Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8985 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8985 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6963-2024 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 49/2024 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 22/01/2024 R.G.N. 408/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 6963/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 25/02/2025
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Lecce, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di Poste Italiane s.p.a. per la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato in data 6.4.2020.
La Corte territoriale ha rilevato che il quadro probatorio acquisito consentiva di dimostrare la responsabilità della COGNOME, impiegata presso il Centro distribuzione di Tricase, per la sottrazione (e l’apertura) di numerosa corrispondenza postale ritrovata in due abitazioni (a Tricase e a Marina di Andrano) entrambe nella piena disponibilità della lavoratrice, in quanto dalla stessa abitate e frequentate insieme al figlio; ha aggiunto che la condotta era stata, in sede penale, archiviata esclusivamente in considerazione dell’assenza del requisito della procedibilità (trattandosi di reati perseguibili a querela di parte, in assenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio); i giudici del merito hanno ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare in considerazione delle verifiche istruttorie necessarie per configurare un’appropriazione indebita di corrispondenza di cui la COGNOME aveva il possesso per ragioni di servizio, superflua l’affissione del codice disciplinare (trattandosi di comportamenti contrari ai doveri fondamentali del lavoratore rientranti nel c.d. minimo etico), e, infine, ipotesi di tale gravità da integrare una giusta causa di licenziamento anche alla luce delle previsioni contrattuali di cui all’art. 54, punto VI, lett. a), c) e k) del CCNL di settore.
Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. avendo, la Corte di appello erroneamente ritenuto di aver acquisito la prova della sottrazione da parte della lavoratrice della posta rinvenuta (a seguito di due perquisizioni) dai Carabinieri, in due abitazioni, esclusivamente sulla base della disponibilità (da parte della Mammolo) delle due abitazioni nonché della sua assegnazione alla sede del RAGIONE_SOCIALE di Tricase con relativa disponibilità (per ragioni di servizio) dei plichi postali; i giudici del merito hanno applicato il procedimento presuntivo senza conoscenza di un fatto noto (dal quale far risalire un fatto ignoto) e ricorrendo, pertanto, inammissibilmente ad una c.d. praesumptio de praesumpto.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. avendo, la Corte di appello erroneamente affermato che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale penale di Lecce aveva ritenuto sussistente l’appropriazione indebita di corrispondenza aggravata, con conseguente travisamento della prova.
Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, c.c. violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte di appello -con riguardo alla tempestività della contestazione disciplinare – trascurato che la società aveva avuto conoscenza della giacenza di corrispondenza presso le abitazioni ove la COGNOME aveva disponibilità dagli organi di stampa (e
nessuna rilevanza poteva avere il fatto che le Poste Italiane avevano disposto l’assegnazione provvisoria della lavoratrice presso un ufficio di Taranto); la motivazione della sentenza impugnata è, inoltre, perplessa e contraddittoria sostenendosi, da una parte, che la società aveva conoscenza dei fatti sin da ottobre 2019 e, dall’altra, che la società aveva necessità di tempo per individuare un collegamento certo tra rinvenimento della corrispondenza e disponibilità delle abitazioni da parte della COGNOME
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. La dedotta violazione o falsa applicazione deli artt. 2727 e 2729 c.c. si concreta, nel caso in esame, nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali e di un’inferenza probabilistica diversa da quella seguita dai giudici di merito (v. Cass. n. 9054 del 2022), nel tentativo di conseguire una rivalutazione dei fatti storici già esaminati dal giudice di merito (Cass., S.U., n. 34476 del 2019) e di scardinare l’apprezzamento del quadro probatorio (di fonte documentale e testimoniale).
4.2. La violazione delle norme sulle presunzioni non può dirsi sussistente sol perché il giudice di merito abbia, o non abbia, ritenuto che da un certo fatto noto possa risalirsi per via di deduzioni logiche ad un fatto ignorato. Questa valutazione, infatti, costituisce un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità e la Corte correttamente ha proceduto valutando tutto il materiale raccolto in sede penale (ove si procedeva per i reati di cui agli artt. 314 e 646 c.p.) e le stesse allegazioni della lavoratrice in tema di presenza e frequenza nelle abitazioni ove è stata ritrovata la corrispondenza (sottratta e aperta) e di mansioni assegnate (‘addetta alla ripartizione della posta ordinaria’).
4.3. La violazione degli articoli 2727 e 2729 cod.civ., come già ripetutamente affermato da questa Corte, può essere censurata in sede di legittimità soltanto in un caso: allorché ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei a fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso ( ex multis , in tal senso, Sez. Un. n. 1785 del 2018, paragrafo 4.1; nonché Cass. n. 19485 del 2017, Cass. n. 3541 del 2020).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. La dedotta violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n. 11892/2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020).
5.2. Nel caso di specie la Corte di appello ha valutato la documentazione acquisita in sede penale e l’ha ritenuta concordante nella dimostrazione dei fatti addebitati, pur rilevando che l’archiviazione dell’indagine in sede penale era dovuta a carenza di querela in considerazione della tipologia del reato e della carenza del profilo di ‘incaricato di pubblico servizio’ da parte della lavoratrice.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
6.1. Posto che il canone del rispetto dell’immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare assume carattere “relativo”, che impone una valutazione caso per caso, secondo un risalente insegnamento giurisprudenziale, la valutazione della tempestività della contestazione costituisce una indagine di fatto demandata al giudice del merito (Cass. n. 14113 del 2006; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 20719 del 2013; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 14324 del 2015; Cass. n. 16841 del 2018). Pertanto, come ogni accertamento di fatto può essere sottoposto al sindacato di questa Corte di legittimità nei ristretti limiti in cui può esserlo ogni quaestio facti , nella vigenza del novellato n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod.proc.civ. così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 in relazione alla violazione del c.d. minimo etico, nel caso di specie paradigma legale precluso in considerazione di una pronuncia c.d. doppia conforme.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio