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Licenziamento disciplinare: la Cassazione sulla prova

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di un licenziamento disciplinare inflitto da un ente pubblico a un dipendente per falsa attestazione della presenza in servizio. La sentenza chiarisce che la valutazione delle prove è di competenza dei giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità. Inoltre, la gravità della condotta, che lede il rapporto di fiducia, rende la sanzione proporzionata, a prescindere dall’entità del danno economico.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Disciplinare per Falsa Presenza: la Cassazione Conferma la Sanzione

Il licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza in servizio rappresenta una delle massime sanzioni nel rapporto di lavoro, specialmente nel pubblico impiego. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8736/2024, torna su questo tema delicato, confermando la legittimità del recesso datoriale e fornendo importanti chiarimenti sui limiti del sindacato di legittimità e sui criteri per valutare la proporzionalità della sanzione. Il caso analizzato riguarda un dipendente di un ente comunale licenziato per aver attestato falsamente la propria presenza tramite terzi.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un Comune veniva licenziato per aver attestato in modo fraudolento la sua presenza in servizio, avvalendosi dell’aiuto di terzi. Il lavoratore impugnava il licenziamento, ma sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello confermavano la legittimità del provvedimento espulsivo. Secondo i giudici di merito, la condotta del dipendente costituiva una grave violazione degli obblighi contrattuali, tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro pubblico. Il lavoratore, non rassegnato, proponeva ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente basava la sua impugnazione su quattro principali motivi:

1. Travisamento della prova: Sosteneva che i giudici di merito avessero ignorato le testimonianze secondo cui l’uso di badge o card di accesso da parte di personale esterno era una prassi tollerata.
2. Mancanza di proporzionalità: Lamentava che la motivazione della Corte d’Appello fosse solo apparente e non avesse considerato la tenuità del pregiudizio economico, focalizzandosi unicamente sul fatto materiale.
3. Lesione del diritto di difesa: Denunciava la mancata pronuncia sulla sua richiesta di accesso agli atti del procedimento disciplinare.
4. Carattere ritorsivo: Affermava che il licenziamento fosse in realtà una ritorsione e che la Corte territoriale avesse erroneamente interpretato questo aspetto.

Le Motivazioni della Suprema Corte sul licenziamento disciplinare

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarando alcuni motivi inammissibili e altri infondati. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di licenziamento disciplinare.

L’Inammissibilità del Riesame delle Prove

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito. I giudici di legittimità non possono riesaminare le prove e i fatti già valutati dai tribunali precedenti. Il primo e il secondo motivo sono stati giudicati inammissibili perché, di fatto, chiedevano alla Corte una nuova valutazione del materiale probatorio, un’attività preclusa in questa sede. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente apprezzato le prove secondo il loro prudente convincimento.

L’Irrilevanza del Danno Economico e la Proporzionalità

Sul secondo motivo, relativo alla proporzionalità, la Cassazione ha precisato che la gravità della condotta fraudolenta non si misura solo sul danno economico, che in questi casi è spesso irrilevante. Ciò che conta è la violazione del vincolo fiduciario, elemento essenziale del rapporto di lavoro. La falsa attestazione della presenza è una condotta dolosa che mina alla base la fiducia del datore di lavoro, giustificando la massima sanzione espulsiva. La Corte d’Appello, secondo gli Ermellini, ha correttamente applicato i criteri di gravità oggettiva e soggettiva del fatto.

L’Esclusione del Motivo Ritorsivo

Infine, la Corte ha respinto il motivo sul carattere ritorsivo del licenziamento. Un recesso è ritorsivo solo quando il motivo illecito è l’unico e determinante che ha spinto il datore di lavoro alla decisione. Nel caso di specie, la presenza di una giusta causa conclamata – la condotta fraudolenta – esclude di per sé che il licenziamento possa essere considerato esclusivamente ritorsivo. La sussistenza di un motivo lecito e formale rende inammissibile la contestazione basata sull’art. 1345 c.c.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza. Ribadisce che la fedeltà e la correttezza sono obblighi primari del lavoratore, la cui violazione intenzionale compromette irrimediabilmente il rapporto di fiducia e giustifica il licenziamento. La decisione sottolinea inoltre la netta distinzione tra il giudizio di merito, dove si accertano i fatti, e quello di legittimità, che vigila sulla corretta applicazione del diritto, senza poter entrare nel merito delle prove. Per i lavoratori, la lezione è chiara: condotte fraudolente di questo tipo non sono tollerate e la tenuità del danno economico non costituisce una valida scusante.

In un licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza, la scarsa entità del danno economico può rendere la sanzione sproporzionata?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la tenuità del pregiudizio economico è irrilevante ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione. La gravità del fatto risiede nella violazione intenzionale degli obblighi contrattuali, che compromette in modo irrimediabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove testimoniali già valutate nei gradi di merito?
No. La Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di riesaminare il materiale istruttorio o l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici di merito. Un motivo di ricorso che si limiti a contestare la valutazione delle prove è considerato inammissibile, in quanto il giudizio di legittimità è un controllo sulla corretta applicazione della legge, non un terzo grado di giudizio sui fatti.

Quando un licenziamento può essere considerato ritorsivo e quindi nullo?
Un licenziamento può essere dichiarato nullo per motivo ritorsivo solo quando si dimostra che la ritorsione è stata l’unica e determinante ragione del recesso. La presenza di una giusta causa legittima, come una grave condotta disciplinare del lavoratore, esclude la possibilità di qualificare il licenziamento come ritorsivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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