Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33885 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 33885 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Consigliere rel. –
Consigliere –
Consigliere –
Consigliere –
SENTENZA
sul ricorso 3508-2024 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
AST DI ANCONA, in persona del Direttore generale pro tempore , nonché Commissario liquidatore della Gestione Liquidatoria ex ASUR Marche, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
Oggetto: Pubblico impiego licenziamento disciplinare –
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 367/2023 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 15/12/2023 R.G.N. 171/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e accoglimento del ricorso incidentale;
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME;
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello, con la sentenza indicata in premessa, decidendo in sede di rinvio sul ricorso in riassunzione della AST di Ancona (Gestione Liquidatoria ex ASUR Marche), ha confermato la pronuncia del Tribunale di Pesaro n. 129/2020 che aveva rigettato la domanda di NOME COGNOME, già dirigente medico della ASUR Marche, in servizio presso la Casa circondariale di Pesaro, diretta a ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare della multa di euro 500,00 comminata con provvedimento del 21 giugno 2017 e di quella della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di sei mesi irrogata con provvedimento del 11 maggio 2018, nonché del licenziamento disciplinare intimatogli da ASUR Marche in data 6 giugno 2019 (di cui assumeva anche il carattere ritorsivo), con le correlate domande reintegratorie e risarcitorie, parametrate al regime di tutela reale piena di cui all’art.18 della Legge n. 300/1970, nella formulazione antecedente alla riforma di cui alla Legge n. 92/2012.
In particolare, il Tribunale di Pesaro, pur considerando l’infondatezza di alcuni degli addebiti disciplinari contestati con le lettere di addebito in data 20.03.2017, 26.04.2017, 12.01.2018, 29.01.2018 e 18.02.2019, aveva tuttavia ritenuto che la condotta complessiva del
lavoratore integrasse un inadempimento di massima gravità, tenuto conto anche della contestata recidiva, con conseguente legittimità del recesso datoriale, sorretto da giustificato motivo soggettivo.
Successivamente, la Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 230/2021, aveva accolto parzialmente il ricorso del lavoratore, annullando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione e quella del licenziamento con preavviso, compensando le spese per la metà.
Questa Corte, con sentenza n. 8740/2023, pronunciando sul ricorso dell’Azienda sanitaria, accoglieva il secondo e il terzo motivo di ricorso (relativi rispettivamente all’annullamento della sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione irrogata a seguito delle contestazioni effettuate con le note del 12 gennaio 2018 e del 29 gennaio 2018 e del licenziamento senza preavviso), dichiarando inammissibile il primo motivo, cassava la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.
Evidenziava che la Corte territoriale aveva errato nella valutazione di proporzionalità delle sanzioni disciplinari impugnate ed era pervenuta all’affermazione della mancanza di proporzionalità in ragione di un frazionamento delle condotte senza valutare il comportamento complessivo del lavoratore, come contestato, rispetto agli obblighi lavorativi e alle esigenze aziendali, in relazione alla incisione del vincolo fiduciario con il datore di lavoro, ‘non essendo a ciò esaustivo la mancanza di danni’.
Rilevava che la Corte del merito aveva attribuito rilievo dirimente, quanto alla sanzione della sospensione, ad un difetto di diligenza del lavoratore, escludendo in modo non coerente il rilievo della recidiva in ragione del carattere isolato dei due episodi e quanto al licenziamento per giusta causa ad una superficiale valutazione da parte del lavoratore
dei propri diritti e obblighi più che alla volontà di non rispettare le disposizioni del dirigente apicale.
La Corte territoriale di Ancona, definendo il giudizio di rinvio, confermava la sentenza del Tribunale di Pesaro, condannando il lavoratore alle spese di tutti i gradi e le fasi del giudizio.
Esaminava partitamente i fatti oggetto delle sanzioni disciplinari conservative e di quella espulsiva.
Quanto alla multa di euro 550,00 del 21.06.2017 riferita alle contestazioni del 20.03.2017 e 26.04.2017, formulava un giudizio di irretrattabilità circa la gravità e riconducibilità alle previsioni del Regolamento disciplinare di due delle tre contestazioni del 20.03.2017, anche in punto di applicabilità della recidiva infrabiennale ex art. 8 lett. a ) Reg. Disc.
Quanto alla sospensione cautelare dell’11.05.2018 riferita alle contestazioni del 12.01.2018 e 29.01.2018 con le quali erano state contestate plurime condotte inadempienti, consistenti nella mancata predisposizione e copertura dei turni mensili (che il COGNOME avrebbe dovuto coordinare), nella mancata osservanza degli orari di servizio e nella omessa partecipazione ad attività istituzionale, riteneva che residuassero come fondati gli addebiti attinenti alle condotte in data 29.11.2017 (in cui il dott. COGNOME, che avrebbe dovuto predisporre un turno di servizio quale coordinatore, era risultato non reperibile a seguito di una urgenza, creando un serio disservizio) ed in data 01.01.2018 (in cui la mancata predisposizione del servizio era risultata non essere stata adeguatamente giustificata dal lavoratore, che si era limitato a minimizzare l’accaduto e ad invocare una presunta inesperienza del personale di nuova assunzione).
Inseriva tali condotte in un contesto più ampio di inadempimenti della stessa indole nell’arco temporale di un biennio (tra il gennaio 2017 e il gennaio 2019) e riteneva tutti tali inadempimenti espressivi di una reiterata negligenza e di una disattenzione al rispetto dell’organizzazione
aziendale oltre che di una certa riluttanza a conformarsi a principi di responsabilità ai fini del perseguimento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi istituzionali.
Quanto al licenziamento con preavviso comminato in data 17.06.2019 (e riferito ad ulteriori plurime condotte consistenti nella mancata osservata al rientro dal periodo di sospensione degli orari di servizio con conseguente scopertura dei turni in data 02.01.2019 e 09.01.2019, in una assenza ingiustificata in data 12.01.2019, nella mancata partecipazione alla riunione di lavoro in data 18.01.2019) dava atto che la Corte d’appello nella precedente decisione aveva ritenuto fondate solo le condotte del 02.01.2019 e del 09.01.2019 ed invece giustificate le altre.
Valutava, quindi, la sussistenza di un rapporto di proporzionalità tra la gravità delle condotte la cui fondatezza era stata definitivamente accertata e la sanzione del licenziamento con preavviso, tenuto conto del principio di diritto posto dalla Suprema Corte, che aveva imposto una visione complessiva della vicenda disciplinare, e non frazionata sulla base di una analisi separata dei tre provvedimenti sanzionatori, come fatto nella prima sentenza di appello.
Rilevava che le cinque lettere di addebito attenevano in massima parte a violazioni del dovere di diligenza ex art. 2104 cod. civ. evidenziando che il COGNOME non le aveva negate nel loro accadimento storico, tendendo invece a minimizzarle ovvero a giustificarle in ragione di varie circostanze che avrebbero reso difficoltoso l’esatto adempimento della prestazione lavorativa.
Valorizzava il fatto che si era trattato di più inadempimenti della stessa indole (cioè inerenti ad una inesatta e/o parziale esecuzione delle prestazioni lavorative a causa di una inadeguata predisposizione ed osservanza dei turni lavorativi) commessi in un arco temporale di circa due anni ed anche la circostanza che nel suddetto biennio il COGNOME aveva anche scontato una sospensione dal servizio di mesi sei, per cui
era in presenza di comportamenti riconducibili a reiterate violazioni dell’obbligo di diligenza ex art. 2104 cod. civ. piuttosto concentrate nel tempo, sia pur nell’arco di un biennio.
In conseguenza riteneva che di tutte tali condotte potesse tenersi conto ai fini della valutazione globale della condotta del lavoratore.
