Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23576 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23576 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10454-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale -nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1294/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/04/2024 R.G.N. 2766/2023;
Oggetto
Licenziamento disciplinare del dirigente
R.G.N.10454/2024
COGNOME
Rep.
Ud 04/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato che il licenziamento per giusta causa intimato da Rai -Radiotelevisione Italiana RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME era ‘ingiustificato’ e, per l’effetto, ha condannato la società a pagare al dirigente l’indennità supplementare quantificata nella misu ra di € 162.011,36, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del licenziamento fino al saldo;
la Corte territoriale -in estrema sintesi e per quanto qui ancora rilevi -ha accertato la violazione, da parte della società, delle garanzie procedimentali dell’art. 7 St. lav., valide anche per i dirigenti, in quanto il recesso era stato intimato il 1° marzo 2022, ‘prima della scadenza del termine di dieci giorni previsto a difesa nella contestazione del 22 febbraio’; valutando la nota del 25 febbraio inoltrata dal dirigente, la Corte ha ritenuto che ‘il COGNOME, a parte una contestazione di stile d elle incolpazioni, non si era per nulla difeso, evidenziando al riguardo l’impossibilità di apprestare una apposita difesa a causa del suo stato di detenzione domiciliare che gli impediva qualsiasi contatto con l’esterno’, sicché non ricorreva l’ipotesi pe r la quale il datore di lavoro potesse intimare il recesso prima del decorso del termine previsto per le giustificazioni, atteso che il lavoratore non aveva affatto ‘esercitato pienamente il proprio diritto di difesa’;
in punto di conseguenze sanzionatorie, la Corte, sulla base di precedenti di legittimità, ha escluso la tutela reintegratoria invocata da parte reclamante, applicando quella prevista dalla contrattazione collettiva per i dirigenti d’azienda nei casi di ingiustificatezza del licenziamento;
ricondotta la violazione delle garanzie procedimentali nell’alveo dell’ingiustificato recesso del dirigente, con esclusione di provvedimenti ripristinatori richiesti originariamente col ricorso ex lege n. 92 del 2012, la Corte di Appello, diversamente dal Tribunale, ha ritenuto che fosse ben possibile per il COGNOME, nel passaggio dal rito sommario a quello a cognizione piena nella fase di opposizione, ‘una rimodulazione delle difese intesa a prospettare un miglior inquadramento della vicenda, nonché la deduzione di ulteriori motivi di invalidità del licenziamento, ove fondata, però, sui medesimi fatti costitutivi’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso principale la società con tre motivi; ha resistito l’intimato, formulando ricorso incidentale affidato a due motivi; a quest’ultimo ha resistito la RAI con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso principale possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa difesa della società;
1.1. ‘Il primo motivo di ricorso propone una critica di violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18. co. 10 della L. n.300/70 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. per aver la Corte d’Appello di Roma ritenuto illegittimo il licenziamento intim ato
dalla Rai al sig. COGNOME senza avvedersi del fatto che il provvedimento espulsivo fosse stato adottato prima che la società ricevesse la richiesta di audizione orale da parte del lavoratore non avendo quest’ultimo, nelle proprie giustificazioni rese in forma scritta, formulato alcuna richiesta di audizione orale, né alcuna richiesta di documentazione o di accesso agli atti, né alcuna riserva di produzioni documentali o di ulteriori motivazioni. Ciò in contrasto con l’orientamento dominante espresso in s ede di legittimità anche a Sezioni Unite’;
1.2. ‘Il secondo motivo di ricorso propone una doglianza di violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 1366 c.c. con riferimento ai commi 2 e 5 dell’art. 7 L. 300/70 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per essere incorsa la Corte di Appello di Roma nel vizio di legittimità là dove ha ritenuto che la Rai abbia irrogato la sanzione espulsiva disattendendo, nell’ambito della procedura ex art. 7 L. n. 300/70, i canoni di correttezza e buona fede’;
1.3. ‘Il terzo motivo di ricorso propone una critica di violazione o falsa applicazione dell’art. 1, co. 51 L. 92/12, anche in relazione agli artt. 1375 e 1418 c.c., all’art. 112 c.p.c. ed all’art. 7 L. n. 300/70, per avere la sentenza impugnata ritenuto ammissibile la domanda, formulata solo nel ricorso in opposizione, con la quale il dr. NOME COGNOME aveva chiesto, sulla premessa della violazione del suo diritto di difesa nel procedimento disciplinare, la declaratoria della ingiustificatezza del licenziamento disposto nei suoi confronti e la condanna della Rai al pagamento dell’indennità supplementare, pur avendo, nell’atto introduttivo del giudizio innanzi al Tribunale, dedotto la violazione delle regole del procedimento disciplinare come pretesa causa di nullità del licenziamento, tale da condurre alla reintegra o comunque al ripristino del rapporto di lavoro’;
il ricorso incidentale del dirigente, al fine di ottenere la maggiore tutela reintegratoria, deduce:
2.1. col primo motivo, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la ‘violazione degli artt. 7 e 18 l. n. 300 del 1970, nonché dell’art. 1418 c.c.’, sostenendo che la violazione accertata dalla Corte territoriale non sarebbe meramente procedurale bensì di norma imperativa a presidio del diritto di difesa;
2.2. con il secondo mezzo, la ‘Violazione della normativa ‘anticorruzione’ (Legge n. 190/2012) e, in particolare, della disciplina sul conflitto di interessi, quale ulteriore vulnus dell’art. 7, comma 2°, Legge n. 300/1970′, assumendo che il ‘conflitto di interessi’ con cui sarebbe stato gestito il procedimento disciplinare in controversia rappresenterebbe un ulteriore profilo di violazione di norma imperativa nella prospettiva reintegratoria invocata;
il ricorso principale della società non può trovare accoglimento;
3.1. i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente e vanno disattesi;
con la sentenza n. 3965 del 1994 le Sezioni unite di questa Corte, nell’escludere che in caso di violazione dell’art. 7 St. lav. si versi in una ipotesi di nullità del licenziamento, hanno sancito che il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi del comma quinto dell’articolo richiamato, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, ivi compreso il licenziamento, ‘è funzionale soltanto ad esigenze di tutela dell’incolpato, in quanto tende ad impedire, in quest’ultimo caso, che la sua estromissione dal luogo di lavoro possa avvenire senza che egli abbia avuto la possibilità di raccogliere e fornire le prove e gli argomenti a propria difesa’; con la conseguenza che, ‘ove il
lavoratore abbia fornito le sue giustificazioni prima della scadenza suddetta’, nulla osta a che il datore di lavoro irroghi la sanzione, senza che sia, a tal fine, necessario attendere il decorso della residua parte del termine;
l’assunto è confermato dalla successiva Cass. SS.UU. n. 6900 del 2003, questa volta per escludere che ‘la previsione di detto spazio temporale sia stata ispirata anche dall’intento di consentire al datore di lavoro un’effettiva ponderazione in ordine al provvedimento da adottare ed un possibile ripensamento’, ribadendo che ‘il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della scadenza del termine suddetto allorché il lavoratore abbia esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le proprie giustificazioni’;
vero è che i precedenti di legittimità -come sottolineato dalla difesa della società aggiungono l’inciso ‘senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive’, ma ritiene il Collegio che sia pur sempre indispensabile che l’atto comunicato dal lavoratore abbia raggiunto il suo scopo funzionale di concreto esercizio del diritto di difesa, ossia venga qualificato come atto idoneo a rappresentare le giustificazioni del lavoratore e non sia piuttosto una comunicazione indirizzata ad altri fini;
nella specie i giudici d’appello hanno plausibilmente interpretato la nota del 22 febbraio 2022 – con valutazione fattuale sottratta al sindacato di questa Corte (cfr. Cass. n. 12272 del 2023) – nel senso che contenesse una mera contestazione di stile dei fatti addebitati, in quanto la stessa era piuttosto indirizzata al fine di richiedere la sospensione del procedimento disciplinare, con lo specifico argomento addotto dal COGNOME il quale, nella situazione di restrizione della libertà personale, si trovava
appunto nella ‘impossibilità di predisporre un’adeguata difesa’; quindi la Corte ha chiaramente ritenuto che, con tale comunicazione, non potesse dirsi pienamente esercitato il diritto di difesa del lavoratore, per cui il datore di lavoro non poteva intimare il licenziamento prima del decorso del termine;
a conforto di tale conclusione vi è anche il principio secondo cui, ‘in tema di procedimento disciplinare, nel caso in cui il lavoratore, dopo avere presentato giustificazioni scritte senza formulare alcuna richiesta di audizione orale, avanzi tale richiesta successivamente, entro il termine di cui al comma 5 dell’art. 7 della l. n. 300 del 1970, il datore di lavoro è tenuto a provvedere all’audizione – con conseguente illegittimità della sanzione adottata in mancanza di tale adempimento – senza poter sindacare la necessità o opportunità della integrazione difensiva, non sussistendo ragioni per limitare il diritto di difesa, preordinato alla tutela di interessi fondamentali del lavoratore, in assenza di un apprezzabile interesse contrario della parte datoriale, che riceve comunque adeguata tutela dalla stringente cadenza temporale che regola il procedimento disciplinare’ (Cass. n. 19846 del 2020; conf. Cass. n. 13681 del 2025);
chiaro che se, in mancanza di una decadenza, è consentito al lavoratore l’ulteriore esercizio di atti difensivi fino allo spirare dell’ultimo giorno utile stabilito dall’art. 7 St. lav. (ovvero da regimi convenzionali di maggior favore) anche quando abbia già fornito giustificazioni scritte, a maggior ragione deve considerarsi preclusa al datore di lavoro l’irrogazione della sanzione quando tali giustificazioni, come nella specie, siano sostanzialmente mancate;
una volta accertata la violazione del termine a difesa, ogni ulteriore argomentazione spesa dalla Corte territoriale sulla violazione dei canoni di correttezza e buona fede appare priva
di rilievo decisivo, in quanto funzionale a rafforzare la trama argomentativa della motivazione, con la conseguenza di rendere in ogni caso non sufficiente a consentire la cassazione della sentenza impugnata la doglianza contenuta nel secondo motivo di gravame;
3.2. anche il terzo motivo del ricorso principale è da respingere; dalla stessa prospettazione della censura risulta che sin dal ricorso in opposizione nell’ambito del giudizio regolato dalla l. n. 92 del 2012 il dr. COGNOME aveva chiesto, sulla premessa della violazione del suo diritto di difesa nel procedimento disciplinare, già dedotta nell’atto introduttivo del giudizio, la declaratoria della ingiustificatezza del licenziamento disposto nei suoi confronti e la condanna della Rai al pagamento dell’indennità supplementare;
questa Corte ha più volte ribadito che ‘nel rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente costituisce una prosecuzione, sicché non costituisce domanda nuova, inammissibile per mutamento della causa petendi , la deduzione di ulteriori motivi di invalidità del licenziamento impugnato’ (Cass. n. 27655 del 2017; Cass. n. 9458 del 2019; Cass. n. 5394 del 2025);
pertanto, non poteva certo dirsi preclusa al dirigente, in fase di opposizione, la richiesta che – peraltro tenendo ferma la denuncia di violazione dell’art. 7 St. lav. già contenuta nell’impugnativa del recesso – invocava un tipo di tutela, non più solo reintegratoria, ma subordinatamente indennitaria di fonte convenzionale, certamente meno ampia rispetto a quella ripristinatoria;
i motivi del ricorso incidentale del lavoratore, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto entrambi finalizzati a sostenere la nullità del licenziamento per violazione di norma imperativa, non posson essere accolti;
la sentenza impugnata è conforme all’insegnamento delle
Sezioni Unite di questa Corte in base al quale la violazione delle garanzie procedimentali dettate dalla l. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3, applicabili anche nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente, ‘si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso’ per cui ‘ne scaturisce l’applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione’ (in termini, Ca ss. SS.UU. n. 7880 del 2007, pronunciata con riferimento ad un caso di assenza della preventiva contestazione di addebiti e di mancata audizione del lavoratore a propria difesa; tra le molte conformi v. Cass. n. 5213 del 2003 e Cass. n. 897 del 2011); con tale principio la parte ricorrente non si confronta adeguatamente e non porta ragioni che inducano il Collegio a discostarsene, in particolare non confutando l’insuperabile argomento, derivante da detto insegnamento, secondo cui, ‘per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all’inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall’accertamento della insussistenza dell’illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustif icativi del recesso’;
circa la tesi della violazione di norma imperativa, che non va identificata con ogni disposizione di natura inderogabile (v. Cass. Sez. Un. n. 8472 del 2022), occorre rammentare che, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte sin dal 1994 (Cass. Sez. Un. nn. 3965 e 3966 del 1994; Cass. Sez. Un. nn. 4844 e 4846 del 1994), ‘il licenziamento disciplinare intimato
senza la previa osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non è viziato da nullità, ma soltanto ingiustificato’, sottoposto quindi alla regola di tutela prevista per l’ingiustificatezza sostanziale (tra le altre v. Cass. n. 6950 del 2019), con una soluzione riconosciuta quale diritto vivente anche dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 388 del 1994 e n. 193 del 1995;
in ordine, poi, alla dedotta violazione della normativa ‘anticorruzione’ diffusamente trattata in memoria dalla difesa del dirigente -vale osservare che la doglianza non è diretta a censurare una statuizione contenuta nella sentenza impugnata, di modo che, in mancanza di un motivo di impugnazione formulato ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., la censura è inammissibile;
la stessa è comunque anche infondata, atteso che viene comunque prospettata come ulteriore profilo di violazione dell’art. 7 St. lav. che, per la costante giurisprudenza richiamata, non realizza conseguenze sanzionatorie diverse da quelle riconosciute dalla Corte territoriale;
5. conclusivamente, entrambi i ricorsi devono essere respinti e la reciproca soccombenza induce alla integrale compensazione delle spese;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, principale e incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, in via principale e incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 4 giugno 2025.
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME