Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19378 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19378 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N.12842/2024
COGNOME
Rep.
Ud.09/04/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 12842-2024 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – AGENZIA NAZIONALE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI E LO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1344/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/04/2024 R.G.N. 3235/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 10507/2023 che aveva rigettato la sua opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, parimenti aveva respinto il ricorso della COGNOME per l’impugnativa del licenziamento disciplinare per giusta causa intimatole con comunicazione del 18.10.2022 da Invitalia -Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’RAGIONE_SOCIALE
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva, tra l’altro, che il giudice della fase sommaria -reputata infondata la censura di genericità della contestazione disciplinare – quanto al merito degli addebiti, aveva ritenuto non dimostrati i fatti relativi a controprestazioni di carattere economico ricevute o promesse alla ricorrente per il compimento di atti contrari ai propri doveri d’ufficio, mentre aveva giudicato dimostrati tutti gli ulteriori addebiti alla lavoratrice, e, in particolare , l’aver ella intrattenuto una interlocuzione stabile e duratura con COGNOME NOME, al quale aveva trasmesso, in tale contesto, informazioni riguardanti le misure agevolative gestite dalla datrice di lavoro, fornendogli consigli e consulenze personalizzate in grado di porlo in una posizione di maggior favore rispetto ad altri nell’accesso a dette misure agevolative, reputando perciò sussistente una grave violazione dei doveri della lavoratrice, tale da ledere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro.
Riferite, altresì, le ragioni per le quali il Tribunale aveva
respinto l’opposizione della lavoratrice all’ordinanza interinale, la Corte respingeva il primo articolato motivo di reclamo della stessa, a mezzo del quale ella lamentava anzitutto una errata interpretazione ad opera del giudice della fase di opposizione del ‘contesto’ nel quale si erano verificati i fatti oggetto dell’addebito disciplinare.
La Corte disattendeva anche il secondo motivo di gravame, con il quale la reclamante si doleva di una asserita errata interpretazione, ad opera del giudice dell’opposizione, della portata e consistenza delle informazioni di cui alle conversazioni intrattenute dalla COGNOME con COGNOME NOME.
4.1. Infine, la Corte giudicava destituita di fondamento anche la censura in cui la reclamante si doleva della valutazione del contenuto dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro del 21.10.2022.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
L’intimata resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia: ‘Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui non ha correttamente valutato il contenuto della mail del 13 novembre 2017 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)’.
Con il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1340 c.c., nonché degli artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., nella parte in cui la Corte ha ritenuto la
prassi aziendale addotta dalla Ceglie superata dalle disposizioni di cui alla direttiva del 13 novembre 2017 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)’.
Con il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. e dell’art. 1, commi 58 e ss. della L. 92/2012, nella parte in cui la Corte ha ritenuto che la Ceglie non avrebbe replicato all’affermazione del Tribunale secondo cui il contatto con il COGNOME era vietato nelle modalità in cui si era estrinsecato (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)’.
Con il quarto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. e dell’art. 1, commi 58 e ss. della L. 92/2012, nonché dell’art. 2119 c.c., nella parte in cui la Corte ha ritenuto che la Ceglie non avrebbe replicato all’affermazione del Tribunale secondo cui aveva fornito informazioni al COGNOME riservatamente in ragione della non conformità alle regole aziendali (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)’.
Con il quinto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 230, comma 1, e 244, comma 1, c.p.c., nella parte in cui la Corte ha ritenuto inammissibile l’interrogatorio formale e la prova testimoniale richiesti dalla Ceglie (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)’.
Con il sesto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. e dell’art. 1, commi 58 e ss. della L. 92/2012, nella parte in cui la Corte ha ritenuto che la COGNOME non avrebbe replicato alle affermazioni del Tribunale in relazione alla portata e alla consistenza di informazioni di cui alle conversazioni intrattenute con il COGNOME (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)’.
Con il settimo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., dell’art. 1, commi 58 e ss. L. 92/2012, nonché dell’art. 2119 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c. Violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per aver la Corte ritenuto che la Ceglie non avrebbe replicato alle affermazioni del Tribunale in sentenza e per aver errato nella valutazione degli elementi probatori relativamente alla giustificatezza del provvedimento espulsivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)’.
Il primo motivo è inammissibile.
Nello svolgimento di tale censura la ricorrente, a proposito di quanto affermato dalla Corte d’appello circa il contenuto della mail dell’Amministratore delegato della società in data 13 novembre 2017, evoca un ‘errore di percezione che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova’ (v. pag. 24 del ricorso).
9.1. Con la recente sentenza n. 5792 del 2024 le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che ‘ Il travisamento del contenuto oggettivo della prova -che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre -se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti -il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4 o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto
processuale o sostanziale ‘.
Orbene, la ricorrente nella censura in esame non deduce un travisamento della prova che rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti.
Piuttosto, come del resto già rivelato nella rubrica della censura, assume che la Corte di merito non avrebbe ‘correttamente valutato il contenuto della mail del 13 novembre 2017’.
Più nello specifico, rispetto alla più estesa motivazione resa dalla Corte d’appello per rispondere alla principale doglianza della reclamante, la quale lamentava ‘una errata interpretazione ad opera del giudice della fase di opposizione del ‘contesto’ nel quale si sono verificati i fatti oggetto dell’addebito disciplinare’, la stessa ha, tra l’altro, attentamente considerato anche il contenuto testuale della ridetta mail (cfr. in extenso § 4.1./4.5.3. alle pagg. 4-10 della sua sentenza).
E la ricorrente muove una critica nel merito all’accertamento fattuale operato dalla Corte distrettuale circa il contenuto di tale mail (cfr. pagg. 25-27 del ricorso), critica che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
11. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
12. Il passo che la ricorrente censura è il seguente: ‘… ed anche qualora fosse emersa la prova di una prassi aziendale tale da consentire la diffusione di informazioni relative alle misure agevolative anche al di fuori di contesti istituzionali e con modalità informali, tale prassi sarebbe stata smentita in modo netto dalla direttiva del 13/11/2017, che, in quanto
disposizione specifica e precisa dell’azienda era idonea a porre nel nulla qualsiasi eventuale prassi esistente di segno contrario’.
Orbene, tale passaggio anzitutto si colloca in un più ampio argomentare della Corte (cfr. in extenso § 4.1.4. a pag. 6 dell’impugnata sentenza).
In ogni caso, contrariamente a quanto sembra sostenere la ricorrente, in quelle osservazioni la Corte non ha inteso significare di aver accertato in positivo la prassi aziendale cui allude la ricorrente.
Al contrario, come ben risulta dallo svolgimento logico e sintattico-grammaticale di quel passaggio, la Corte ha ivi svolto un rilievo ad abundantiam , in chiave di ‘prova di resistenza’, nel senso che nell’ipotesi che ‘fosse emersa la prova di una prassi aziendale tale da consentire la diffusione di informazioni relative alle misure agevolative anche al di fuori di contesti istituzionali e con modalità informali’, una ‘tale prassi’, appunto ipotizzata, ‘sarebbe stata smentita in modo netto dalla direttiva del 13/11/2017, che, in quanto disposizione specifica e precisa dell’azienda, era idonea a superare e porre nel nulla qualsiasi eventuale prassi esistente di segno contrario’.
All’evidenza, perciò, la Corte non ha accertato alcuna ‘prassi aziendale’ nel senso perorato dalla ricorrente; prassi che ha dato per, e definito espressamente come, ‘eventuale’, senza, infatti, dar conto di fonti di prova che suffragassero l’esistenza della stessa, almeno prima della direttiva di cui alla mail del 13.11.2017.
Dunque, tale censura della ricorrente non è anzitutto
aderente al chiaro senso dell’argomento della Corte impugna, dove vi si assume che, contrariamente a quanto ritenuto da quest’ultima, ‘la direttiva del 13 novembre 2017, anche qualora avesse sancito, come non è, qualsivoglia divieto, non avrebbe potuto superare la prassi di segno contrario sussistente in azienda e sopra richiamata’.
15.1. Peraltro, la ricorrente denuncia anzitutto la violazione dell’art. 1340 c.c. in tema di clausole d’uso (altrimenti dette ‘usi negoziali’), ma si è sempre riferita ad una mera prassi aziendale, senza sostenere che essa fosse assurta ad uso aziendale nei sensi specificati dalla giurisprudenza di questa Corte (cioè, quale reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai lavoratori: cfr. ex multis Cass. n. 31204/2021).
15.2. In ogni caso, la Corte di merito non ha accertato né una prassi aziendale, né un uso aziendale in senso proprio.
Possono essere congiuntamente esaminati il terzo, il quarto e il sesto motivo, essendo ad essi comune la ragione della loro inammissibilità.
In tutte tali tre censure si assume la violazione dell’art. 434 c.p.c., come se la Corte di merito avesse dichiarato inammissibile qualche motivo di reclamo per la mancanza della specificità richiesta dal comma primo di tale articolo.
In realtà, la Corte territoriale non ha dichiarato inammissibile nessun motivo di reclamo; bensì, nell’esaminare il primo motivo di reclamo (articolato in più punti di censura, come il secondo), motivo che ha ritenuto infondato (cfr. § 4.6. a pag. 10), ha osservato che talune argomentazioni svolte
dall’allora reclamante in tale motivo, ‘si atteggiano come del tutto generiche ed aspecifiche rispetto al ragionamento logico del giudice dell’opposizione’ (cfr. § 4.2.1. alle pagg. 6 -7, e 4.3.1. a pag. 7). Analogamente, nello scrutinare alcune delle argomentazioni espresse nel secondo motivo di reclamo (v. § 5.1. a pag. 10), ha rilevato che esse ‘ribadiscono le medesime deduzioni contenute nel ricorso in opposizione: ad esse il giudice dell’opposizione, senza che sia stata posta alcuna critica specifica alle sue affermazioni, ha ribattuto in modo puntuale e corretto …’ (v. in extenso § 5.1.2. e 5.1.3. alle pagg. 10-11 della decisione gravata).
Tanto precisato, le tre attuali censure della ricorrente, sopra riferite, difettano dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione.
Invero, a fronte delle diffuse ed argomentate osservazioni della Corte di merito (cfr. ancora una volta pagg. 6-11 della sua sentenza), la ricorrente assume ora di aver ‘ampiamente argomentato in relazione al profilo che i colloqui erano avvenuti in maniera del tutto legittima e come quello con il COGNOME fosse un contatto intrattenuto in modalità tutt’altro che vietate’ (v. pagg. 29 -30 del ricorso per il terzo motivo), o richiama altre proprie considerazioni (cfr. pag. 33 del ricorso per il quarto motivo); oppure ancora assume, in termini per giunta assertivi, di aver ‘esposto i motivi di reclamo in maniera tale da fornire tutti gli elementi necessari ad identificare la tesi sostenuta a supporto della propria domanda, criticando puntualmente -come si vedrà meglio nel prosieguo -la motivazione della sentenza reclamata, tanto da porre la Corte d’Appello in condizione di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il Giudice
procedente avrebbe dovuto decidere diversamente’ (così a pag. 38 del ricorso).
La ricorrente, tuttavia, neppure richiama, prima che trascrivere, almeno passi salienti del proprio atto di reclamo idonei a mettere in luce che i rilievi di genericità, a-specificità o di assenza di puntuale ovvero specifica critica, secondo i casi, operati dalla Corte di merito rispetto, non a motivi di reclamo nella loro integralità, ma circa precipui aspetti del primo o del secondo motivo, fossero privi di fondamento.
E’ inammissibile anche il settimo ed ultimo motivo.
In tal caso, la ricorrente impugna praticamente quasi tutta la parte della motivazione dedicata dalla Corte di merito alla complessiva reiezione del suo secondo motivo di reclamo (parte che, infatti, trascrive alle pagg. 38-47 del ricorso per cassazione).
Rispetto a questa doglianza vale anzitutto quanto già osservato per il terzo, il quarto e il sesto motivo di ricorso, per la parte in cui nel settimo motivo si assume che la Corte avrebbe ‘ritenuto che la Ceglie non avrebbe replicato alle affermazioni del Tribunale in sentenza’.
22.1. Invero, la ricorrente neanche enuclea nel suddetto lungo excursus motivazionale il punto in cui la Corte le avrebbe addebitato quale reclamante di non aver ‘replicato alle affermazioni del Tribunale in sentenza’.
22.2. In ogni caso, se la ricorrente allude al § 5.4.1. dell’impugnata sentenza, in esso la Corte di merito, rispetto ancora una volta -a precipue osservazioni dell’allora reclamante (v. il precedente punto 5.4.), aveva considerato:
‘Anche in tal caso non si ravvisa nelle riportate argomentazioni una censura specifica alle motivazioni della sentenza impugnata: parte reclamante si limita a riproporre pedissequamente quanto già affermato con il ricorso in opposizione circa l’assenza di potere decisionale in capo alla Ceglie e nulla ribatte a quanto affermato dal giudice dell’opposizione con riguardo alle ulteriori conversazioni intercettate del 05/07/2019 e del 16/08/2019’. In proposito, la motivazione della Corte prosegue nei successivi § 5.4.2., 5.4.3., 5.4.4.
22.3. E pure nel motivo di ricorso ora in esame la ricorrente non individua, trascrivendolo, il punto del proprio atto di reclamo in cui avrebbe formulato una censura specifica alle motivazioni della sentenza allora impugnata intorno ai profili evidenziati dalla Corte di merito.
Del resto, ciò si spiega sul rilievo che nel medesimo settimo motivo la ricorrente, come ammesso sin dalla rubrica dello stesso, addebita nel contempo alla Corte di ‘aver errato nella valutazione degli elementi probatori relativamente alla giustificatezza del provvedimento espulsivo’.
E in effetti, come meglio emerge dallo sviluppo della censura (v. pagg. 47-50 del ricorso), la ricorrente muove appunto una critica all’apprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito, peraltro in via di motivata conferma di analoghe valutazioni del primo giudice; il che, secondo quanto già notato, non è consentito in questa sede di legittimità.
24. Infine è infondato il quinto motivo.
In termini generali, occorre ricordare che il giudizio sulla idoneità della specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di
prova -che va comunque condotto non solo alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti -costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione se correttamente motivato (così, tra le altre, Cass. n. 2201/2007; n. 2149/2021). E’ altresì consolidato l’indirizzo per il quale l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro minimi dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un’adeguata prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli formulati va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa e alle deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi da parte del giudice e dei difensori (così Cass. n. 11765/2019, e in termini circa seconda parte della massima Cass. n. 14364/2018, la quale ha avvertito che la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c. di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in una inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell’articolazione probatoria).
Analoghi principi sono affermati in relazione all’interrogatorio formale, che, a termini dell’art. 230, comma primo, c.p.c., deve essere dedotto per articoli separati e specifici (cfr., tra le altre, Cass. n. 24160/2020).
25.1. Ebbene, la Corte distrettuale, nel rispondere al
punto di censura (rientrante nel primo motivo di reclamo), a mezzo del quale la lavoratrice lamentava appunto ‘la mancata ammissione dell’interrogatorio formale e della prova per testi, volti a confermare la ricostruzione delle modalità in concreto nelle procedure per l’erogazione delle agevolazioni, non essendo ravvisabile nei capitoli di prova indicati nel ricorso la genericità lamentata dal giudice dell’opposizione’, ha anzitutto riportato testualmente i quattro capitoli in questione (cfr. § 4.4.1. alla pag. 7 della sua sentenza).
Ed ha considerato, .
Infatti, la Corte – richiamato il principio di legittimità secondo il quale la richiesta di provare per testimoni un fatto esige che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, e che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa – ha concluso che: ‘Diversamente, nel caso che occupa, parte reclamante, anche in questa fase di impugnazione, come ha osservato la società, non indica quali sarebbero i fatti specifici e concreti oggetto dei
capitoli di prova di cui si discute ed, anzi, la formulazione del motivo è talmente generica da essere quasi ai limiti dell’ammissibilità’.
Ritiene il Collegio che la decisione dei giudici di secondo grado in parte qua sia conforme a tutti i principi di diritto dianzi premessi.
26.1. In primo luogo, il vizio di motivazione che a riguardo pure adombra genericamente la ricorrente (tra la pag. 33 e la pag. 34 del ricorso) non è dedotto negli stretti limiti in cui attualmente l’anomalia motivazionale può essere fatta valere in sede di legittimità (cfr., ad es., Cass., sez. un., n. 37406/2022), e, in ogni caso, detto vizio non sussiste assolutamente.
26.2. In particolare, come si è visto, la Corte non ha mancato di considerare le finalità che si prefiggeva la richiesta di prova orale (per interrogatorio formale e per testi) e l’atto in cui essa era stata formulata (ossia, il ricorso introduttivo), ma ha confermato i già argomentati rilievi del primo giudice in sede di opposizione sui singoli capitoli, soggiungendo che l’allora reclamante non indicava ‘quali sarebbero i fatti specifici e concreti oggetto dei capitoli di prova’.
26.3. Nota, allora, il Collegio che quest’ultimo rilievo vale anche per il motivo di ricorso per cassazione in esame non spiegandosi in esso perché i puntuali riscontri di genericità dei giudici del doppio grado di merito circa il capitolato di prova in questione non fossero condivisibili.
Per completezza di disamina, mette conto aggiungere che nella specie il Collegio non può annettere rilievo alcuno al dispositivo della sentenza n. 343/2024 del 19.12.2024,
pronunciata dal G.U.P. del Tribunale di Catanzaro; documento che la difesa della ricorrente ha prodotto telematicamente il 24.12.2024 in allegato a nota di deposito ed ha poi più estesamente commentato nella sua memoria in vista dell’adunanza camerale fissata.
28. In disparte, infatti, qualsiasi considerazione sulla ritualità del deposito di tale documento in questa sede di legittimità, la sopravvenuta assoluzione della ricorrente perché il fatto non sussiste dal delitto di corruzione che la sua difesa desume da tale dispositivo di sentenza penale è irrilevante in questa sede.
28.1. In particolare, a prescindere ancora dall’assenza ovviamente di dimostrazione dell’irrevocabilità di quella pronuncia in primo grado (di cui non risulta la motivazione), nel senso di tale ininfluenza giova evidenziare quanto segue.
28.2. In primo luogo, la Corte di merito ha considerato che ‘la contestazione disciplinare prodotta in atti -non rimproverava la dipendente di aver operato in modo da consentire al COGNOME di essere certo dell’approvazione dei propri progetti, bensì: i) di avergli sistematicamente fornito informazioni d’ufficio riservate indicandogli e suggerendo specifiche e dettagliate strategie per predisporre e presentare le domande per l’accesso alle misure di incentivazione gestite da Invitalia s.p.a.; ii) di aver tenuto tale comportamento in modo reiterato e continuo; iii) di aver frequentemente incontrato o promesso di incontrare il COGNOME sempre al solo fine di verificare la corretta impostazione dei progetti, da quest’ultimo redatti per i propri clienti, da presentare a Invitalia; iv) di essersi messa a disposizione per cooperare alla redazione delle domande di accesso alle misure, tutte condotte
che, alla luce di tutto quanto sinora esposto e considerate anche le ulteriori conversazioni intercettare (26/06/2019, 29/06/2019, 05/07/2019, 16/08/2019, 29/08/2019, 21/10/2019) non richiamate in modo specifico dal gravame ed il cui contenuto è da intendersi qui integralmente ampiamente confermate’ (così al § 5.4.4. a pag. 19 della sentenza impugnata).
28.3. Pertanto, i giudici della doppia fase del primo grado e quelli di secondo grado hanno creduto dimostrate tali condotte.
Per contro, sin dalla fase sommaria, come già accennato in precedenza, erano stati giudicati ‘non dimostrati i fatti relativi a controprestazioni di carattere economico ricevute o promesse alla ricorrente per il compimento di atti contrari ai propri doveri d’ufficio’ (v. a riguardo il § 1.2. a pag. 2 della sentenza).
29. Inoltre, la Corte d’appello aveva evidenziato ‘che il contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni (telefoniche ed ambientali) non ha mai formato oggetto di contestazione, e che altrettanto pacifico è che le conversazioni siano intercorse tra COGNOME NOME e COGNOME NOME‘ (così all’inizio del § 4.1.1.); ed in proposito occorre solo ricordare che il giudice del lavoro, ai fini della formazione del proprio convincimento in ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, può valutare gli atti delle indagini preliminari e le intercettazioni telefoniche ivi assunte, anche ove sia mancato il vaglio critico del dibattimento, in quanto la parte può sempre contestare nel giudizio civile i fatti acquisiti in un procedimento penale (così Cass., sez. lav., 2.3.2017, n.
30. Correttamente, perciò, la stessa Corte, nel disattendere anche il punto di censura in cui la reclamante si doleva ‘della valutazione del contenuto dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro del 21/10/2022’, ha osservato: ‘5.5.1. Premesso che, ai fini della valutazione della giusta causa di licenziamento, il giudice procede ad una valutazione della condotta del lavoratore e del materiale probatorio in modo del tutto autonomo rispetto al vaglio operato dal giudice penale (Cass. Sez. L, Sentenza n. 15353 del 13/09/2012) e che ‘ il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento, che sia stato comminato in base agli stessi comportamenti oggetto di imputazione in sede penale, non è affatto obbligato a tener conto dell’accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazione degli stessi del tutto svincolate dall’esito del procedimento penale’ (Cass. Sez. L., Sentenza n. 12134 del 09/06/2005, conformi 398/2023, 11948/2019, 30663/2023, 5577/2024), invero la richiamata ordinanza del Tribunale del riesame non ha affatto affermato la non sussistenza delle condotte che hanno dato origine all’addebito disciplinare, avendo diversamente: – evidenziato (pagina 5) che, a fronte del regalo dell’anello, vi era l’assenza di riferimenti all’impegno della Ceglie a fornire informazioni riservate o privilegiate al COGNOME; – affermato (pagina 2) che le informazioni relative alla misura imprese a Tasso Zero erano già contenute nel d.l. emanato nel mese di aprile 2019, circostanza non del tutto esatta per quanto già esposto ai superiori paragrafi. 5.5.2. In altri termini, l’aver affermato che i regali ricevuti da Ceglie
NOME non fossero collegabili al flusso di informazioni intercorse tra la stessa ed il consulente COGNOME NOME resta un dato ‘neutro’ rispetto alla valutazione di tutti gli altri ulteriori addebiti disciplinari contestati alla medesima dipendente, che, come correttamente osservato nella gravata sentenza, anche autonomamente considerati avrebbero potuto costituire una base idonea per giustificare la massima sanzione, essendo tali da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro’.
31. La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 9.4.2025.
Il Presidente
NOME COGNOME