Si discostava, sul punto, dal complessivo giudizio di sproporzione del licenziamento come già espresso dalla sentenza cassata da questa Corte e, tenendo conto dei principi affermati nella decisione rescindente, valutava nel complesso tutte le condotte disciplinarmente rilevanti (inadempienze in materia di predisposizione dei turni di servizio e di regolare presenza in servizio) e le riteneva significative della violazione da parte del medico dei doveri di diligenza nell’esecuzione del contratto nonché di quelli di correttezza e buona fede.
Considerato, poi, che il COGNOME, recidivo rispetto alla precedente sanzione della multa, una volta rientrato in servizio dopo la sospensione di sei mesi era incorso in ulteriori condotte inadempienti della stessa indole, considerava proporzionato il licenziamento irrogato anche in considerazione della particolare delicatezza del servizio medico carcerario oltre che di un giudizio prognostico positivo sulla possibilità tutt’altro che remota che fossero ripetute condotte della stessa natura.
Avverso tale ultima decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’AST di Ancona ha resistito con controricorso e formulato altresì ricorso incidentale.
Il P.G. ha presentato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione art. 360 n. 4 e n. 5 cod. proc. civ.; art. 384 cod. proc. civ.; art. 2106 cod. civ.
Lamenta errores in procedendo nella sentenza impugnata.
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Rileva che era stata impugnata tanto la sospensione dal lavoro per mesi sei che il successivo licenziamento ove la sospensione era elemento costitutivo.
Ricorda che la Corte di appello, riformando la decisione di primo grado, ritenne sproporzionate entrambe le sanzioni e che la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio in quanto la Corte del merito non avrebbe valutato i fatti addebitati nel loro insieme, ma in maniera atomistica.
Assume che il Giudice del rinvio ha errato nel ritenere legittime entrambe le sanzioni senza valutare l’esistenza storica dei fatti posti a base delle stesse, dato che su di esse non vi era stata alcuna statuizione da parte della Suprema Corte, la quale (non investita su essi) si era limitata ad affermare che il processo logico seguito dal Giudice del merito era errato.
2. Il motivo è infondato.
Oltre a rilevarsi profili di inammissibilità per la promiscuità di rilievi eterogenei ed anche per il contenuto sostanziale della censura che si incentra su asseriti vizi della sentenza derivanti dall’omessa valutazione dell’esistenza storica dei fatti posti a base delle sanzioni, le doglianze non specificano in quali termini la Corte del rinvio avrebbe errato nell’applicare il principio di diritto.
Quello che doveva essere rivalutato era solo il giudizio di proporzionalità effettuato sulla base di un frazionamento delle condotte là dove invece andava considerato il comportamento complessivo del lavoratore, ‘come contestato’, rispetto agli obblighi lavorativi e alle esigenze aziendali, in relazione alla incisione del vincolo fiduciario con il datore di lavoro, ‘non essendo a ciò esaustivo la mancanza di danno’.
Si aggiunga che con la sentenza n. 230/2021, annullata dalla Corte di Cassazione in relazione ai motivi accolti, la Corte del merito non aveva affatto escluso la sussistenza di tutte le violazioni ma, ferma la fondatezza di talune di esse, solo annullato la sanzione disciplinare della
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sospensione dal servizio e dalla retribuzione (e quella del licenziamento con preavviso), effettuando un ridimensionamento della gravità delle condotte considerate isolatamente e ritenute frutto di difetto di diligenza.
Il particolare la Corte d’appello, in detta sentenza ha evidenziato, relativamente ai fatti di cui all’addebito del 26.04.2017, che ‘nessun rilievo muove il COGNOME, ossia di non aver provveduto ad assicurare la continuità del servizio medico presso il carcere nella giornata del 01.03.2017 dalle ore 11,30 alle ore 16, giustificandolo unicamente con l’inesperienza del medico che avrebbe individuato per la sostituzione di quello indisponibile e, comunque, con la lievità del fatto’ ed aggiunto che si trattava di ‘fatto certamente connotato da non secondaria gravità, visto che in un ambiente ‘difficile’ e di non facile gestione come quello carcerario, dove una necessità sanitaria può nascere in ogni momento, la costante presenza del medico appare indispensabile’.
Sempre in detta sentenza è anche evidenziato che: ‘discorso analogo può farsi in ordine ai fatti di cui alla contestazione del 20.03.2017, dal momento che il ricorrente non contesta che nelle giornate del 8.01.2017, del 27.01.2017 e 28.01.2017 non fosse presente alcun medico per gran parte della giornata – circostanza che, peraltro, risulta dalla segnalazione del Direttore del carcere, dott.ssa COGNOME (cfr. doc. in atti) – né la recidiva nella quale è incorso in relazione alla sanzione irrogatagli in epoca precedente, ma si limita a giustificare la circostanza riferendo dell’improvvisa assenza (per i giorni 27 e 28) del medico già previsto o delle difficoltà di provvedere alle sostituzioni per la tardiva assegnazione degli incarichi, risalente al 22.12.2016, da parte del dott. COGNOME Trattasi, però, a giudizio del Collegio, di giustificazioni che non ridimensionano la gravità degli addebiti imputatigli, per quanto già sopra esposto, mentre nessuna giustificazione viene, poi, addotta circa la mancata indicazione della dott.ssa COGNOME in propria sostituzione per le giornate del 28.01.2017 e
4.02.2017, come invece, previsto da disposizione dell’ASUR del 21.12.2012 (cfr. doc. in atti). Quanto alla gravità, oltre alla contestata recidiva, va considerato che l’esclusiva responsabilità per la formazione e gestione dei turni, alla luce del provvedimento dirigenziale del 4.08.2015, spettava unicamente al COGNOME il quale avrebbe dovuto svolgere diligentemente il proprio incarico proprio in caso di assenze improvvise, consultando, eventualmente, nelle situazioni di maggiore difficoltà, come già evidenziato dal primo giudice, il dirigente apicale per la gestione sanitaria nelle carceri, dott. COGNOME al fine di risolvere il problema venutosi a creare. Invece, il ricorrente nulla ha fatto, lasciando intenzionalmente che il servizio sanitario del carcere rimanesse pericolosamente sospeso per quattro ore nei giorni 8.01.2017 e 27.01.2017 e addirittura otto ore il 28.01.2017, con ogni prevedibile, grave conseguenza che avrebbe potuto verificarsi per quanto sopra già detto circa la particolarità dell’ambiente carcerario. Secondo questa Corte, allora, emerge chiara la gravità dei fatti, inquadrabili nella disposizione di cui all’art. 4, lett. a), e, con la contestata recidiva, nell’art.8, lett. a), del citato Regolamento disciplinare, per cui va condiviso quanto statuito dal primo giudice circa la legittimità e congruità della sanzione deliberata nella misura massima di €. 500,00 di multa’.
Orbene, in ordine a tale passaggio argomentativo dinanzi alla Cassazione non era stata sollevata da parte del COGNOME alcuna questione in ordine alla sussistenza dei fatti.
Analogo ragionamento va fatto con riguardo agli episodi, fra quelli contestatigli, di cui alle note del 12.01.2018 e 29.01.2018. Infatti, con riguardo all’episodio del 29.11.2017, secondo la sentenza n. 230/2021, ‘nessun rilievo può muoversi al ragionamento del Tribunale, il quale ha esattamente evidenziato come dagli atti del procedimento disciplinare, più precisamente dal registro del carcere e dalle dichiarazioni rese dagli infermieri in servizio, ascoltati durante il procedimento (cfr. docc. in
atti), emerga la precisa circostanza secondo la quale, in occasione di un’urgenza medica, il COGNOME, pur contattato telefonicamente, non è risultato raggiungibile, quindi, non reperibile, violando, così, un suo preciso obbligo giuridico. Ugualmente deve dirsi relativamente alla scopertura del turno del giorno 1.01.2018, solo genericamente giustificato dal ricorrente con la circostanza dell’entrata in servizio di nuovi medici’.
La Corte territoriale ha tuttavia annullato la sanzione della sospensione per sei mesi dall’attività lavorativa e dallo stipendio (in quanto sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti) ma ha evidenziato che ‘le due scoperture di cui si è detto appaiano eventi di non scarsa rilevanza da un punto di vista disciplinare, in considerazione di quanto già più sopra detto in ordine al particolare ruolo rivestito dall’appellante e per la recidiva con le mancanze precedenti, non si può non tener conto del fatto che i due episodi rimangono isolati, frutto di un difetto di diligenza evidenziatosi, in un caso, nella mancata verifica dell’attivazione del proprio telefono per la reperibilità e, nell’altro, nella mancata considerazione della particolarità della giornata di capodanno, relativamente alla quale il dirigente avrebbe dovuto prevedere che i vari turnisti fossero già diversamente organizzati’.
Anche riguardo alla riconosciuta esistenza e gravità di tali fatti disciplinarmente rilevanti non era stata riproposta alcuna questione.
Ed allora non si vede di quale error in procedendo possa il ricorrente in questa sede dolersi avendo la Corte territoriale correttamente limitato il proprio giudizio, quale giudice del rinvio, ad una rivalutazione del difetto di diligenza del lavoratore, considerando a tal fine, e secondo le indicazione della sentenza rescindente, il rilievo della recidiva (che già sussisteva rispetto alla multa di euro 550,00) ed escludendo il carattere isolato degli episodi oggetto di contestazione (che facevano seguito ad altri già contestati a far data dal gennaio 2017).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione art. 360 n. 4 e n. 5 cod. proc. civ.; art. 384 cod. proc. civ.; art. 116 cod. proc. civ. -omessa pronuncia -motivazione apparente.
Lamenta che il giudice del rinvio si sia limitato alla verifica della legittimità del solo recesso, omettendo ogni valutazione sui fatti relativi alla sospensione dal lavoro di mesi sei, omissione importante sia in sé, sia in quanto il recesso era fondato sulla recidiva.
Sostiene che la sentenza è erronea per non aver valutato, o per averla erroneamente valutata, la sanzione della sospensione dal lavoro per mesi sei in quanto ha considerato, al fine del giudizio, fatti successivi e diversi da quelli che hanno originato il processo disciplinare e che sono relativi al licenziamento. La Corte di Appello ha considerato, al fine della valutazione della sanzione della sospensione e del relativo giudizio di proporzionalità, anche i fatti successivi che determineranno il licenziamento.
Il motivo, in disparte anche in questo caso profili di inammissibilità per la promiscuità di rilievi eterogenei e per i medesimi profili di aspecifictà del primo motivo, è infondato per le stesse ragioni già evidenziate al punto sub 5. che precede.
Le doglianze a ben guardare in realtà attengono a profili valutativi della decisione.
Dal complessivo argomentare della Corte territoriale come riassunto nello storico di lite e sub punto 2. che precede, si evince, quanto alla sospensione, il giudizio di proporzionalità (in riferimento alle condotte a base della stessa, e cioè quelle del 29.11.2017 e del 01.01.2018, definitivamente accertate), sulla base di quegli degli elementi correttamente considerati ed invece pretermessi dal precedente giudice di appello.
Con riguardo, poi, al rilievo secondo cui la Corte del rinvio si sarebbe limitata alla verifica della legittimità del solo recesso, omettendo ogni valutazione sui fatti relativi alla sospensione dal lavoro, vi è da
osservare che la censura, come illustrata, non integra le violazioni di legge denunciate.
Come è noto la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (v. ex aliis Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame in cui le doglianze in realtà attengono a profili valutativi della decisione.
La Corte territoriale, poi, nel rispetto dell’enunciato principio di diritto cui doveva conformarsi, ha tenuto ben distinte e presenti le due sanzioni ritenendole entrambe proporzionate e valutando il licenziamento legittimo proprio sulla base della recidiva determinata (anche) dall’infrazione precedente per cui era stata comminata la sospensione dal servizio (sul punto v. anche infra ).
