Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7481 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 7481 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso 19090-2021 proposto da:
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 582/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 13/05/2021 R.G.N. 810/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Impiego pubblico
Licenziamento disciplinare
Tempestività
procedimento
R.G.N. 19090/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Palermo ha riformato la sentenza del Tribunale di Termini Imerese che, all’esito del giudizio di opposizione ex lege n.92 del 2012, aveva confermato l’ordinanza resa a definizione della fase sommaria e accertato la legittimità del licenziamento disciplinare irrogato a NOME COGNOME dal Comune di Chiusa Sclafani con nota n. 8831 del 27 aprile 2018.
La Corte territoriale ha ritenuto assorbente la fondatezza del motivo di reclamo con il quale era stata reiterata l’eccezione di tardività dell’azione disciplinare, ed ha rilevato che:
al dipendente era stato contestato l’uso anomalo della Card Fuel affidatagli per il rifornimento del mezzo Piaggio Porter e di detto illecito il Comune aveva mostrato di avere piena conoscenza già l’11 ottobre 2017, data in cui il responsabile del servizio 2, ricevuta la segnalazione del dirigente dell’area tecnica, aveva formato la nota n. 10644 con la quale era stata richiesta al Cavallino la restituzione della carta ed il dipendente era stato invitato a fornire chiarimenti sulle modalità di utilizzazione della stessa;
la piena conoscenza dei fatti emergeva, altresì, dalla denuncia presentata il giorno antecedente, ossia il 10 ottobre 2017, dal Sindaco del Comune di Chiusa Sclafani alla locale stazione dei Carabinieri, con la quale era stato rappresentato che in occasione della liquidazione delle spese di carburante per il fabbisogno dei mezzi comunali relative al mese di
agosto 2017 era emerso un uso anomalo delle schede assegnate ai dipendenti RAGIONE_SOCIALE e, a seguito di ulteriori controlli, era stato rilevato un consumo eccessivo di carburante;
il responsabile del servizio aveva violato il termine di 10 giorni fissato dall’art. 55 bis comma 4 del d.lgs. n. 165/2001, nel testo applicabile ratione temporis , perché aveva trasmesso la segnalazione all’ufficio per i procedimenti disciplinari (UPD) solo il 6 febbraio 2018 e ciò aveva determinato una «lesione degli ulteriori termini testualmente dettati dalla normativa di settore a pena di decadenza dell’azione disciplinare», perché la contestazione del 2 marzo 2018 era intervenuta dopo 140 giorni dalla conoscenza dell’illecito e il procedimento, definito il 27 aprile 2018, era stato concluso a distanza di 190 giorni dalla conoscenza dei fatti;
la ritardata trasmissione all’UPD della notizia di infrazione non era stata giustificata dal Comune, che non aveva documentato l’attività istruttoria asseritamente svolta né dimostrato la complessità degli accertamenti compiuti, la problematicità dei documenti esaminati o le difficoltà di reperimento delle fonti certificative degli addebiti.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Chiusa Sclafani sulla base di sette motivi, ai quali ha opposto difese con controricorso NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 372 cod. proc. civ. e l’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente sviluppate nel corso dell’udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., il ricorrente denuncia «violazione art. 55 bis d.lgs. 165/2001 – illogicità della sentenza travisamento dei fatti- omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti» e addebita alla Corte territoriale di non avere correttamente interpretato gli atti e di avere valorizzato unicamente le anomalie rilevate in relazione alle spese di fornitura del carburante del mese di agosto 2017 quando, in realtà, il procedimento aveva avuto ad oggetto illeciti protrattisi nell’arco di due anni, il cui accertamento aveva richiesto una preliminare istruttoria. Da quest’ultima era emerso, una volta recuperate ed esaminate le numerose fatture emesse nel corso del biennio precedente, che prima dell’introduzione delle carte carburante la fornitura per l’intero parco auto era costata € 2.911,00 mentre nel solo semestre del 2017 l’esborso era stato pari ad € 6.769,43. Ribadisce che nell’arco temporale compreso fra l’11 ottobre 2017 ed il 1° febbraio 2018, data di invio degli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari, erano stati condotti controlli interni che avevano consentito di accertare numerose anomalie nell’utilizzo della scheda, che era stata utilizzata anche nel periodo in cui il mezzo al quale era abbinato era fermo in attesa di riparazioni. Richiama le diverse conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale di Termini Imerese e addebita al giudice del reclamo di avere disatteso i principi di diritto enunciati da questa Corte secondo cui il termine per la contestazione decorre solo dal momento in cui l’ ufficio competente acquisisce una notizia di infrazione che abbia contenuto totale da consentire l’avvio del procedimento.
2. La seconda censura, egualmente ricondotta ai vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deduce, oltre alla carenza e contraddittorietà della motivazione ed all’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, la violazione dell’art.
55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1 della legge n. 241/1990, degli artt. 24, 97 e 113 Cost.
Il ricorrente, ribadito che il termine per la contestazione decorre dal momento in cui l’ufficio competente ha piena conoscenza dei fatti di rilevanza disciplinare, richiama la giurisprudenza di questa Corte, risalente nel tempo e mai smentita, con la quale è stato precisato che il dies a quo non può essere agganciato ad una qualsiasi notizia pervenuta ad un qualunque ufficio o persona dell’amministrazione e, pertanto, non potevano rilevare né la data di presentazione della denuncia né la nota dell’11 ottob re 2017. Richiama, poi, i principi di pubblicità, trasparenza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione non tenuti in conto dal giudice del reclamo, che ha fatto decorrere i termini del procedimento da una data antecedente alla trasmissione, disposta solo quando la notizia di infrazione era stata verificata e circostanziata.
3. Il terzo motivo, testualmente rubricato «violazione art. 55 bis, comma 9 ter, d.lgs 165/2001. Mancata compromissione del diritto di difesa del dipendente» deduce che il legislatore con la disposizione indicata in rubrica ha voluto contemperare il princi pio di buon andamento dell’amministrazione pubblica con la garanzia del diritto di difesa del dipendente e, pertanto, ha inteso escludere che violazioni meramente formali possano incidere sulla validità della sanzione anche quando non hanno influenzato l’e sito del procedimento disciplinare. Nella specie il COGNOME, sul quale gravava il relativo onere, non aveva in alcun modo dimostrato il pregiudizio derivante dalla asserita tardività della segnalazione dell’illecito all’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Il ricorrente, attraverso il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, deduce che il termine entro il quale il responsabile della struttura deve trasmettere gli atti
all’UPD ha natura ordinatoria e la sua violazione non comporta la nullità della sanzione «che può ricorrere solo nel caso in cui l’incolpato denunci con concreto fondamento l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa indotta dal compimento di attività istruttoria pre-procedimentale».
La violazione dell’art. 55 bis, comma 9 ter, del d.lgs. n. 165/2001 nonché degli artt. 152 e 156 cod. proc. civ. è dedotta anche con il quarto motivo che, dopo avere nuovamente indicato la successione cronologica dei fatti, rileva che, come accertato dalla stessa Corte d’appello, l’UPD aveva tempestivamente contestato l’illecito, una volta ricevuta la segnalazione e, pertanto, risulta evidente che il giudice del reclamo ha fatto discendere la dichiarata l’illegittimità della sanzione dal solo mancato ris petto del termine di dieci giorni per la trasmissione degli atti, termine che non è perentorio e non è prescritto a pena di decadenza. Richiama al riguardo le norme processuali indicate in rubrica e fa leva sul chiaro tenore letterale dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001, che limita la perentorietà ai soli termini previsti per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento disciplinare.
Con il quinto motivo il Comune ricorrente addebita alla sentenza gravata la violazione del comma 2 dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001 che attribuisce al responsabile della struttura la competenza per la sola sanzione del rimprovero verbale. Deduce che, di conseguenza, poiché nella fattispecie si discuteva di un illecito passibile di licenziamento, l’accertamento sulla tempestività dell’avvio del procedimento doveva essere condotto tenendo conto unicamente del momento in cui l’UPD aveva avuto notizia dei fatti.
La violazione del comma 2 dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001 è dedotta anche con la sesta critica riferita più specificamente al termine di conclusione del procedimento,
che decorre dalla contestazione dell’illecito e non dal momento in cui l’amministrazione ha avuto notizia dello stesso. Nella specie il termine era stato rispettato perché la contestazione era stata notificata il 2 marzo 2018 ed il procedimento era stato concluso il 27 aprile successivo.
Infine con il settimo motivo, testualmente rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002», il ricorrente assume che «l’accoglimento del ricorso dovrà portare ad una conseguente statuizione ponendo le spese di tutti i gradi di giudizio a carico di parte soccombente».
È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la sola denuncia congiunta dei vizi di cui ai numeri 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. non induce necessariamente una pronuncia di inammissibilità giacché «il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.» (Cass. Sez. U. n. 9100/2015; negli stessi termini, fra le tante, Cass. n. 33778/2024 e Cass. n. 39169/2021).
L’inammissibilità, quindi, resta circoscritta alla sola ipotesi di censure inscindibilmente connesse fra loro e formulate con modalità tali da sollecitare la Corte a ricondurre all’uno o all’altro vizio doglianze generiche e non
precisate ed a ricercare autonomamente le ragioni della violazione di legge e del vizio motivazionale denunciati in rubrica.
Nella fattispecie, al contrario, tale operazione di scissione può essere compiuta agevolmente nell’ambito delle deduzioni del ricorrente, perché, come risulta anche dalla sintesi dei motivi sopra riportata, la violazione di legge è dedotta, oltre che con l’indicazione delle norme che si assumono violate, sviluppando specifiche argomentazioni che illustrano le ragioni dell’ error in iudicando addebitato alla Corte distrettuale.
8.1. Il ricorso, inoltre, non è, come sostenuto dal controricorrente, volto nella sua interezza a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti di causa, non consentita nel giudizio di legittimità. Infatti, alle censure con le quali si addebita alla Corte territoriale di non avere correttamente valutato le risultanze processuali quanto all’individuazione dell’epoca in cui l’amministrazione aveva avuto piena conoscenza dell’illecito, si affianca anche la denuncia di violazione dell’art. 55 bis, commi 1, 4, 9 ter, del d.lgs. n. 165/2001, nel testo vigente ratione temporis , che prende le mosse dallo stesso accertamento fattuale compiuto dalla Corte territoriale, alla quale addebita di avere operato una surrettizia trasformazione da ordinatorio a perentorio del termine imposto al dirigente della struttura per la trasmissione degli atti all’UPD e di avere erroneamente fissato in un momento antecedente alla data di trasmissione il dies a quo dal quale far decorrere i termini per l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare.
La critica in tal senso formulata è pienamente ammissibile perché, come già evidenziato, prende le mosse dallo stesso accertamento fattuale che si legge nella sentenza impugnata
e contesta in iure le conclusioni alle quali la Corte territoriale è pervenuta, delle quali denuncia la contrarietà a diritto.
Esclusa, quindi, l’eccepita inammissibilità del ricorso, va detto che i primi sei motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati, nei limiti di seguito precisati, nella parte in cui denunciano la violazione dei commi 4 e 9 ter dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001.
In premessa occorre evidenziare che si discute di una condotta protrattasi nel tempo sino al periodo giugno/settembre 2017 ( pag. 6 sella sentenza impugnata), sicché la disciplina del procedimento va individuata in quella dettata dall’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. n. 75/2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 130 del 7 giugno 2017. Infatti la disposizione transitoria contenuta nell’art. 22, comma 13, del citato decreto (secondo cui Le disposizioni di cui al Capo VII si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto) è già stata interpretata da questa Corte, ed al principio va qui data continuità, nel senso che, qualora l’addebito riguardi, come nella fattispecie che ci occupa, comportamenti tenuti in parte prima e in parte dopo l’entrata in vigore della normativa sopravvenuta, occorre fare riferimento a quest’ultima, a condizione che i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare siano oggetto di un unico procedimento (si rimanda a Cass. n. 29142/2022).
Con il d.lgs. n. 75/2017 il legislatore ha apportato significative modificazioni alla disciplina del procedimento e, per quel che in questa sede rileva, al comma 4 dell’art. 55 bis, ha individuato con chiarezza il dies a quo per la contestazione dell’addebito nella ricezione della segnalazione inviata dal responsabile della struttura o nell’acquisizione
altrimenti avuta della piena conoscenza dei fatti da parte dell’UPD, tenuto ad attivare il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione medesima. Con altrettanta chiarezza il termine finale entro il quale il procedimento deve essere concluso è stato individuato in «centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito», sicché non assume più rilievo ai fini del rispetto di detto termine la data in cui, prima della trasmissione degli atti, la PA interessata abbia avuto conoscenza dei fatti, data che, invece, era valorizzata dalla precedente formulazione della norma.
I termini, iniziale e finale, per le sanzioni diverse dal rimprovero verbale (unica sanzione per la quale è stata ribadita la competenza del responsabile della struttura presso la quale il dipendente presta servizio), sono stati, dunque, pensati in relazione alle attività che l’UPD è chiamato a svolgere e sono stati ancorati a dati temporali certi (la ricezione degli atti e la piena conoscenza altrimenti acquisita, da un lato, l’invio della contestazione dall’altro) dei quali il soggetto che quei termini è tenuto a rispettare ha il pieno dominio, perché ancorati alle attività compiute dallo stesso, non da soggetti estranei all’ufficio.
10.1. Il legislatore, poi, nel recepire approdi ai quali questa Corte era già pervenuta, ha qualificato perentori i termini per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento, mentre per gli ulteriori termini, ed anche per le diverse prescrizioni che la disciplina del procedimento impone alle amministrazioni, ha fissato la regola di carattere generale secondo cui « La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti
irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività ».
La disposizione, nella parte in cui, esclusa la perentorietà, fa riferimento al principio di tempestività, da verificare «in ragione degli accertamenti svolti nel caso concreto», nella sostanza estende, in relazione ai termini diversi da quello iniziale e finale, all’impiego pubblico contrattualizzato quel concetto di «tempestività relativa» che la giurisprudenza ha elaborato, nel silenzio del legislatore, nell’interpretazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970, che affonda le sue radici nella tutela effettiva del contraddittorio procedimentale ed è volto ad impedire che il trascorrere del tempo possa incidere sul diritto del lavoratore di difendersi, rendendo difficoltosa la possibilità di apprestare adeguate giustificazioni. All’esigenza primaria di assicurare il diritto di difesa del lavoratore, nei termini sopra indicati, si affianca, poi, quella di precludere che in relazione all’esercizio del potere disciplinare il datore di lavoro tenga un comportamento contrario ai canoni generali di correttezza e buona fede e, per questo, l’immediatezza deve essere declinata in modo da adattarsi alle circostanze specifiche del caso concreto, ossia tenendo conto delle ragioni dell’asserito ritardo, del tempo necessario per l’accertamento dei fatti, della complessità della struttura organizzativa del datore, della natura dei fatti contestati ( cfr. Cass. S.U. n. 30985/2017).
10.2. In quest’ottica, allora, in relazione al termine fissato per la trasmissione degli atti all’UPD non si può ritenere contrario ai principi di correttezza e buona fede il comportamento dell’amministrazione che, avuta notizia dell’illecito asseritamente commesso dal dipendente, ne
verifichi preliminarmente la fondatezza perché, come questa Corte ha già affermato «è a tutela dello stesso lavoratore evitare che vengano promosse iniziative disciplinari ancora prive di sufficienti dati conoscitivi; né risponde ad un’esigenza di economia ed efficienza dell’agire amministrativo l’apertura di procedimenti disciplinari in assenza di significativi elementi di riscontro della responsabilità» (Cass. n. 33236/2022; Cass. n. 35061/2023).
Inoltre, quanto alla lesione del diritto di difesa derivante dal ritardo nella trasmissione, è necessario, affinché questa possa dirsi realizzata, che « l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa indotta dal compimento di tale attività istruttoria preprocedimentale» (Cass. n. 32491/2018).
11. Ai principi sopra enunciati non si è attenuta la Corte territoriale perché, pur dando atto del pieno rispetto dei termini da parte dell’UPD, ha ancorato la ritenuta illegittimità della sanzione al mancato rispetto del termine di dieci giorni imposto al responsabile della struttura, fatto decorrere dall’11 ottobre 2017, e, poi, pur richiamando nella motivazione il comma 9 bis del riformulato art. 55, si è limitata a dire al riguardo che l’omissione «ha inevitabilmente determinato una lesione degli ulteriori termini, testualmente dettati dalla normativa di settore a pena di decadenza dell’azione disciplinare…».
Così ragionando il giudice del reclamo ha finito per trasformare il termine imposto al responsabile della struttura da ordinatorio in perentorio ed anche per assumere, nella sostanza, ai fini del calcolo dei termini per l’avvio e la conclusione del procedimento, un dies a quo diverso da quello espressamente indicato dal legislatore.
La Corte, una volta ritenuto ingiustificato il ritardo (sulla base di un accertamento di fatto che il ricorrente contesta, ma che non può essere messo in discussione in questa sede perché ciò implicherebbe un diverso apprezzamento delle risultanze processuali) avrebbe dovuto comunque verificare se dallo stesso fosse derivata o meno una lesione del principio del contraddittorio, ossia una compromissione del diritto di difesa dell’incolpato, da verificare in concreto, e non in astratto, sulla base delle circostanze di fatto caratterizzanti il procedimento in discussione e verificando se ed in che termini il diritto di difesa fosse stato esercitato una volta ricevuta la contestazione nonché in quali diversi termini quel diritto sarebbe stato esercitabile ove la trasmissione fosse avvenuta nell’ottobre 2017 anziché nel febbraio 2018.
12. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, da condurre nel rispetto dei principi enunciati nei punti che precedono, provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Resta, di conseguenza, assorbito il settimo motivo concernente la condanna, disposta dalla sentenza impugnata, al pagamento delle spese di lite.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1quater, d.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.