Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11156 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11156 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1082-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1449/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/07/2023 R.G.N. 623/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 1082/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 09/04/2025
CC
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bari, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha parzialmente accolto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE accertando la illegittimità del licenziamento intimato il 6.12.2017 e applicando, in considerazione della valutazione di sproporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione disciplinare, l’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 con conseguente declaratoria di estinzione del rapporto di lavoro e condanna al pagamento di 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
La Corte territoriale, ritenuta accertata la verificazione dei fatti materiali addebitati (consistenti nella ricezione di una somma di denaro da parte dell’anziana persona che assisteva in qualità di operatrice socio-sanitaria a domicilio), ha sottolineato che le modalità di svolgimento degli eventi, lo speciale rapporto instaurato, da tempo, tra la COGNOME e l’assistita, l’avvenuta restituzione delle somme, consentivano di escludere un profilo di dolo della lavoratrice, e il difetto di proporzione tra sanzione e infrazione.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, illustrato da memoria. La lavoratrice ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo ed unico motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 2119, 2104, 2105, 1175, 1176, 1375 c.c., 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, 42 del CCNL settore Cooperative sociali, 7
della legge n. 300 del 1970, 115 e 116 c.p.c. avendo, la Corte di appello erroneamente valutato la condotta della dipendente, che ha restituito le somme richieste all’assistita solamente dopo la contestazione disciplinare ed ha insistito con la stessa assistita affinchè chiarisse la situazione all’assistente sociale.
Il ricorso è inammissibile.
Le doglianze adombrano, nella loro essenza, un più appagante coordinamento dei riscontri probatori acquisiti e si risolvono nell’unilaterale contrapposizione di un diverso inquadramento dei dati di fatto, esaminati in modo parziale e atomistico, e nella reiterazione di rilievi già disattesi dalla Corte d’appello, con motivato e plausibile apprezzamento.
Spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ‘ (cfr., da ultimo, Cass., 2 maggio 2024, n. 11718; nello stesso senso, Cass., 27 gennaio 2022, n. 2356; Cass., 13 gennaio 2020, n. 331; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. civ., sez. lav., 8 settembre 2015, n. 17774; Cass., 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. Lav., 7 febbraio 2004, n. 2357).
Si censura, con modalità inammissibili, anche il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, che, secondo un costante insegnamento (da ultimo, v. Cass. n. 36427 del 2023, Cass. n. 6468 del 2024), è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del
2005; Cass. n. 444 del 2003); difatti, la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione sul punto della sentenza impugnata manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).
6. Come costantemente affermato da questa Corte, la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; è solo l’integrazione
giurisprudenziale, a livello generale ed astratto, della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, (cfr. Cass. n. 7838 del 2005; n. 21214 del 2009; n. 6901 del 2016; n. 18715 del 2016; n. 13534 del 2019; n. 12789 del 2022; n. 7029 del 2023; 3927/2024). Si è precisato, inoltre, che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione di gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, e tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (legge n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. 28.5.2019 n. 14504, con richiamo a Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007).
7. Pur se il ricorrente si limita a richiamare del tutto genericamente l’art. 42 del CCNL applicato in azienda, va ricordato che dalla natura legale della nozione di giusta causa deriva simmetricamente che l’elencazione delle ipotesi di licenziamento in tronco contenuta nei contratti collettivi ha valenza solo esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave
inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011, Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.