limita a proporre una valutazione meramente contrappositiva che valorizza la ricorrenza di elementi insuscettibili di integrare una giusta causa di licenziamento: tale sindacato opera sul diverso piano del giudizio di fatto, che è demandato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’udienza del 10 luglio 2025.