Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10617 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10617 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16849-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2690/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/06/2023 R.G.N. 3032/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92/2012
R.G.N. 16849/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 05/02/2025
CC
RILEVATO CHE
In data 16.6.2020 la RAGIONE_SOCIALE contestava a NOME COGNOME dipendente con contratto a tempo indeterminato full time con decorrenza dal 12.10.2009, con qualifica di interratore seppellitore e con inziale inquadramento al gruppo D2Area D del CCNL RAGIONE_SOCIALE, i seguenti fatti: ‘da informazioni di garanzia di cui al Procedimento Penale n. 8204/20N, pervenuti in Azienda in data 5.6.2020’ dalla quale ‘è stato rilevato che Lei il giorno 22/01/2020, in concorso con i colleghi COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, servendosi di arnesi, mutilava il cadavere di NOME Pasquale, che si trovava tumulato n un loculo del Cimitero Flaminio. Unitamente ai colleghi citati si procurava l’ingiusto profitto di 300 euro ch e si faceva consegnare per il tramite del Sig. NOME (titolare dell’agenzia funebre LACO che si occupava di estumulazione) dal Sig. NOME Pietro Lucio, inducendo in errore facendogli credere che tale somma fosse necessaria per procedere ad idonea estumulazione della salma di NOME COGNOME omettendo di dirgli in realtà -previo pagamento di tale sommaavrebbe compiuto l’illecita operazione sopra descritta, al fine di riporre successivamente i resti della salma nella cassetta ossari o’ .
Ritenute le difese non sufficienti a chiarire i fatti, la società, con lettera dell’11.8.2020 e successiva comunicazione del 28.8.2020, intimava il licenziamento per lesione irreparabile del vincolo fiduciario con decorrenza dal 15.8.2020.
Impugnato il recesso, il Tribunale di Roma, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande del lavoratore.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2690/2023, confermava la pronuncia di primo grado.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) le due comunicazioni dell’agosto 2020 contenevano l’attestazione di conformità e ciò bastava per farne ritenere l’autenticità; b) la seconda lettera del 28.8.2020 non era una nuova lettera di licenziamento ma
una mera informativa ai reparti aziendali; c) il profilo della tempestività della sanzione disciplinare era stata vagliata dal primo giudice e ritenuta infondata; d) il Tribunale aveva ben interpretato l’eccezione di disconoscimento della conformità della copia del documento prodotto rispetto a quella posseduta dalla Procura della Repubblica motivando analiticamente le ragioni del rigetto; e) i fatti contestati erano risultati dimostrati e sussisteva la giusta causa di licenziamento, non essendo necessaria la previa applicazione del codice disciplinare.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a dieci motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati, come precisati dallo stesso ricorrente.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, ‘la violazione e falsa applicazione di legge in riferimento agli artt. 2702 cc, 2 legge 604/1996, 2, 3 bis e 20 D.lgs. n. 82/2005, 73 DPR n. 39/1993, 1 comma 87 legge n. 549/1995, DPCM 13.12.2014, pag. 17’. Si sostiene che il recesso datoriale non era dotato di forma scritta; la comunicazione recava solo una stampigliatura di conformità del documento all’originale telematico, ma era priva di sottoscrizione di pugno; la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai prodotto il (preteso) originale telematico asseritamente sottoscritto.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, ‘la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 434 cpc, pag. 29’. Si sostiene che, sul motivo di reclamo inerente alla duplicità delle missive di licenziamento (la seconda recante revoca ipso facto della prima), la Corte territoriale aveva scritto che la deduzione era mal posta; pur scrutinando nel merito la Corte aveva poi osservato, applicando al reclamo i criteri redazionali
del ricorso per cassazione, che il reclamante non aveva contestato tutte le rationes decidendi della sentenza. Parte ricorrente, inoltre, premesso che così non era, tuttavia censura un criterio decisorio che, nell’ambito del motivo, aveva limitato gli effetti devolutivi tipici del giudizio di appello.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, ‘l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, pag. 32’. Si sostiene che la Corte distrettuale, diversamente dal Tribunale, per assumere che il secondo licenziamento era stato confermativo del primo, aveva erroneamente asserito che il licenziamento, in entrambi i casi, era stato comminato il 14 (o 15?) agosto 2020, quando, invece, era stata la stessa RAGIONE_SOCIALE ad ammettere che il recesso r isaliva all’11.8.2020.
Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, si denuncia ‘la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334, 1335, 1362, 1363 cc e 1, comma 41, della legge n. 92/2012, pag. 36’. Si deduce che l’errore della Corte territoriale, sul profilo di cui al motivo precedente, era stato anche di tipo interpretativo.
Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, ‘la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 434 cpc, pag. 39’. Si deduce che, a nche sul motivo di reclamo inerente la tardività delle missive di licenziamento, la Corte territoriale aveva scritto che la deduzione era stata mal posta e pur scrutinando nel merito la Corte aveva osservato, poi, applicando al reclamo i criteri redazionali del ricorso per cassazione, che il reclamante non avesse contestato tutte le rationes decidendi della sentenza: parte ricorrente, sebbene ritenga l’insussistenza di quanto affermato, censura un criterio decisorio che, nell’ambito del motivo, aveva limitato gli effetti devolutivi tipici del giudizio di appello.
Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, ‘ la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 del CCNL FEDERUTILITY 10.7.2018 e dei canoni dell’interpretazione contrattuale artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 cc, pag. 46’. Si deduce che il CCNL era chiaro nel senso di ritenere che il provvedimento
disciplinare doveva essere emesso entro trenta giorni dalla contestazione e se il lavoratore avesse fatto richiesta di audizione il termine sarebbe decorso dalla data di audizione: nella fattispecie, il lavoratore non aveva fatto richiesta di audizione, ma era stato convocato autoritativamente e si era dovuto presentare per dovere di disciplina, con la conseguenza che il provvedimento datoriale era da considerarsi tardivo, non potendo l’azienda datrice ampliare i termini decisionali a suo mero arbitrio, né sussistendo casi particolari che potessero consentire l’eccezione alla regola; qualora il giudizio fosse stato ritenuto complesso, l’RAGIONE_SOCIALE come sua prassi (si veda sentenza Raidich, Tribunale di Roma, sezione lavoro, n 6673/2020), avrebbe dovuto sosp endere l’iter disciplinare o lo avrebbe dovuto riavviare ab initio , conformemente alla previsioni del CCNL, al termine del processo penale.
Con il settimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, l’omessa pronuncia sull’istanza di produzione, all’udienza di discussione in appello del 6.6.2023, degli atti del giudizio civile intentato dall’erede del sig. NOME contro RAGIONE_SOCIALE e contro il titolare dell’Agenzia Funebre, nonché della copia del rapporto di estumulazione acquisito in sede penale, nonché, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cpc, l’omesso esame dell’istanza istruttoria, pag. 54. Si sostiene che RAGIONE_SOCIALE convenuta in giudizio dal Sig. COGNOME COGNOME aveva reso confessione giudiziale ammettendo che la salma era mineralizzata e facendo propria la perizia del Prof. COGNOME che smentiva quella del CTU di altro giudizio, Prof. COGNOME ciò era stato appreso dopo l’udienza del marzo 2023.
Con l’ottavo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 295 cpc anche in relazione con l’art. 654 cpp, pag. 62. Si deduce che, atteso che nessuna istruttoria era stata condotta dal giudie del lavoro, il processo penale era l’unica sede per accertare i fatti materiali contestati e, nel giudizio di merito, i fatti erano stati ritenuti commessi senza dare la possibilit à all’odierno ricorrente di potersi difendere, mediante l’ammiss ione delle prove richieste da questi richieste.
Con il nono motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 CEDU, 47 CDFUE, 24 COST. 116, 194, 195, 196 cpc, 2729 cc, pag. 73, ribadendo che al lavoratore era stato impedito di difendersi ed erano state utilizzate le indagini preliminari (idonee solo a formare il rinvio a giudizio) ma contraddittoriamente, poi, si era ritenuto di non dovere attendere l’esito del giudizio dibattimentale penale.
Con il decimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cpc, ‘la violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 27 Cost., 40, 110, 114, 131 bis, 322, 323 bis, 410, 640 cp, 86, 87, D.P.R. 285/1990, 3 D.P.R. 254/2003, 3 L. 130/200, 5, 7 e 18 L. 300/1970, 2104, 2105 e 2119 C.C. nonché art. 21 del CCNL PER I DIPENDENTI DELLE IMPRESE PUBBLICHE DEL SETTORE FUNERARIO DEL 10.7.2018, pag. 95’. Si deduce che l e norme penali non erano state applicate cosi come quelle di polizia mortuaria; che era stata offerta una lettura letterale della definizione dell’art. 86 del DPR 285/1990, cioè quella per cui la salma avrebbe dovuto essere completamente mineralizzata per essere ridotta in cassetta, mentre, in realtà, la scienza medica, cui il regolamento rinviava, intendeva la mineralizzazione di alcuni distretti corporei e non di tutti come fatto idoneo ad integrare la fattispecie autorizzatoria, in un contesto in cui il DPR 254/2003 qualificava come ‘resti mortali’ i residui corporei da estumulazione ultraventennale, di talché i resti non potevano essere qualificati ‘cadavere’ e nessun vilipendio avrebbe potuto essere compiuto, con il venire meno del disvalore sociale della condotta. Si lamenta, poi, la sproporzione della sanzione, non avendo la Corte d istrettuale ha valutato la minore anzianità del ricorrente, l’assenza di esperienza come estumulatore, la mancata formazione, l’assenza di protocolli operativi, l’assenza di qualifica di Operatore Tecnico Cimiteriale, al fine di graduare le responsabilità.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
E’ opportuno premettere che della vicenda, oggetto del presente ricorso, questa Corte si è già interessata con le ordinanze n. 32439/2024 e n. 20402/2023. Tutti i giudizi, relativi ai suddetti provvedimenti, hanno riguardato la verifica della legittimità dei licenziamenti in relazione alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento e non altre verifiche di natura penale o amministrativa.
Orbene, anche in questa sede deve rilevarsi che, con i motivi di gravame, il ricorrente non configura la violazione delle norme di legge denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto l’aspetto del vizio di sussunzione (Cass. n. 10320/2018; Cass. n. 23851/2019), quanto piuttosto si duole di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurandole in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 23927/2020), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360 co. 1 n. 5 cpc.
Sotto questo versante, va altresì specificato che tutte le doglianze veicolate attraverso questo vizio, nel caso de quo , sono inammissibili sia perché si verte in una ipotesi di cd. doppia conforme, sia perché concernenti l’omesso esame di elementi istruttori (per tutte, Cass. n. 17005/2024).
Inoltre, sono inammissibili tutte le censure (primi quattro motivi) riguardanti la interpretazione delle comunicazioni aziendali il cui esame, trattandosi di atti di autonomia privata, spetta al giudice di merito con un accertamento di fatto che, in quanto adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 11254/2018), non venendo in rilievo la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ma contrapponendo parte ricorrente unicamente una diversa esegesi rispetto a quella fornita dai giudici di merito che hanno ritenuto che la comunicazione del recesso era avvenuta l’11.8.2020, spedita all’indirizzo del lavoratore con lettera raccomandata e consegnata il 14.8.2020, mentre la seconda lettera
del 28.8.2020 era solo una mera comunicazione agli organi competenti aziendali dell’avvenuto licenziamento.
Analogamente non sono meritevoli di accoglimento le doglianze (quinto e sesto motivo) sulla asserita violazione del rispetto del termine di cui all’art. 21 CCNL di settore applicato.
Anche in questo caso la Corte territoriale, facendo correttamente proprie le argomentazioni del Tribunale, ha opinato la tempestività della irrogazione del provvedimento disciplinare tenuto conto della gravità dei fatti contestati, unitamente alla acquisizione della conoscenza del coinvolgimento del lavoratore nel procedimento penale, che imponevano una valutazione della tempestività in relazione alla peculiare natura dell’addebito e dei tempi tecnici connessi al coordinamento delle attività ispettive: il tutto in ossequio alla norma contrattuale collettiva che prevede che il procedimento disciplinare debba concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della contestazione, salvo ‘casi particolari’, ravvisabili nella fattispecie concreta ove parte datoriale aveva ricevuto la comunicazione del coinvolgimento del lavoratore in data 15 maggio 2020, il procedimento disciplinare era stato aperto il 15 giugno e si era concluso con l’irrogazione del provvedimento espulsivo l’11 agosto 2020, con efficacia dal successivo 15 agosto 2020.
Infondate sono le censure di cui al settimo, all’ottavo, al nono e al decimo motivo, relative ai rapporti tra il presente giudizio con quello penale, alle interferenze tra le rispettive prove e all’esercizio del diritto di difesa del ricorrente.
Premessa la inammissibilità dei documenti prodotti da parte ricorrente in questa sede di legittimità, perché in violazione al disposto di cui all’art. 372 cpc, va ribadito il principio secondo cui il nostro ordinamento non è ispirato al principio della unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, avendo il legislatore instaurato un sistema di completa autonomia e separazione fra i due giudizi, in virtù del quale è consentito al processo civile, ad eccezione di alcune particolari e limitate ipotesi di sua sospensione ex art. 75 co. 3 cpc, di proseguire il suo corso senza
essere influenzato da quello penale ed è imposto al giudice civile di procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e delle responsabilità civile con pienezza di cognizione, senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale, sicché, anche in presenza di un giudicato penale, non ha l’obbligo di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale come fonte del proprio convincimento (Cass. n. 42028/2021).
Nella fattispecie, entrambi i giudici del merito hanno ritenuto dimostrati e provati i fatti ritenuti rilevanti ai fini della sussistenza della giusta causa del licenziamento e della proporzionalità della sanzione irrogata, con autonomo giudizio, in linea con i principi di legittimità sopra citati.
Le censure si risolvono, quindi, nonostante la numerosa dedotta violazione di disposizioni di legge, esclusivamente in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della vicenda operata dalla Corte territoriale, esclusivamente spettanti ad essa quale giudice di merito, nel caso di specie autrice di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente ed adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione, pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 34476/2021; Cass. n. 5987/2021).
Anche il giudizio sulla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottati sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito che è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda con un giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, come nel caso in esame, è inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018).
Nella fattispecie, tali valutazioni, per i fini rilevanti in ordine al presente giudizio, sono state svolte, con motivazione immune dai vizi di cui alla nuova formulazione di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, sottolineando un coinvolgimento significativo d ell’odierno ricorrente nel procedimento di estumulazione del cadavere di
NOME COGNOME ritenuto non corretto, di talché alcuna delle denunciate violazioni di legge è ravvisabile nel caso concreto.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025