In altri termini, la Corte ha proceduto ad una valutazione dei vari inadempimenti -compresi quelli per i quali era stata inflitta la sanzione della sospensione, come si evince dal riferimento esplicito a tutte le lettere di contestazione -considerandoli di gravità tale da giustificare il potere sanzionatorio, con un evidente giudizio di gravità e proporzionalità che ha investito anche la misura della sospensione, come peraltro è evincibile dal richiamo alla sentenza del tribunale, di cui ha fatto proprio il ragionamento, condividendo quindi anche il giudizio di gravità delle condotte per le quali era stata disposta la sospensione (v. pag. 9 della sentenza).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione art. 360 n. 4 e n. 5 cod. proc. civ.; art. 384 cod. proc. civ.; art. 2119 cod. civ.; art. 2116 cod. civ.; art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001.
Secondo il ricorrente, il giudice del rinvio avrebbe dovuto, per quanto vincolato alla statuizione di questa Corte, considerare, nella valutazione dei fatti ascritti ed ai fini dell’adottato provvedimento
espulsivo, anche ulteriori elementi a discolpa ovvero fatti tendenti alla quantificazione dell’elemento soggettivo.
Il motivo, ad onta delle denunciate violazioni di legge, tende per lo più ad una diversa ricostruzione dei fatti ma ciò è inammissibile in questa sede.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte del rinvio ne ha tenuto conto là dove ha fatto riferimento da un lato al ruolo ricoperto dal COGNOME e dall’altro ad una condotta reiteratamente negligente anche in presenza di precedenti disciplinari, ad una riluttanza a conformarsi ai principi di diligenza e responsabilità. Ha poi richiamato il contenuto dell’art. 2 del Regolamento disciplinare che alla lett. d) impone di conformare la condotta ai doveri di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ. ‘organizzando ed assicurando la presenza in servizio correlata alle esigenze della propria struttura ed all’espletamento dell’incarico affidato, nel rispetto della normativa contrattuale e legislativa vigente’. Ha richiamato il delicato ruolo di medico carcerario del COGNOME ed evidenziato la genericità delle giustificazioni addotte dal lavoratore più che altro tese a minimizzare la gravità dei fatti.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; art. 14 Legge n. 740/1970 (e ss. modifiche); art. 6 e 12 DL n. 81/2015; violazione art. 360 n. 4 e n. 5 cod. proc. civ.; art. 384 cod. proc. civ.; art. 2118 cod. civ.; art. 2106 cod. civ.; art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001. Omessa valutazione delle norme a tutela del part-time , e della legge n. 740/91 relativa agli obblighi del referente medico carcerario, anche in relazione alla valutazione della colpa in concreto.
Sostiene che nessun accertamento è stato svolto in ordine alla circostanza che svolgendo il COGNOME la propria attività lavorativa per 18 ore settimanali non poteva garantire alcun servizio e non poteva imporre
turni ai medici né era tenuto a rispettare le disposizioni del dirigente in quanto contrarie alle norme sul part-time.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente introduce una questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata (né invero nelle precedenti pronunce anche di legittimità).
Va ribadito il principio, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ‘qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ‘ ex actis ‘ la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa’ (v. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804 e la giurisprudenza ivi richiamata), oneri, nella specie, non adempiuti dal ricorrente.
Il motivo, in ogni caso, sviluppa doglianze che attengono al merito della decisione.
Nel corpo del motivo il ricorrente deduce che a seguito della inottemperanza alla (prima) sentenza della Corte d’appello da parte dell’Amministrazione ha rassegnato le dimissioni.
Deduce altresì che il preavviso lavorato di un anno è significativo del fatto che non si trattava di fatti di enorme gravità.
Anche tale ultimo rilievo è inammissibile attenendo alla valutazione di gravità oggetto di accertamento da parte del giudice del merito.
Con il ricorso incidentale l’Azienda Sanitaria lamenta la violazione degli artt. 112, 389 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n.4 cod. proc. civ..
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda diretta a ottenere la restituzione di quanto versato dopo la sentenza di secondo grado annullata dalla Corte di Cassazione.
10. Il motivo è fondato.
La ricorrente incidentale ha trascritto, per quanto di interesse, il ricorso in riassunzione che nella parte relativa alle conclusioni indicava anche la richiesta di condanna della controparte ‘alla restituzione di quanto percepito dall’ASUR Marche in esecuzione della sentenza n. 230/2021 della Corte di Appello di Ancona, oltre interessi ed accessori dal dovuto al saldo’ (v. doc. n. 8 allegato al ricorso incidentale).
Su tale richiesta la sentenza impugnata non si è pronunciata.
Al riguardo, va osservato che la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione di una sentenza poi cassata va proposta al giudice di rinvio, che nella specie opera quale giudice di primo grado, in quanto detta domanda non poteva essere formulata precedentemente.
Questa Corte ha, infatti, affermato che in caso di cassazione con rinvio, la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di appello cassata non costituisce domanda nuova, in quanto la ripetizione che non è inquadrabile nell’istituto della ‘ condictio indebiti ‘ – è diretta alla restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza che, nel caducare il titolo del pagamento rendendolo indebito sin dall’origine, determina il sorgere dell’obbligazione e della pretesa restitutoria che non poteva essere esercitata se non a seguito e per effetto della sentenza rescindente (Cass. 2 aprile 2013, n. 7978; Cass. 10 settembre 2018, n. 21969).
Quanto all’avvenuta corresponsione delle somme indicate dalla ricorrente incidentale il COGNOME nulla ha opposto limitandosi, in sede di memoria ad evidenziare che la ripetizione delle somme è al netto e non al lordo.
Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato il principio secondo cui in caso di retribuzioni erogate indebitamente al lavoratore dipendente il datore di lavoro ha diritto a ripetere soltanto quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito e non già importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. La fattispecie ricade nel raggio di applicazione dell’art. 38, comma 1, del d.P.R, n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e di duplicazione ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo ( ex plurimis Cass. 23 maggio 2019, n. 14145; Cass.25 luglio 2018, n. 19735; Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464).
Quanto alle ritenute previdenziali, si è osservato che, ai sensi dell’articolo 19 legge 4 aprile 1952 n. 218, unico debitore dei contributi verso l’ente previdenziale, anche per la quota a carico del lavoratore è il datore di lavoro, che è pertanto parimenti l’unico legittimato a chiedere la ripetizione di quanto versato indebitamente (Cass 29 gennaio 2018, n. 2135; Cass. 11 gennaio 2006, n. 239).
Gli indicati principi sono stati ribaditi da Cass. 6 agosto 2019, n. 20994 e Cass. 7 agosto 2019, n. 21164, Cass. 22 marzo 2024, n. 7825.
Conclusivamente va rigettato il ricorso principale ed accolto quello incidentale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con la condanna di NOME COGNOME a restituire alla AST di Ancona la somma ricevuta, al netto, in esecuzione della sentenza della Corte d’appello n. 230/2021, ivi comprese le spese legali, al netto delle ritenute di legge, oltre accessori dal pagamento.
Quanto alla regolamentazione delle spese processuali va confermata la statuizione sulle spese della Corte d’appello; la
regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 comma 1quater d.P.R. n. 115 del 2002 quanto al solo ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale e decidendo nel merito condanna di NOME COGNOME a restituire alla AST di Ancona la somma ricevuta, al netto, in esecuzione della sentenza della Corte d’appello n. 230/2021, ivi comprese le spese legali, al netto delle ritenute di legge, oltre accessori dal pagamento; conferma la statuizione sulle spese della Corte d’appello; condanna il ricorrente NOME COGNOME al pagamento, in favore della AST di Ancona, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio della Sezione Lavoro