Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10962 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10962 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3215-2024 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3798/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/11/2023 R.G.N. 450/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
R.G.N. 3215/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 27/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento della nullità o illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 25.2.2021.
La Corte territoriale ha rilevato che il quadro probatorio raccolto dimostrava la fondatezza dell’addebito disciplinare mosso al lavoratore in qualità di coordinatore loop presso il centro logistico della RAGIONE_SOCIALE s.p.a. ossia la violazione delle procedure previste per le spedizioni di due pacchi (in specie, due polizze di carico destinate ad un Istituto bancario, con conseguente assenza di registrazione sull’apposito sistema informatico e consegna a soggetti diversi dai legittimi destinatari), mentre nessun elemento probatorio era stato acquisito in merito alle circostanze giustificative dedotte dal dipendente (relative ad una sopravvenuta richiesta di ‘fermo deposito’).
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , primo comma, n. 3, ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto -dell’art 32 del CCNL logistica e trasporti integrante il vizio ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 error in iudicando ‘, avendo, la Corte territoriale, trascurato di indicare in quale fattispecie elencata nell’art. 32 del CCNL ricadesse il
fatto contestato, in particolare non avendo mai esplicitato che si trattasse di furto; invero, il quadro probatorio aveva dimostrato la violazione di una presunta procedura prestabilita di lavorazione dei pacchi, ma non il furto dei plichi.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , primo comma, n. 3, ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto -degli artt. 115 e 116 cpc in combinato disposto con l’art 2119 c.c. integrante il vizio ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 error in iudicando’, avendo, la Corte territoriale, trascurato di esaminare -ai fini della proporzionalità della sanzione al fatto addebitato -l’assenza di precedenti disciplinari, la buona fede del lavoratore, l’esistenza di una pra ssi aziendale (in ordine alla richiesta di ‘fermo deposito’), la mancata acquisizione dei tabulati telefonici per accertare le affermazioni del teste COGNOME.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
3.1. Secondo il principio più volte affermato da questa Corte in tema di licenziamento per giusta causa, la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie; la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (cfr. Cass. n. 16784/2020; conf. Cass. n. 17231/2020; v. anche Cass. n. 1665/2022, n. 13865/2019, n. 2518/2023), essendo precluso al datore di lavoro di irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL applicato al rapporto in relazione ad una determinata infrazione (Cass. n. 6165/2016, n. 9223/2015;
cfr. anche Cass. n. 2830/2016), ma nel caso di specie nessun rilievo è stato operato dal ricorrente circa la sussunzione della condotta in sanzione conservativa prevista dal CCNL applicato.
3.2. Dalla natura legale della nozione di giusta causa deriva che l’elencazione delle ipotesi di licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza solo esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011, Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto che il comportamento del lavoratore comportasse una grave violazione del vincolo fiduciario.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, secondo un costante insegnamento (da ultimo, v. Cass. n. 36427 del 2023, Cass. n. 6468 del 2024), è devoluto al giudice di merito ( ex pluribus : Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).
4.2. Invero, la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione sul punto della sentenza impugnata manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale
pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360 (nel caso di specie, fra l’altro, vietata da una pronuncia c.d. doppia conforme), deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016). Le circostanze richiamate dal ricorrente, oltre a non rivestire carattere decisivo, non sono state -per la maggior parte -né allegate né oggetto di riscontro probatorio.
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso, con regolazione delle spese di lite secondo il criterio della soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 marzo