Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14760 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11005-2023 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 191/2023 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/03/2023 R.G.N. 428/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N. 11005/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 22/01/2025
CC
del 22/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 201/2020 il Tribunale di Ragusa, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da COGNOME COGNOME all’ordinanza del medesimo Tribunale resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012 (ordinanza di totale reiezione del ricorso di detto lavoratore), aveva ritenuto -in presenza di due procedimenti disciplinari nettamente distinti tra loro – legittimo e tempestivo il licenziamento intimato al lavoratore da Unicredit s.p.a. in data 6.9.2016, relativamente ai fatti contestati con la missiva del 14.4.2016, mentre, contrariamente a quanto accertato nella fase sommaria, riteneva che fra la data della prima contestazione disciplinare (del 7.7.2015) e il licenziamento fosse trascorso un tempo irragionevole, che i fatti oggetto delle due contestazioni disciplinari non fossero fra loro connessi e che le contestazioni di cui alla prima missiva, in quanto prive di rilevanza penale, non rendessero necessaria la sospensione cautelare del procedimento in attesa delle risultanze, anche non definitive, del procedimento penale; dichiarava, conseguentemente, che gli effetti del licenziamento decorrevano dalla data della seconda contestazione (del 14.4.2016), con conseguente condanna dell’istituto alla restituzione delle retribuzioni relative al periodo dal 7.7.2015 al 14.4.2016, trattenute dalla datrice di lavoro sulle somme spettanti al dipendente a titolo di trattamento di fine rapporto.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’Appello di Catania rigettava il reclamo principale proposto dal COGNOME contro detta sentenza ed accoglieva, invece, il
reclamo incidentale proposto da Unicredit s.p.a. avverso la medesima decisione e, in riforma della stessa, rigettava l’opposizione proposta dal COGNOME avverso l’ordinanza del Tribunale di Ragusa del 21.12.2017.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, tra l’altro, premetteva che, dopo una prima contestazione disciplinare del 7.7.2015, con una seconda contestazione del 14.4.2016 al COGNOME, responsabile della filiale di S. Croce Camerina, era stato addebitato di aver omesso di segnalare le ‘operazioni sospette’ intercorrenti fra i clienti della banca e COGNOME NOME -indagato unitamente al COGNOME per i reati di usura ed estorsione -al quale aveva, altresì, riferito informazioni riservate, riguardanti le esposizioni debitorie dei clienti nei confronti della banca e ciò al fine di tenere aggiornato il COGNOME in merito allo stato di bisogno di questi ultimi e di agevolare la riscossione del credito da parte dello stesso, agendo nella piena consapevolezza dell’usurarietà del rapporto tra il COGNOME e i correntisti e violando ripetutamente la normativa antiriciclaggio, la normativa posta a tutela della privacy, la normativa interna, il codice di condotta, l’art. 2104 c.c. e l’art. 38 c.c.n.l. credito.
La Corte, dopo aver riferito i motivi dei contrapposti reclami, disattendeva anzitutto il primo motivo del reclamo principale, con il quale il lavoratore lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva ritenuto provate le contestazioni mosse nella missiva dell’aprile 2016; nonché l’ultimo motivo dello stesso reclamo principale, con il quale era stato denunciato un vizio di omessa pronuncia sull’eccezione di illegittimità delle trattenute, operate dalla banca sul TFR, relative alle retribuzioni maturate
successivamente alla seconda contestazione disciplinare.
5 . La Corte, inoltre, nell’esaminare il secondo motivo del reclamo principale unitamente al reclamo incidentale, escludeva la contrarietà a buona fede del comportamento della reclamante incidentale.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
La Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Omesso esame e/o omessa motivazione ai sensi dell’art. 360, 1° comma n. 5 cpc in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in punto tardività della prima contestazione disciplinare’. Lamenta che la Corte d’appello di Catania abbia completamente omesso di pronunciare sull’eccezione di tardività della prima contestazione disciplinare, che pure il ricorrente aveva tempestivamente sollevato sin dalla fase sommaria del giudizio, riproponendola sia nel giudizio di opposizione, sia in fase di reclamo.
