Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22868 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31622-2021 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3792/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/10/2021 R.G.N. 2184/2021;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
GIUSTA CAUSA
RNUMERO_DOCUMENTO.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede in fase di opposizione ex art. 1, comma 57, della legge n. 92 del 2012, ha respinto la domanda di annullamento del licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE con lettera del 16.8.2016 a NOME COGNOME, operatore di sportello presso l’ufficio di Montegrotto Terme, avendo ritenuto sussistente una giusta causa di recesso in relazione alla mancata annotazione sui registri informatici della consegna di una raccomandat a estera e alle ‘pressioni’ esercitate sulla cliente (NOME COGNOME), destinataria della suddetta raccomandata (e delegata al ritiro), al fine di farle rilasciare una dichiarazione inveritiera.
La Corte territoriale -premesso che dopo una prima contestazione disciplinare del 2.5.2016 avente ad oggetto la mancata registrazione di una raccomandata, la società, all’esito delle verifiche interne, ha revocato la prima contestazione e comunicato una secondo contestazione disciplinare dell’11.7.2016 concernente il comportamento tenuto nei confronti della cliente – ha (sulla scorta della prova testimoniale assunta in primo grado) ritenuto accertato il comportamento del lavoratore che: ha predisposto, o comunque ‘dettato’ alla cliente, NOME COGNOME, ‘una dichiarazione inveritiera’ perché in essa era riportata come affermazione proveniente dalla COGNOME una circostanza (la consegna di una sola raccomandata, anziché di due) che la stessa aveva recisamente smentito al cospetto del COGNOME; ha effettuato una visita serale non preavvisata presso l’abitazione privata della cliente, priva di autorizzazione della Direzione di
RAGIONE_SOCIALE, insistendo per ottenere una dichiarazione non corrispondente al pensiero della stessa e volta a scagionarlo dall’addebito disciplinare. Ritenuta ricorrente una condotta di gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, anche in cons iderazione dell’integrazione delle previsioni contrattuali di cui all’art. 54, VI comma, lett. c) e k), del CCNL 2011 di settore, la Corte territoriale ha dichiarato legittimo il licenziamento.
Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso affidato a sei motivi. La società resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’ingiustizia della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2119 c.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, deciso in base a congetture e supposizioni, senza valutare il fatto nella sua portata soggettiva riguardo alle particolari circostanze e condizioni in cui si è attuato.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia l’ingiustizia della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2119 c.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, omesso di valutare la revoca della prima contestazione disciplinare avente ad oggetto gli stessi eventi riportati nella seconda contestazione, con ciò omettendo di considerare che la società aveva ormai consumato il potere disciplinare.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia l’illegittimità e l’ingiustizia della sentenza impugnata (in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per avere, la Corte territoriale, omesso l’esame di fatti decisivi (documentali) nonché omesso l’acquisizione di dati documentali più volte oggetto di reiterata richiesta di istruttoria; nella specie, entrambi i giudici del merito, hanno impedito al lavoratore di fornire adeguata prova omettendo l’esame del modello Aut. 28 attestante il numero dei plichi consegnati alla cliente il giorno 25.3.2016, del modello 26 nonché del contegno processuale della società, dell’effi cacia probatoria della dichiarazione rilasciata dalla cliente-delegata il giorno 12.5.2016, della documentazione richiamata dalla direttrice dell’ufficio (sig.ra COGNOMECOGNOME nella mail inoltrata all’ufficio Risorse umane, delle dichiarazioni rilasciate dalla teste NOME COGNOME.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia l’illegittimità e l’ingiustizia della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per avere, la Corte territoriale, fatto proprio l’insufficiente motivazione della sentenza del Tribunale, in violazione delle norme che impongono l’adeguata motivazione.
Con il quinto motivo di ricorso si denunzia l’ingiustizia della sentenza per violazione e/o falsa di legge in merito all’onere probatorio assolto dalla società resistente (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, deciso la controversia sulla base di deduzioni elaborate dai dipendenti della società.
Con il sesto motivo di ricorso si eccepisce il diritto del lavoratore ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro stante l’insussistenza della giusta causa di licenziamento a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del datore di lavoro ed avendo, la Corte territoriale, deciso
sulla base di mere congetture, opinioni e personali considerazioni.
I motivi di ricorso, che possono valutarsi congiuntamente per la stretta inerenza, sono inammissibili e, per la parte residua, infondati.
Tutte le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di fatti decisivi per il giudizio -vizio il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una «doppia conforme» (art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014; la medesima previsione è inserita, dall’art. 3, comma 27, lett. a), n. 2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nell’art. 360, quarto comma, cod.proc.civ.) – mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
10. Ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
11. Tutte le censure in esame sono inammissibili in quanto non individuano un errore di diritto ma, piuttosto, involgono apprezzamenti di merito in ordine alla condotta del dipendente nella fattispecie concreta, valutazioni in quanto tali sottratte al sindacato di questa Corte. Va rammentato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie
concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( ex aliis : Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al ” minimo costituzionale ” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014), profilo che, oltre a non sussistere, è impedito dalla sentenza «doppia conforme».
12. Infine, con riguardo alla censura, contenuta nel secondo motivo, di consumazione del potere disciplinare da parte della società (che, dapprima, ha comunicato una contestazione disciplinare avente ad oggetto l’omessa registrazione del ritiro della raccomandata e, successivamente, alla luce degli elementi acquisiti in sede istruttoria, ha revocato detta contestazione comunicandone una nuova, avente ad oggetto la condotta adottata nei confronti della cliente), il ricorrente invoca impropriamente precedenti giurisprudenziali (Cass. n. 7523 del 2009 e Cass. n. 26815 del 2018) attinenti ai diversi casi dell’applicazione, da parte del datore di lavoro, di due sanzioni disciplinari per la medesima condotta, ipotesi diverse
dal caso di specie ove è stata irrogata una sola sanzione disciplinare.
Invero, anche volendo prescindere dal profilo di inammissibilità della censura per novità della questione, l’applicazione del principio di consunzione al procedimento disciplinare privatistico ha portato al consolidato orientamento di questa Corte (per tutte v. Cass. n. 34368 del 2019 con la giurisprudenza ivi citata; da ultimo, Cass. n. 12321 del 2022) secondo cui il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare, una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva. Nel caso di specie, oltre a doversi sottolineare la diversità degli addebiti contenuti nella prima e nella seconda contestazione disciplinare, va rilevato che il datore di lavoro -in ogni caso non ha esercitato due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto, avendo adottato una sola sanzione disciplinare per la complessiva condotta inadempiente del dipendente.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 luglio 2024.