Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25347 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25347 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26603-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 332/2024 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 23/10/2024 R.G.N. 137/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N.26603/2024
COGNOME
Rep.
Ud 24/06/2025
CC
A seguito di giudizi, intentati da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, diretti alla costituzione del rapporto di lavoro e al pagamento di differenze retributive, in relazione i quali la lavoratrice era risultata essere debitrice di euro 354.145,66 per la determinazione definitiva della entità del credito, avendo ottenuto, in via provvisoria in virtù di sentenza non definitive poi riformate, il pregresso pagamento della somma di euro 560.174,18, la società, dopo avere richiesto la restituzione del dovuto e proceduto a contestazione disciplinare (‘ Le facciamo presente che durante l’intero giudizio, nonostante che nella memoria difensiva Lei avesse proposto, in via di ipotesi, l’esistenza di un credito in favore della Società, seppure di ammontare sensibilmente inferiore a quanto definito dal Tribunale bolognese, e nonostante le richieste, formulate ai Suoi Legali di ottenere, quanto meno, l’immeditato riconoscimento del credito medesimo, Lei, ancora una volta, ha negato (omesso di manifestare) qualsiasi forma di ipotetica disponibilità alla refusione di quanto percepito illegittimamente. Ancora, nessuna ipotesi di definizione della vertenza è stata da Lei formulata neppure rispetto alla quantificazione del Suo debito operata dai Suoi consulenti di parte nel corso della CTU esperita nel corso del giudizio. Tutto quanto precede dimostra l’esistenza di una complessa e complessiva condotta da Lei posta in essere al fine di sottrarsi all’obbligazione restitutoria esistente a suo carico. Lei, infatti, scientemente, volontariamente e consapevolmente, nonostante fosse a conoscenza del potenziale diritto della Società di vedersi restituite, interamente o parzialmente le somme da Lei versate, si è messa nelle condizioni di distrarre quanto percepito dalla
Società, rendendo sostanzialmente impossibile il recupero del credito in termini ragionevoli e soddisfacenti. Il tutto nella ulteriore consapevolezza di essere sprovvista di qualsiasi disponibilità immobiliare astrattamente aggredibile in via esecutiva. La Sua condotta posta in essere al fine di rendersi inadempiente con il proprio datore di lavoro, rispetto alla restituzione di quanto indebitamente dal medesimo a Lei versato, integra un evidente illecito disciplinare, facendo venire meno ogni ambito fiduciario nei Suoi confronti. Il Suo comportamento si palesa, pertanto, contrario a qualsiasi principio di buona fede, correttezza, diligenza e dovere di cooperazione nell’ambito del rapporto di lavoro’. ), in data 5 maggio 2021 ha intimato alla dipendente il licenziamento per giusta causa.
Impugnato il recesso, l’adito Tribunale di Pesaro, in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, ha rigettato la domanda della COGNOME diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento.
Proposto reclamo la Corte di appello di Ancona, con la sentenza n. 332/2024, in parziale riforma della pronuncia di primo grado ha dichiarato la illegittimità del licenziamento, con risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti con effetto dalla data del recesso e con condanna della società al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
I giudici di seconde cure, premesso che ciò che era stato contestato alla lavoratrice era un comportamento incauto e gravemente negligente, per avere omesso di conservare il denaro in modo da fare fronte al probabile obbligo restitutorio che sarebbe emerso in virtù della pendenza del
giudizio di cassazione e di quello di rinvio, hanno ritenuto che il fatto materiale si era dimostrato sussistente ma che la condotta, per sua natura sostanzialmente colposa, non era tale da minare il rapporto fiduciario e, quindi, la sanzione espulsiva non doveva ritenersi proporzionata; hanno conseguentemente applicato la tutela ex art. 18 co. 5 St. lav.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE che ha presentato, a sua volta, ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 co. n. 3 cpc, degli artt. 1362 e ss. cod. civ. in relazione all’interpretazione della lettera di contestazione disciplinare e/o dell’art. 7 St. lav. in ordine alla immodificabilità dei fatti posti a base del licenziamento; si sostiene che la Corte territoriale ha violato i canoni di ermeneutica contrattuale con riguardo alla lettera di contestazione disciplinare, errando nella individuazione dell’addebit o identificato in una condotta omissiva colposa (ritenuta sussistente) e non invece nella condotta distrattiva realmente contestata dalla società ma dalla stessa non provata, con conseguente violazione del principio di immodificabilità dei fatti posti a base del provvedimento espulsivo.
Con il secondo motivo del ricorso principale si censura la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 co. n. 3 cpc, dei commi 4 e 5 dell’art. 18 St. lav. e dell’art. 50 CNLG in ordine alla tutela applicabile, nonché la nullità della sentenza, ex art. 360 co. 1 n. 4 cpc per omessa pronuncia in ordine alla punibilità della condotta con sanzione conservativa ovvero l’omesso esame, ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, di un fatto decisivo per il giudizio; si deduce che la Corte territoriale ha omesso di valutare che la condotta colposa del dipendente, ancorché grava, era ricondotta dal Regolamento di Disciplina di cui al Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico ad una sanzione conservativa, con ogni conseguenza sulla tutela da applicare.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 210 cpc, sul legittimo ordine di esibizione documentale in ragione della condotta inadempiente tenuta dalla lavoratrice rispetto all’obbligo restitutorio insorto, sull’acquisizione del mezzo di prova utile ai fini della valutazione della giusta causa di licenziamento. Si rappresenta che la Corte territoriale erroneamente ha affermato la illegittimità dell’ ordine di esibizione della movimentazione bancaria della ricorrente, che rappresentava il presupposto confermativo della condotta attribuita alla Spagnoli.
Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., sulla sussistenza della giusta causa di recesso, non ravvisata dalla Corte territoriale nonostante i fatti emersi in corso di causa.
Con il terzo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, per avere omesso la Corte territoriale una corretta valutazione della prova, negando rilevanza alla risultanza acquisita per mezzo dell’ordine di esibizione della movimentazione bancaria della lavoratrice.
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere preliminarmente esaminato il ricorso incidentale.
Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
In tema di poteri istruttori d’ufficio del giudice del lavoro l’emanazione di ordine di esibizione e la sua ammissibilità è discrezionale, con la conseguenza che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza di ordine di esibizione non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa (cfr. Cass. n. 27412/2021, Cass. n. 24188/2013).
Alcun sindacato è, pertanto, consentito in questa sede sia sulla mancata ammissione che sull’accoglimento della richiesta di ordine di esibizione, ovvero sulla sua ritenuta irrilevanza, se già disposto, da parte dei giudici di merito.
Va, poi, specificato che la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge come, invece, denunciato, nel caso di specie.
Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.
E’ opportuno ribadire il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
Nella fattispecie, tale violazione dei valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, da parte della Corte territoriale non è ravvisabile in quanto i giudici di seconde cure hanno correttamente precisato che, pur
dovendosi riconoscere ampia libertà al lavoratore il quale, ottenuto il pagamento di rilevanti somme in virtù di sentenza non ancora definitive, decida di utilizzarle nel modo ritenuto più opportuno, tuttavia il dovere di correttezza che deve permeare ogni rapporto sociale e contrattuale impone di agire, anche consapevolmente, in modo da non rendere oltremodo difficile se non impossibile il diritto restitutorio della controparte in caso di riforma della pronuncia giudiziale; con un accertamento di fatto, poi, adeguatamente motivato, hanno precisato che la lavoratrice non si era attenuta all’obbligo di buona fede per avere sperperato i denari ottenuti, pur nella consapevolezza del mancato possesso di beni immobili da offrire in garanzia e che tale comportamento, denotante indifferenza nei confronti degli interessi economici della parte datoriale, era però privo di diretta incidenza sul rapporto di lavoro in una ottica di porre in dubbio il futuro puntuale adempimento della obbligazione lavorativa.
La Corte di appello, pertanto, ha affrontato correttamente il problema della violazione del parametro normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. e/o di contrarietà alle regole di comune e civile convivenza esistenti nella realtà sociale, attraverso un bilanciamento dei rispettivi diritti e obblighi e, con un accertamento di fatto, adottato con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, ha ritenuto che tale condotta, pur di rilievo disciplinare, non incidesse in modo irreversibile sul rapporto fiduciario tra le parti e non fosse meritevole, quindi, della sanzione espulsiva che appariva non proporzionata.
Il terzo motivo, infine, è anche esso non meritevole di accoglimento.
Invero, deve rilevarsi che le censure non si sostanziano in violazioni o falsa applicazione delle disposizioni denunciate, ma tendono alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda (Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011, Cass. n. 16038/2013), non consentita in sede di legittimità.
Ciò di cui si duole il ricorrente è, pratica, l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
E’ un principio ormai consolidato, quindi, quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).
Venendo allo scrutinio del ricorso principale, va rilevato che il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
Invero, è stato affermato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un atto (o contratto) non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola (anche contrattuale) sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 24539/2009).
Ciò perché in tema di interpretazione dell’atto di autonomia privata il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e
della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015).
Nella fattispecie, l’esegesi dell’atto di recesso operato dai giudici di seconde cure (che hanno ritenuto che la lettera di contestazione dell’addebito, lungi dal contestare una precisa condotta di sottrazione di somme, ha imputato alla lavoratrice di non avere usato l’ordinaria diligenza al fine di consentire al datore di lavoro il pronto recupero delle somme indebitamente pagate) non contrasta con i criteri interpretativi di legge (neanche in realtà idoneamente denunciati dalla ricorrente) ed appare plausibile e coerente sotto un profilo logico.
Il secondo motivo del ricorso principale è, invece, fondato.
Questa Corte ha affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della l. n. 300 del 1970, come novellato dalla l. n. 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (Cass. n. 11665/2022).
Nel caso de quo , la Corte territoriale ha omesso di svolgere tale valutazione, giungendo ad un giudizio di non
proporzionalità della sanzione ma senza verificare se il fatto colposo ritenuto sussistente, ma privo di quella gravità da minare alle basi l’essenziale rapporto fiduciario tra le parti, potesse effettivamente rientrare tra le condotte punibili con sanzione disciplinare in forza del codice disciplinare aziendale e del Contratto Collettivo Nazionale di settore (art. 50 CNLG).
Tale questione risulta ritualmente sottoposta alla Corte territoriale con il reclamo del 10.4.2024 (pagg. 33 e ss.).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso incidentale deve essere rigettato, mentre va accolto il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo.
La gravata sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto del citato principio di diritto e pronunciandosi sulla questione non esaminata, ai fini di determinare la tutela applicabile e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 giugno 2025
a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME