Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3200 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 3200  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2502-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante  pro  tempore  elettivamente  domiciliata  in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME  COGNOME,  che  la  rappresenta  e  difende  unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME,  domiciliato  in  ROMA  INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4236/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/11/2022 R.G.N. 3645/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
Rep.
Ud. 09/01/2024
CC
1.- La COGNOME d’appello di Napoli decidendo in sede di rinvio, a seguito della sentenza della COGNOME di cassazione n.34421/2021, ha confermato l’accoglimento del reclamo proposto dal lavoratore COGNOME NOME avverso la sentenza di primo grado che aveva resp into l’impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli dalla Banca di Credito Cooperativo di Scafati e Cetara ed ha ordinato alla banca reclamata di reintegrare il COGNOME nel posto di lavoro, condannandola al pagamento dell’indennità risarcitoria oltre contributi e spese nella misura indicata.
2.- A fondamento della decisione la COGNOME d’appello di Napoli, premesso che la COGNOME di cassazione aveva annullato la precedente sentenza per vizio di motivazione, ha osservato che andasse comunque confermato il giudizio di illegittimità del recesso non essendo comprovata la sussistenza del fatto contestato al COGNOME; risultava ‘in particolare privo di riscontro probatorio il principale fatto contestato ovvero ” l’avere rilasciato, in data 8/3/2013 …. una dichiarazione di identificazione ed adeguata verifica della clientela (RAGIONE_SOCIALE) in assenza di formale valida richiesta da parte della società finanziaria interessata, recante in calce firma palesemente apocrifa del legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, ” rispetto al quale era evidente l’accessorietà degli ulteriori addebiti, tutti presupponenti l’avvenuto rilascio della dichiarazione in oggetto’.
Secondo la COGNOME territoriale nessuna deduzione e prova era stata fornita dalla banca su un siffatto obbligo a carico della stessa, essendo l’operazione di identificazione ed  adeguata verifica della clientela rimessa, nel caso in esame, alla stessa società finanziaria (RAGIONE_SOCIALE) con cui la legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, tal NOME COGNOME (che ha disconosciuto la sottoscrizione sul relativo modulo), aveva pattuito la cessione del contratto di leasing
inizialmente concluso da altro soggetto (tal COGNOME, socio della RAGIONE_SOCIALE).
3.- Del resto, ha aggiunto la COGNOME, essendo la cosiddetta adeguata verifica finalizzata ad una cessione del credito e non anche ad attività di pertinenza della banca, non si comprendeva perché la verifica di cui e’ causa dovesse essere effettuata da quest’ultima e non anche dalla finanziaria interessata alla operazione. E tale circostanza era confermata dal fatto che il COGNOME risultava aver sottoscritto solo l’ultima pagina del modulo, non recante la firma della legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in cui si limitava ad attestare che quest’ultima era titolare di un conto corrente presso la banca.
Inoltre, per la COGNOME distrettuale, quanto alla dedotta mancata identificazione della legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del contratto di leasing, era presumibile ritenere che  la stessa fosse  avvenuta  per  vie  brevi, attesa la verosimile  conoscenza    della  COGNOME  COGNOME  quale  titolare  del conto corrente presso la banca.
Secondo la COGNOME d’Appello sussisteva in definitiva solo una leggerezza del COGNOME nel compilare il modulo di sua pertinenza senza avvedersi della precompilazione e falsa sottoscrizione delle pagine precedenti relative alla cosiddetta adeguata verifica comunque di pertinenza, giova ribadirlo, della finanziaria. E tale condotta negligente non aveva nessuna rilevanza ai fini della causa non essendo, da un canto, oggetto della contestazione, ed essendo dall’altro ascrivibile ad un mero errore nello svolgimento dei compiti lavorativi, punibile secondo la incontestata contrattazione collettiva applicabile con la sanzione del rimprovero o al più del biasimo scritto (articolo 44 CCNL Banche di Credito Cooperativo che comprende per l’appunto lievi mancanze relative alla disciplina ed esecuzione del lavoro).
Avverso  la  sentenza  ha  proposto  ricorso  per  cassazione  la Banca  di  Credito  Cooperativo  di  Scafati  e  Cetara  con  sei motivi  di  ricorso  a  cui  ha  resistito  COGNOME  NOME  con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivaz ione all’esito della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per avere la COGNOME d’appello ritenuto ammissibile il ricorso in riassunzione proposto dal COGNOME nonostante che fosse stato redatto in violazione dei canoni di chiarezza e sinteticità degli atti e dell’obbligo derivante dal principio della cosiddetta graduale consumazione processuale della controversia, in forza del quale la parte è tenuto a sottoporre al giudice esclusivamente le questioni ancora rilevanti, in violazione anche del disposto dell’articolo 111 comma 1 e 2 Costituzione ex articolo 360 n. 4 c.p.c., avendo il COGNOME riassunto il giudizio con un ricorso di ben 107 pagine costituito dallo storico della lite relativo ai primi tre gradi del giudizio e per quanto riguarda il giudizio di rinvio da un paragrafo di appena 13 righe.
2.- Col secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 384 comma 2 c.p.c. per avere la COGNOME d’appello affermato in contrasto con quanto statuito dalla COGNOME di cassazione nella sentenza n. 34421/2021 che la ‘Dichiarazione dipendente banca’ compilata e sottoscritta dal COGNOME non fosse riconducibile ad un’attività di ‘identificazione ed adeguata verifica della clientela’ ai sensi degli artt. 26 e 27 del decreto legislativo 231/ 2007 (ex art. 360 n. 4 c.p.c.).
3.-  Col  terzo  motivo,  in  subordine  rispetto  al  motivo  che precede, si prospetta la violazione degli articoli 18 e 30 del decreto  legislativo  n.  231/2007  nel  testo  precedente  le modifiche apportate dal decreto legislativo n. 90/2017 ex art. 360 numero 3 c.p.c.  Si premette che per la COGNOME d’appello
la ‘ dichiarazione dipendente banca ‘ che il COGNOME aveva sottoscritto apponendo la propria firma non era riconducibile ad un’attività di identificazione e adeguata verifica della clientela poiché in riferimento alle operazioni in oggetto – di subentro della RAGIONE_SOCIALE al sig. COGNOME nel contratto di leasing in atto con la RAGIONE_SOCIALE – era su quest’ultima e non già sulla banca che gravava l’obbligo di effettuare ‘ l’adeguata verifica della clientela’ e che ‘il modello utilizzato nel caso in esame non era quello in uso presso la banca…. quanto piuttosto della Società finanziaria’. Si sostiene tuttavia che, ai sensi dell’art.18 del citato d.lgs. n. 231/2017 , il soggetto tenuto all’obbligo di adeguata verifica può ricorrere per l’adempimento di tali obblighi a terzi ex art. 30 cit. e pertanto la ‘ dichiarazione dipendente banca ‘ configurerebbe l’idonea attestazione da parte del terzo e come tale è stata utilizzata dalla RAGIONE_SOCIALE che, sulla base della stessa, ha dato corso al subentro della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al COGNOME. COGNOME nel contratto di leasing.
4.- Col quarto motivo si sostiene la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 384 comma 2 c.p.c. per avere la COGNOME d’appello  affermato,  in  contrasto  con  quanto  statuito  da questa COGNOME nella sentenza n.  34421 del 2021, che l’8 marzo 2015 la signora COGNOME si era recata in banca e il COGNOME l’aveva identificata (ex art. 360 n. 4 c.p.c.)
5.- Con il quinto motivo si deduce 1) la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 384 comma 2 c.p.c. per avere la COGNOME d’appello affermato in contrasto con quanto statuito da questa Suprema corte con la sentenza numero 34421/2021 che il COGNOME aveva il potere di sottoscrivere la ‘Dichiarazione dipendente Banca’ di cui alla terza pagin a del modulo per ‘l’identificazione adeguata verifica della clientela’; ed inoltre 2) nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione in violazione degli articoli 132 comma
due numero quattro c.p.c., 118 disp. att.  c.p.c. 111 comma 6 Cost. (ex art. 360 n. 4 c.p.c.)
6.- Con il sesto motivo di lamenta la violazione dell’ art. 2119 codice civile, art. 3  legge 604/1966 in relazione al principio secondo il quale il giudice ai fini della verifica della sussistenza della giusta causa e giustificato motivo deve tener conto di tutti gli addebiti, delle circostanze che caratterizzano il caso concreto, della tipologia del rapporto di lavoro e del danno anche potenziale.
7. Il primo motivo è infondato.
Va premesso che il giudizio  sulla  sinteticità  degli  atti  deve essere calibrato in relazione ai  singoli  gradi  ed  al  concreto sviluppo di ogni tipologia di giudizio e che il rigetto dell ‘ eccezione  di  inammissibilità  da  parte  della  COGNOME  di appello  è  del  tutto  conforme  alla  giurisprudenza  di  questa COGNOME.
Nel caso in esame deve anzitutto evidenziarsi che la sentenza rescindente n. 34421/2021 di questa COGNOME di cassazione, che aveva disposto il giudizio di rinvio, aveva riscontrato una grave carenza nella motivazione della sentenza d’appello per aver ‘violato i principi processuali di rango costituzionale in ordine al minimum motivazionale dei provvedimenti giurisdizional i’; pertanto la COGNOME territoriale era stata investita nuovamente dell’intera vicenda processuale sia in fatto sia in diritto, senza che fosse stato formulato un principio di diritto al quale la COGNOME doveva attenersi.
Pertanto,  nel  giudizio  di  rinvio  era  demandato  alla  stessa COGNOME  d’appello  un  riesame  dell’intera  vicenda  processuale così  come  delineata  dalla  sentenza  di  prime  cure  e  dalle censure  ad  essa  mosse  in  sede  di  reclamo.  Il  ricorrente doveva pertanto riassumere l’intero compendio delle questioni  che  si  erano  sviluppate  per  tre  gradi  di  giudizio, oltre che nella fase sommaria, ed inoltre conferire sviluppo
logico  alle  stesse  questioni  successivamente  alla  sentenza della Cassazione.
La COGNOME di appello, nel respingere l’eccezione di inammissibilità ha affermato che non sussisteva la ‘genericità dei motivi di gravame, inidonea a consentire uno scrutinio delle censure alla sentenza di prime cure’. E tale decisione si pone in linea con la giurisprudenza di questa COGNOME avendo dato concreto riscontro alla condizione posta dalle Sez. Unite con l’ ordinanza n. 37552/21, secondo cui la stessa inosservanza del dovere di sinteticità ‘ può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenutoforma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c .’
8. I motivi 2, 3 e 4 possono valutarsi unitariamente per la connessione delle censure e sono infondati.
Va premesso che la COGNOME di cassazione, con la sentenza n.34421/2021, aveva accolto soltanto il secondo motivo di ricorso con cui si denunciava ‘sotto un primo profilo, l’omesso esame di fatto decisivo per aver ritenuto credibile la versione del COGNOME che nel ricorso introduttivo aveva affermato che l’8.3.13 si era recata in Filiale la COGNOME COGNOME, che aveva identificato’ senza considerare che successivamente, in sede di interrogatorio libero, lo stesso aveva dichiarato di non averla identificata; sotto un secondo profilo per violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto presuntivamente provata la versione dei fatti fornita dal COGNOME sulla base di circostanze che non potevano in alcun modo costituire indizi gravi, precisi e concordanti.’
Questa  la  motivazione  della  sentenza  n.34421/2021  della COGNOME di c assazione sul punto: ‘7. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, ed in
particolare il secondo, sono fondati. La sentenza impugnata infatti, con motivazione gravemente insufficiente, ha affermato  la  sussistenza  materiale  del  (grave)  addebito contestato (riguardante la violazione degli obblighi legali di adeguata verifica della clientela nelle operazioni finanziarie), soprassedendo  anche  sul  fatto  che  il  COGNOME  non  aveva neppure  il  potere  interno  di  sottoscrivere  tale  documento (evincendone piuttosto, paradossalmente, l’insussistenza del fatto);
quanto alla accertata falsità della firma di COGNOME (su modulo peraltro non in uso presso la BCSC), ha ricondotto inoltre, l’addebito ad una non meglio precisata infrazione con ipotizzata (ma neppure indicata) sanzione conservativa, violando così non solo i principi in materia esistenti nell’ordinamento (cfr. ad es. ed a contrario l’art. 18 co.4. S.L. come novellato) ma anche principi processuali e di rango costituzionale in ordine al ‘minimum’ motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali (cfr. sul punto, e plurimis, Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053).
Il  ricorso,  ed  in  particolare  il  secondo  motivo,  assorbiti  i restanti, deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia’.
9.- Risulta pertanto che la sentenza della COGNOME di Cassazione n. 34421/2021 aveva riscontrato soltanto un duplice difetto di  motivazione  contenuto  nella  precedente  pronuncia  di secondo grado e riferito alla ritenuta insussistenza materiale dell’addebito e d  alla ipotizzata riconducibilità della infrazione commessa ad una imprecisata sanzione conservativa.
Dalla stessa decisione di questa COGNOME non conseguiva perciò alcun altro vincolo al giudizio del rinvio –  né in particolare per alcuno dei profili di fatto indicati nei motivi di ricorso in oggetto – se non quello di effettuare una disamina coerente ed idonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice
di rinvio per la formazione del proprio convincimento sui temi individuati  come carenti di motivazione.
10. Pertanto, non esiste un contrasto tra la gravata sentenza pronunciata in sede di rinvio e quanto affermato dalla sentenza n. 34421/2021 sul fatto che la ‘Dichiarazione dipendente banca’ compilata e sottoscritta dal COGNOME non fosse riconducibile ad un’attività di ‘identificazione e adeguata verifica d ella clientela’ ai sensi degli artt. 26 e 27 del decreto legislativo 231/ 2007; oppure sul fatto che l’8 marzo 2015 la signora COGNOME si era recata in banca e il COGNOME l’avesse identificata; e nemmeno sul fatto che il COGNOME aveva il potere di sottoscrivere la ‘Dichiarazione dipendente Banca’ di cui alla terza pagina del modulo per ‘l’identificazione adeguata verifica della clientela’.
11.-  La  sentenza  della  Cassazione,  come  già  detto,  si  è limitata  a  registrare  un  vizio  di  motivazione  e  non  ha accertato, né poteva accertare, nulla che potesse vincolare in fatto  il  giudice  del  rinvio  nei  suoi  poteri  di  accertamento  e motivazione.
D’altra parte, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto,
peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla COGNOME di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse ( Sez. 3 – , Ordinanza n. 17240 del 15/06/2023).
Sul punto è stato pure statuito (Sez. Unite sentenza n. 18303 del 03/09/2020) che ‘in caso di ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice di rinvio per violazione della precedente statuizione di annullamento, il sindacato della RAGIONE_SOCIALE si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice, poteri che, nell’ipotesi di rinvio per vizio di motivazione, si estendono non solo alla libera valutazione dei fatti già accertati, ma anche alla indagine su altri fatti, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi già censurati del provvedimento impugnato e con la preclusione rispetto ai fatti che il principio di diritto eventualmente enunciato presuppone come pacifici o accertati definitivamente. ‘
12.- Nel caso di specie, il giudice di rinvio ha correttamente ed ampiamente motivato su ciascuno dei fatti relativi alla condotta ascritta al lavoratore fugando tutti i difetti motivazionali riscontrati dalla sentenza rescindente che aveva disposto il rinvio per un nuovo esame. Sicchè l’accertamento operato sui medesimi punti si sottrae a qualsiasi sindacato in questa sede di legittimità, non essendo stati enunciati principi di diritto nella sentenza rescindente ed attesa l’ampia e logica motivazione che contraddistingue la nuova pronuncia della COGNOME territoriale; talchè neppure sussiste alcuna carenza motivazionale infondatamente
censurata in ricorso ai sensi degli artt. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., 118 disp. att.  c.p.c. 111 comma 6 Cost.
13.- Il terzo motivo presenta plurimi profili di inammissibilità sia perché mira a sindacare l’accertamento di fatto effettuato in merito alle attività compiute dal COGNOME ed al loro significato; ed inoltre perché introduce nuove circostanze di fatto e di diritto sostenendo la tesi, che non risulta prospettata in sede di merito, secondo cui la banca e per essa il COGNOME operassero in realtà come terzi, ai sensi e per gli effetti degli artt. 18 e 30 del decreto legislativo 231/2007 nel testo precedente le modifiche apportate dal decreto legislativo 90/2017.
14.- Il sesto motivo non è fondato, avendo la COGNOME accertato in  modo ampio, logico e motivato la carenza di tutti i fatti contestati  al  lavoratore,  conformandosi  pure  alla  recente giurisprudenza di questa COGNOME in materia di tutela e rilevanza disciplinare dei fatti lievi, comunque, riconducibili ad ipotesi disciplinari tipizzate dalla contrattazione collettiva.
15.- Pertanto, sulla scorta delle premesse il ricorso de quo deve essere complessivamente rigettato.
Le spese processuali seguono il regime della soccombenza, nella  misura  liquidata  in  dispositivo  in  favore  della  parte controricorrente con distrazione in favore dei difensori anticipatari  AVV_NOTAIO e  AVV_NOTAIO; segue altresì il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La  COGNOME  rigetta  il  ricorso.  Condanna  la  ricorrente  alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5500,00  per  compensi  e  200,00  per  esborsi,  oltre  spese generali al 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dei  difensori  anticipatari  AVV_NOTAIO  e  AVV_NOTAIO
NOME COGNOME. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.  115  del  2002,  dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 9.1.2024