Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8736 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 8736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso 10914-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4420/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/11/2022 R.G.N. 301/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Oggetto
LICENZIAMENTI DIMISSIONI PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 10914/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
PU
udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza del 18 novembre 2022, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Latina e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti del Comune di Fondi, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per falsa attestazione della presenza in servizio attuata con modalità fraudolenta avvalendosi di terzi.
-La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto inconfigurabile la lesione del diritto di difesa dell’istante in relazione alla partecipazione all’organo investito del procedimento del soggetto che ha effettuato la segnalazione disciplinare, non risultandone solo per questo compromessa la terzietà, sussistente, ai sensi dell’art. 55 quater l’addebito contestato, comportando una violazione degli obblighi contrattuali di cui lo COGNOME non poteva non avere contezza e che non risultava legittimata da prassi ammesse dall’Ente datore, che al più aveva tollerato l’uso da parte di una lavoratrice addetta alla reception, dipendente da una impresa terza ma incaricata dello svolgimento di attività istituzionali, non del badge per l’ingresso ma della card di accesso al programma informatico di un impiegato del Comune regolarmente presente in servizio, inconfigurabile in quanto non unico e determinante e, comunque, non congruamente dedotto motivo addotto a qualificare ritorsivo l’intimato licenziamento e proporzionata la sanzione.
-Per la cassazione di tale decisione ricorre lo COGNOME, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Fondi.
-Il procuratore generale ha depositato la propria requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., imputa alla Corte territoriale di aver travisato e ignorato il quadro probatorio emergente a monte della escussione dei testi confermativo della circostanza per cui le lavoratrici dipendenti di una impresa terza impiegate nello svolgimento di funzioni istituzionali avevano sempre utilizzato la card di persone la cui presenza in servizio risultava attestata dal cartellino marcatempo.
-Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e 2106 e 2119 c.c., il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale il carattere meramente apparente della motivazione addotta a fondare la ritenuta ricorrenza della giusta causa di recesso, stante una non corretta valutazione della proporzionalità della sanzione, operata espungendo il profilo relativo alla tenuità del pregiudizio anche economico e così attribuendo rilievo al solo fatto materiale.
-Nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. è prospettato in relazione all’omessa pronunzia da parte della Corte territoriale in ordine alla denunciata lesione del diritto di difesa sotto il profilo del non consentito accesso agli atti del procedimento disciplinare.
-Con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., il ricorrente imputa alla Corte territoriale di essersi pronunciata in contrasto con il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato relativamente al profilo del carattere ritorsivo del licenziamento stante il travisamento del motivo illecito addotto a fondamento della prospettazione.
-Il primo motivo si rivela inammissibile, risolvendosi la censura sollevata dal ricorrente nella mera confutazione dell’esito dell’apprezzamento del materiale istruttorio da parte della Corte territoriale che ‘in procedendo’ risulta essere stata correttamente condotto in conformità al disposto degli artt. 115 e 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 6774/2022 e Cass. n. 1229/2019).
-Parimenti inammissibile risulta il secondo motivo, dovendosi, anche in questo caso, ritenere che la censura investa il merito della valutazione circa la proporzionalità della sanzione piuttosto che la sua correttezza sul piano giuridico-formale, essendosi la Corte territoriale attenuta ai criteri valutativi fissati da questa Corte (la gravità del fatto nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, dal dolo alla posizione professionale del ricorrente), anche con riguardo all’irrilevanza della tenuità del pregi udizio economico.
-Infondato, di contro, si appalesa il terzo motivo risultando implicita nel convincimento maturato dalla Corte territoriale circa l’inconfigurabilità della lesione del diritto di difesa del ricorrente la pronunzia di rigetto del profilo ulteriore da ricorrente addotto in senso contrario.
-Ancora inammissibile deve ritenersi il quarto motivo che non coglie l’effettiva ratio decidendi della pronunzia sul punto della Corte territoriale data dalla sussistenza del motivo lecito formalmente addotto dall’Ente datore che di persè esclude l’essere unico e determinante richiesto dall’art. 1345 c.c. del motivo illecito invocato dal ricorrente.
-Il ricorso va, dunque, rigettato.
-Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per
compensi oltre spese generali al 15 % ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 7.2.202 4.