Con il secondo motivo deduce la ‘Nullità della sentenza ex art. 360, 1° comma, n. 4 cpc in relazione agli artt. 111 Cost. e 112 cpc per difetto assoluto di motivazione in punto di tardività della prima contestazione disciplinare’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cpc degli artt. 111 Cost., 115, 116, c.p.c., 2697 c.c., in relazione all’utilizzo come fonte di prova esclusiva ai fini del giudizio di
tempestività della seconda contestazione disciplinare di un documento contenente una dichiarazione della parte su cui grava il relativo onere probatorio’.
Con un quarto motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cpc, degli artt. 7 L. n. 300/1970, 1, comma 41 L. n. 92/2012 e 1175 c.c. in punto eccessiva durata del procedimento disciplinare’.
Con un quinto motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cpc., degli artt. 7 L. n. 300/1970, 1, comma 41 L. n. 92/2012, nonché degli artt. 41 e 44 del contratto collettivo nazionale per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti delle imprese creditizie, finanziarie e strumentali del 31/03/2015, in punto illegittimità della trattenuta delle retribuzioni corrisposte durante il periodo di sospensione’.
6. Il primo motivo è inammissibile.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in
causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
Ebbene, con il primo motivo, proposto esclusivamente ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., il ricorrente non denuncia l’omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, nel senso testé specificato, decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, bensì deduce un vizio di omessa pronuncia (o di omessa motivazione) sulla propria ‘eccezione di tardività della prima contestazione disciplinare’.
9. Il secondo motivo è infondato.
La censura riguarda la medesima questione posta con il primo motivo, ma solo in chiave di anomalia motivazionale
indicata come ‘difetto assoluto di motivazione in punto di tardività della prima contestazione disciplinare’.
Ebbene, il ricorrente non considera: a) che la Corte aveva dato conto che : ‘Con il secondo motivo di gravame, articolato in più punti, il reclamante lamenta l’erronea valutazione del giudice riguardo alla tempestività delle contestazioni disciplinari’ (così al punto 2) alla quarta facciata della propria decisione); b) che la stessa Corte aveva altresì riferito che: ‘Con reclamo incidentale, l’istituto di credito impugna la sentenza nella parte in cui il tribunale ha ritenuto non giustificabile il tempo trascorso tra la prima contestazione disciplinare (7.7.2015) e il licenziamento (6.9.2016), …’ (così al punto 4) alla quinta facciata); c) che, come già accennato in narrativa, la Corte ha esaminato il primo e l’ultimo motivo del reclamo principale del lavoratore, preannunciando che il secondo motivo del reclamo di quest’ultimo sarebbe stato ‘esaminato unitamente al reclamo incidentale’ (v. punto 7) alla facciata 8); d) che effettivamente, nell’esaminare il reclamo incidentale di Unicredit, dopo aver riportato in dettaglio ‘la tempistica della vicenda, come riportata nella sentenza, e comunque pacifica tra le parti’, ha concluso per quello che ora interessa, con riferimento ai ‘fatti oggetto della prima contestazione’, che la ‘banca ha tempestivamente contestato i comportamenti disciplinarmente rilevanti che intanto erano stati accertati, …’ (v. in extenso facciate 8-10 della sua sentenza).
Dunque, è evidente che l’assoluto difetto di motivazione sul punto di cui si duole il ricorrente non sussiste assolutamente.
13. Parimenti infondato è il terzo motivo.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha formato il proprio convincimento non soltanto in base al documento proveniente dalla stessa parte datoriale, vale a dire, in base alla lettera della seconda contestazione disciplinare del 14.4.2016.
14.1. La Corte, difatti, nel riportare la cennata tempistica della vicenda disciplinare, ha riferito che la banca in data 14.12.2015 aveva estratto ‘copia degli atti del procedimento penale’, vale a dire, di atti che in precedenza non erano nella sua disponibilità e che erano stati acquisiti o formati, non dalla stessa banca, bensì in ambito giudiziario, ed ha, poi, concluso che non appariva rilevante ‘il tempo trascorso dall’acquisizione degli atti del procedimento penale e la contestazione del 14.4.2016, atteso che dalla stessa lettera di contestazione emerge che la banca ha effettuato riscontri interni dei fatti oggetto di contestazione’.
Del resto, la censura si fonda su una critica dell’apprezzamento probatorio riservato a riguardo ai giudici di merito, laddove assume che la banca in tale lettera di contestazione del 14.4.2016 si sarebbe (v. pag. 25 del ricorso e nota 28 in calce).
15. Il quarto motivo non è fondato.
16. In esso il ricorrente censura .
Osserva anzitutto il Collegio che il passo motivazionale che il ricorrente impugna non contiene l’enunciazione di alcun ‘principio di diritto’.
Piuttosto, si è in presenza solo della conclusione tratta all’esito di un ampio ragionamento decisorio (v. in extenso l’intero § 8 alle facciate dall’ottava alla undicesima dell’impugnata sentenza), nell’ambito del quale la Corte in sintesi ha, tra l’altro, evidenziato: I) che il 6 agosto 2015 erano intervenute ‘la comunicazione di sospensione del procedimento disciplinare e conferma dell’allontanamento dal servizio con riserva di valutazione dei fatti all’esito anche non definitivo del procedimento penale’ ; II) che, in base agli elementi considerati, correttamente ‘la banca ha sospeso cautelativamente il Francione dal servizio e ha sospeso il procedimento disciplinare in attesa della conclusione delle indagini’; III) che, dopo la seconda contestazione disciplinare del 14 aprile 2016, giudicata come tale non intempestiva (secondo quanto già rilevato nell’esaminare il terzo motivo di ricorso), il lavoratore si era giustificato per iscritto con lettera del 19 aprile 2016 (come aveva fatto il 13 luglio 2015 in ordine alla prima contestazione disciplinare), nella quale tuttavia richiedeva la propria audizione orale, poi avvenuta l’11 maggio 2016; IV) che seguiva lettera del 9 giugno 2016, con la quale la banca rappresentava la necessità di ulteriori approfondimenti, confermandosi il provvedimento di allontanamento dal servizio; V) che non appariva ‘logico pretendere che la datrice di lavoro frazionasse il procedimento
disciplinare, adottando immediatamente la sanzione ritenuta proporzionata ai fatti contestati il 7.7.2015 (anche ove in ipotesi questa fosse il licenziamento), essendo di contro pienamente giustificata l’attesa dell’esito, anche non definitivo, del procedimento penale, sospendendo nel frattempo il procedimento disciplinare, al fine di contestare eventuali comportamenti disciplinarmente rilevanti, che avrebbero potuto supportare ulteriormente la sussistenza della giusta causa’; VI) che: ‘In ogni caso non è s tata dedotta alcuna violazione del diritto di difesa, né il dipendente ha potuto fare affidamento sulla legittimità del proprio comportamento, essendo cautelarmente sospeso ed avendo la datrice di lavoro comunicato la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della chiusura delle indagini: il passare del tempo non poteva, dunque, essere inteso come inerzia per irrilevanza disciplinare dei comportamenti contestati’.
17.1. Pertanto, la notazione ulteriore dei giudici di secondo grado, in sé incontestata, dell’ ‘assenza di una norma contrattuale che imponesse la conclusione del procedimento disciplinare entro un termine’, è andata ad aggiungersi ad una serie collegata di constatazioni e considerazioni, neanche direttamente censurate in questa sede.
Ebbene, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. n. 19115 del 2013; n. 15649 del 2010; n. 19424 del 2005; n. 11100 del 2006) e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, essere compatibile con un intervallo
di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l’esigenza di una articolata organizzazione aziendale (Cass. n. 14726 del 2024; n. 1248 del 2016; n. 281 del 2016; n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007), restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (Cass. n. 23346 del 2018; n. 16841 del 2018; n. 281 del 2016; n. 20719 del 2013, n. 19115 del 2013).
18.1. Su quest’ultimo aspetto si è puntualizzato che compete al giudice di merito verificare in concreto quando un potenziale illecito disciplinare sia stato scoperto nei suoi connotati sufficienti a consentire la contestazione, mentre costituisce questione di diritto, sindacabile in sede di legittimità, determinare se l’arco temporale intercorso tra la scoperta dell’illecito disciplinare e la sua contestazione dia luogo, o meno, a violazione del diritto di difesa del lavoratore (v. Cass. n. 23346 del 2018). Sotto altro profilo, si è aggiunto che il ritardo della contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore, tenendo anche conto che la ponderata e responsabile valutazione dei fatti da parte del datore di lavoro può e deve precedere la contestazione anche nell’interesse del prestatore di lavoro, che altrimenti sarebbe esposto ad incolpazioni non adeguatamente meditare o comunque non sorrette da un sufficiente approfondimento (v. Cass. n. 109 del 2024).
Tutti tali principi di diritto sono stati, da ultimo, ribaditi in Cass. n. 22617/2024, la quale ha ricordato che ‘analoghi principi sono stati espressi riguardo alla immediatezza del
provvedimento espulsivo rispetto alla mancanza addotta a sua giustificazione ovvero al momento della contestazione’.
Si sottrae, perciò, a qualsiasi rilievo in sede di legittimità, il giudizio espresso dalla Corte, dopo aver escluso anche ‘la contrarietà a buona fede del comportamento’ datoriale, circa il tempo non eccessivo ‘trascorso tra la contestazione del 7.7.2015 e l’adozione del provvedimento di licenziamento’.
19.1. Per quanto sopra esposto, infatti, la Corte di merito ha ben posto in luce tutte le circostanze di fatto e di diritto che in concreto caratterizzavano la peculiare fattispecie, caratterizzata, oltre che da due distinte contestazioni disciplinari, dalla sospensione della stessa procedura disciplinare, e dallo spazio comunque dato alle garanzie difensive del lavoratore; circostanze, quindi, idonee a giustificare il tempo intercorso tra la prima contestazione e il licenziamento.
Il quinto motivo è inammissibile.
21 . Il ricorrente in esso evidenzia ‘un ulteriore errore di fondo commesso dai giudici di merito che, confondendo l’istituto della sospensione cautelare con quello del procedimento disciplinare (e degli effetti del licenziamento per giusta causa), hanno avallato una sovrapposizione tra le due fattispecie che di fatto non esiste, dando per scontato che un lavoratore sospeso cautelativamente debba per forza restituire le retribuzioni medio tempore percepite’, passando ad evidenziare in modo oltremodo diffuso tale doglianza (v. pagg. 31-39 del ricorso).
Rileva preliminarmente il Collegio che, come si
desume chiaramente dalle parti di motivazione dell’impugnata sentenza già vagliate nell’esaminare i precedenti motivi, la Corte ha avuto ben presente la distinzione tra sospensione cautelare dal servizio del dipendente e sospensione del procedimento disciplinare a carico del medesimo (ipotesi nella specie concorrenti).
Ma, soprattutto, il motivo neppure individua la parte di motivazione o la statuizione che s’intende censurare.
Per completezza di disamina, rileva il Collegio che, come già accennato in narrativa, il lavoratore, con il terzo motivo del suo reclamo, aveva denunciato ‘un vizio di omessa pronuncia sull’eccezione di illegittimità delle trattenute, operate dalla banca sul TFR, relative alle retribuzioni maturate successivamente alla seconda contestazione disciplinare. Secondo il reclamante la normativa collettiva consente al datore di lavoro di sospendere cautelativamente il dipendente, ma non fa venir meno l’obbligo di corrispondere la retribuzione, potendo la norma che fa decorrere gli effetti del licenziamento dalla contestazione disciplinare solo nell’ipotesi in cui il relativo procedimento abbia avuto una durata ragionevole’ (così al punto 3) alla facciata quinta dell’impugnata sentenza).
24.1. Orbene, notato che il ricorrente neanche deduce che la Corte distrettuale, nel riferire tale motivo di reclamo, l’avesse malinteso, osserva il Collegio che la questione in esso posta non risulta sovrapponibile a quella rappresentata nel quinto motivo di ricorso per cassazione, che sembra riferirsi alla ‘illegittimità della trattenuta delle retribuzioni corrisposte durante il periodo di sospensione’ nella sua interezza.
25. In ogni caso, il ricorrente neppure considera la risposta ottenuta dalla Corte di merito circa quel motivo di reclamo.
Più nello specifico, la Corte ha rigettato quel motivo, rilevando che: .
25.1. In altre parole, i giudici di secondo grado hanno escluso il vizio di omessa pronuncia denunciato con il terzo motivo del reclamo principale perché neppure risultava proposta la domanda sulla quale il lavoratore deduceva non essersi espresso il primo giudice.
In definitiva, il quinto motivo, formulato esclusivamente in chiave di violazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., è inammissibile sia perché difetta dei requisiti di specificità del ricorso per cassazione, sia perché vi si pone una questione, almeno in parte, nuova, non trattata nel grado precedente.
Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del