Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1882 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 1882 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 27/01/2025
SENTENZA
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME, elett. dom. in Roma, INDIRIZZO presso lo studio sul ricorso iscritto al n. 8491/2024 R.G. proposto da: dell’avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI RAGUSA, in perosna del legale rapp. pro tempore , rappresentata e difesa dell’avvocato NOME COGNOME con cui domicilia PEC: EMAIL
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1475/2023 depositata il 29/12/2023, RG 699/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il P.G . in persona dell’Avvocato Generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 1475 del 2023, ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) n. 7 di Ragusa, avverso la sentenza con cui il Tribunale di Ragusa ha respinto il ricorso avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare senza preavviso, disposto con missiva del 7 settembre 201 6 dall’ASP.
Il licenziamento disciplinare era stato irrogato in conseguenza del reiterato assenteismo ingiustificato, falsa attestazione, anche con l’ausilio di altre persone, della presenza in servizio e violazione delle norme aziendali in materia di timbratura del badge.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando cinque motivi di ricorso.
Resiste l’ASP con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, come confermato nella discussione in sede di udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo di ricorso . Violazione e falsa applicazione dell’art. 55bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.
Con la prima censura, il ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui la stessa ha affermato che la eccepita ‘violazione del termine di 40 giorni dalla conoscenza dell’infrazione per effettuare la contestazione, è inammissibile in quanto non formulato con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado né con l’atto di opposizione all’ordinanza emessa nella fase sommaria e comunque è infondato’. Ed infatti, prospetta il lavoratore, la tardività del licenziamento è stato esplicitamente e tempestivamente formulato già in primo grado.
Assume il ricorrente che nella specie è evidente che i termini di legge non sono stati rispettati, infatti, come si rileva dal susseguirsi degli atti specificamente riportati in seno al reclamo in appello, fin dal 6 maggio 2015 l’Amministrazione aveva una conoscenza piena dei fatti da contestare per effetto della comunicazione della sentenza della Corte de Conti, ma l’Amministrazione aveva atteso oltre un anno (dal 6/05/15 al 16/06/16) per contestare gli addebiti.
In ogni caso, andava pronunziata la decadenza dall’azione disciplinare per violazione del termine di cui al comma 4 dell’art. 55 -bis , d.lgs. n. 165 del 2001, ai sensi del quale il procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dall’acquisizione della notizia dell’infrazione.
1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non censura adeguatamente la articolata ratio decidendi della sentenza di appello sul punto.
La Corte d’Appello, dopo la statuizione impugnata sopra richiamata, ha precisato quanto segue.
In primo grado la difesa del lavoratore aveva lamentato la tardività della contestazione relativa a fatti del 2011 dei quali
l’ Amministrazione era venuta a conoscenza almeno dal 16.5.2015, con la comunicazione della sentenza della Corte dei conti. Tale censura era stata richiamata genericamente dall’appellante con il quarto motivo ed era infondata: dagli atti di causa emergeva che in data 27 settembre 2011 la Procura della Repubblica aveva comunicato all’ASP una ordinanza di custodia cautelare in carcere del lavoratore per peculato e truffa aggravata in concorso, posta in essere ai danni dell’Azienda, e con nota del 29 settembre 2011 era stata comunicata a Roccaro la contestazione disciplinare, nel pieno rispetto dei termini previsti dall’art. 55 -bis , comma 2. Il procedimento era stato poi sospeso con nota del 21.10.2011 in pendenza del giudizio penale. Durante la sospensione, in data 1.6.2016, l’Ufficio disciplinare aveva avuto notizia del passaggio in giudicato della sentenza di condanna della Corte dei conti, sez. giurisdizionale, per gli stessi fatti oggetto della contestazione disciplinare. L’Ufficio procedimenti disciplinari aveva riaperto il procedimento rinnovando la contestazione in data 16.6.2016.
Come esattamente ritenuto dal giudice di primo grado, la contestazione doveva ritenersi tempestiva, in quanto la conoscenza della sentenza non definitiva della Corte dei conti non giustificava la riapertura del procedimento disciplinare, trattandosi di decisione suscettibile di essere modificata e non essendo stati accertati i fatti nel giudizio penale pendente.
A fronte di tale articolata motivazione della decisione di appello, il ricorrente contesta l’interpretazione della domanda e dei motivi di appello effettuata dalla Corte territoriale, in ragione della sintesi delle proprie difese riportate nella sentenza di primo grado, tra cui in particolare: ‘ a) la tardività della contestazione disciplinare del 16.6.2016, in quanto riguardante fatti risalenti al 2011, di cui l’Amministrazione è venuta a conoscenza perlomeno il 6.5.2015, per
effetto della comunicazione della sentenza della Corte dei Conti pronunciatasi sui medesimi fatti’.
Si osserva che tale difesa non è sovrapponibile alla doglianza dichiarata inammissibile per tardività in appello, ed è stata presa in esame dal giudice di secondo grado che l’ha ritenuta non fondata, come sopra illustrato.
Inoltre, tale prospettazione non considera l’effetto devolutivo dell’appello, che esclude la censurabilità della sentenza di appello per il tramite della sentenza di primo grado.
A ciò consegue anche l’inammissibilità della censura di violazione del termine di cui al comma 4 dell’art. 55 -bis , d.lgs. n. 165 del 2001, peraltro formulata in modo generico anche con riguardo alla tempestiva devoluzione in sede di merito.
Secondo motivo di ricorso. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2909, c.c, e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 e n. 4, c.p.c.
Il lavoratore contesta che l’accertamento del danno erariale possa avere rilievo in sede disciplinare, atteso che per i fatti posti a fondamento della decisione del Giudice contabile, su cui si fonda il licenziamento, il dott. NOME COGNOME era stato assolto.
Terzo motivo di ricorso. Nullità della sentenza in ragione della violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2119, c.c. , e 324, c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 , n. 4 e n. 5 c.p.c.
È censurata la statuizione secondo cui ‘L’omessa considerazione della statuizione della sentenza penale che ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante della ‘fidefac i enza’ degli atti – in quanto non contestata – e dei reati di peculato e concussione è irrilevante in quanto i fatti accertati costituiscono giusta causa del licenziamento anche se i reati sono estinti per prescrizione e se i fatti accertati non integrano i reati di concussione e peculato’.
Assume il lavoratore che era stato definitivamente accertato dalla sentenza penale che i fatti contestati al dipendente su cui si fondava il licenziamento erano stati dichiarati non sussistenti. Pertanto, il licenziamento era illegittimo, anche in ragione del criterio di proporzionalità.
3.2. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili.
Le statuizioni contestate sono state formulate dalla Corte d’Appello all’esito di un complesso iter motivazionale, che le doglianze non censurano adeguatamente, ai fini del giudizio di rilevanza delle stesse.
La Corte d’Appello, che in premessa ha ricordato che al lavoratore era stato contestato reiterato assenteismo ingiustificato, falsa attestazione, anche con l’ausilio di altre persone, della presenza in servizio e violazione delle norme aziendali in materia di timbratura del badge , infatti, ha affermato che nel giudizio contabile sono stati accertati con statuizione passata in giudicato i seguenti comportamenti: illegittimo svolgimento di attività intramoenia non autorizzata con conseguente appropriazione dei compensi versati dagli utenti e dirottamento presso lo studio privato, attraverso una condotta fraudolenta, degli utenti che telefonavano presso la struttura pubblica per il rilascio di un certificato, reiterata assenza ingiustificata dal servizio e falsa attestazione della presenza in servizio.
I fatti accertati nella sentenza della Corte dei conti, assistiti dall’elemento soggettivo del dolo come accertato nella sentenza citata e come confermato dalle prove assunte nel giudizio penale e nel presente giudizio -ha affermato la Corte d’Appello con accertamento di fatto, integrano senz’altro una giusta causa del licenziamento del dipendente costituendo una grave violazione dei
doveri del pubblico dipendente idonea a ledere in modo definitivo il rapporto fiduciario che deve necessariamente assistere il rapporto di lavoro.
A fronte di tale motivazione, che pone in evidenza come la sentenza passata in giudicato della Corte dei conti per i fatti accertati, costituisca adeguata base di indagine per il vaglio del l’illecito disciplinare, il lavoratore, pur prospettando la rilevanza nella specie del giudicato penale, non ha specificato le statuizioni penali relative ai fatti oggetto degli addebiti contestati in sede disciplinare. Il lavoratore ha riportato alcuni stralci della sentenza penale (pagg. 6 e 7 del ricorso) relativi all’ esclusione per insussistenza del fatto del reato di peculato (appropriazione denaro, uso locali attrezzatture e apparecchiature) e del reato di cui all’art. 319 -quater c.p. (la cui rubrica reca ‘induzione indebita a dare o a promettere utilità’), senza offrire specifiche indicazioni in merito ai fatti oggetto della contestazione disciplinare richiamati dalla Corte d’Appello.
Quarto motivo. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui 55bis e 55ter del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 e n. 5, c.p.c.
Con la censura il ricorrente ha eccepito il difetto di motivazione della sentenza in ordine alla pronunzia sulla mancata tempestività della sanzione disciplinare del 16-62016; sulla violazione dell’art. 55 -bis, commi 2 e 4, e dell’art. 55 -ter, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 2001; sulla valenza probatoria della sentenza della Corte dei conti, peraltro, a seguito della sentenza definitiva del Tribunale penale sopra riportata, soggetta a revocazione ex art. 202 cod. Giustizia contabile; sulla errata interpretazione del d. lgs 165/2001; sulla asserita prova fornita dai verbali stenotipici.
4.1. Il motivo è inammissibile in ragione della genericità dello stesso che assomma senza illustrarle in modo specifico plurime doglianze, atteso che In tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità
di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (Cass., n. 17224 del 2020).
Anche la dedotta violazione dell’art. 360, n.5, c .p.c., è inammissibile, atteso che l’ ‘omesso esame ‘ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabili in alcun modo a questioni o argomentazioni o valutazioni delle risultanze istruttorie che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità della censura, come nella specie irritualmente formulata (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
Quinto motivo. Deduce il ricorrente che in applicazione dell’art. 91 cpc. le spese dei tre gradi del giudizio e dell’eventuale giudizio di rinvio vanno poste a carico della controparte.
5.1. Attesa l’inammissibilità dei precedenti motivi di ricorso anche la censura sulle spese è inammissibile per difetto di rilevanza.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro