Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34408 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34408 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15309-2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 15309/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 1713/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2022 R.G.N. 125/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di Banco BPM s.p.a. tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 25.11.2019.
La Corte territoriale ha, dapprima, ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare (in considerazione della complessità delle indagini svolte dalla banca oltre che della perizia tecnica grafologica espletata dall’Istituto bancario), e, nel merito, h a ritenuto connotata da gravità la condotta tenuta dal dipendente della banca (il cui ruolo era, fra l’altro, quello di Referente Controlli) il quale ha posto all’incasso sul suo conto un assegno di un cliente senza notificare alla banca che il cliente era deceduto, rendendo, inoltre, una dichiarazione di Adeguatezza Antiriciclaggio non veritiera.
Avverso tale sentenza il dipendente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La banca ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970, 1175, 1375, 2119 c.c. per avere, la Corte territoriale, erroneamente
ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare, nonostante la banca già conoscesse, sin dalla data di audizione del dipendente (18.2.2019) i fatti successivamente addebitati, senza necessità di svolgere le indagini indicate dal giudice di merito né la perizia calligrafica.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. avendo, la Corte territoriale, trascurato di dichiarare l’acquiescenza sul capo della sentenza di primo grado che constatava come nella lettera di contestazione disciplinare non si addebitava al dipendente l’apposizione di firma falsa sull’assegno posto all’incasso nonché sull’ulteriore capo della sentenza di primo grado ove si sottolineava che non erano state dimostrate le pressioni del COGNOME sul collega COGNOME affinché censisse nei sistemi della banca gli eredi legittimi del cliente deceduto in loro assenza e in violazione delle disposizioni vigenti: su tali capi della sentenza di primo grado, non impugnati, si è formato giudicato.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 1 della legge n. 604 del 1966, 7 della legge n. 300 del 1970, 2106 c.c., 44 CCNL, avendo, la Corte territoriale, rinvenuto gli estremi della giusta causa del licenziamento a fronte di comportamenti meramente colposi del dipendente che per mera svista colposa ha errato nel compilare il modulo di Adeguata Verifica Antiriciclaggio ed ha tardato la comunicazione del decesso del cliente.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Posto che il canone del rispetto dell’immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare assume carattere
“relativo”, che impone una valutazione caso per caso, secondo un risalente insegnamento giurisprudenziale, la valutazione della tempestività della contestazione costituisce una indagine di fatto demandata al giudice del merito (Cass. n. 14113 del 2006; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 20719 del 2013; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 14324 del 2015; Cass. n. 16841 del 2018; Cass. n. 109 del 2024). Pertanto, come ogni accertamento di fatto può essere sottoposto al sindacato di questa Corte di legittimità nei ristretti limiti in cui può esserlo ogni quaestio facti , nella vigenza del novellato n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, che, peraltro, nel caso di specie non è precluso da una pronuncia c.d. doppia conforme.
Il secondo motivo di ricorso non è fondato.
5.1. Le censure sono prive di decisività in quanto la Corte di appello ha ritenuto che l’accertamento dei fatti concernenti la mancata comunicazione del decesso del cliente e il rilascio di false dichiarazioni nel modulo di Adeguata Verifica (comportamenti che hanno costituito oggetto della contestazione disciplinare) sono di una tale gravità da sorreggere la valutazione di giusta causa del licenziamento; ne consegue la carenza di decisività dell’invocato giudicato interno su ulteriori fatti.
5.2. Ciò posto, si deve, inoltre, puntualizzare che il giudicato non si forma sulla singola affermazione di diritto o sull’accertamento d’un fatto, ma sulla statuizione che afferma l’esistenza di un fatto, dopo averlo sussunto entro una norma che al fatto ricolleghi un dato effetto giuridico (Cass. n. 4478 del 2000; in senso conforme, Cass. n. 27196 del 2006). Il
giudicato cade, pertanto, sull’unità minima di decisione, che si compone della sequenza fatto, norma ed effetto e risolve, nell’ambito della controversia, una questione dotata d’una propria autonomia e d’una propria individualità. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento della sequenza possa essere oggetto di censura, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine a uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass. n. 2217 del 2016). L’impugnazione conferisce al giudice il potere di riconsiderare e riqualificare la fattispecie anche relativamente agli aspetti che, pur coessenziali, non siano stati singolarmente censurati, neppure in via implicita (Cass. n. 12202 del 2017).
5.3. Nella specie, è del tutto evidente che l’invocato capo della sentenza di primo grado – relativo ad alcune condotte del dipendente – sul quale si sarebbe formato il giudicato interno, non integra una decisione autonoma, ma piuttosto rappresenta un passaggio motivazionale della statuizione in concreto adottata.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
6.1. Si censura, con modalità inammissibili, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, che, secondo un costante insegnamento (da ultimo, v. Cass. n. 36427 del 2023, Cass. n. 6468 del 2024), è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).
6.2. La valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione sul punto della sentenza impugnata manchi del tutto, ovvero sia affetta
da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016); vizio di motivazione precluso a fronte di una pronuncia c.d. doppia conforme.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 ottobre