Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2075 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2075 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22422-2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME
ricorrente principale -controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1255/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/03/2022 R.G.N. 3721/2017;
Oggetto
Licenziamento disciplinare Dirigente
R.G.N. 22422/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 03/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, per quanto qui specificamente rileva, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto della domanda di NOME COGNOME diretta all’accertamento dell’ingiustificatezza e della mancanza di giusta causa del licenziamento intimatogli con nota 14.3.2016 da RAGIONE_SOCIALE, di cui era dirigente, con incarico di responsabile delle risorse umane e della sicurezza, con condanna della società al pagamento dell’indennità supplementare e dell’indennità sostitutiva del preavviso;
la Corte territoriale, in particolare, esaminati criticamente i motivi dell’appello principale del dirigente, ha osservato che:
-non era viziata di genericità la contestazione disciplinare con cui veniva addebitato al dirigente di aver affidato, nell’anno 2015, a uno studio legale diversi incarichi di consulenza su temi giuslavoristici in violazione delle procedure previste dal Regolamento interno di pianificazione, acquisizione e monitoraggio consulenze del 13.2.2015, per come risultante da nota del 16.10.2015 con cui il dirigente sollecitava il perfezionamento dell’ iter amministrativo-contabile per il pagamento di tali prestazioni professionali (per complessivi € 85.100);
-neppure era fondata la doglianza relativa al fatto che non fosse stato consentito al dirigente, nel corso dell’accertamento disciplinare, l’accesso agli atti per acquisire la formalizzazione degli incarichi contestati e il regolamento aziendale, trattandosi degli incarichi riepilogati nella nota a firma del medesimo del
16.10.2015 ed essendo egli a conoscenza della procedura aziendale, di cui era co-firmatario;
-la contestazione disciplinare a circa quattro mesi di distanza dalla conoscenza dei fatti era tempestiva, in base al principio dell’immediatezza relativa operante in materia;
-la prova dei fatti era documentale e la responsabilità del dirigente era da ricondurre, appunto, alle sue responsabilità di direzione delle strutture cui era preposto;
-il licenziamento era assistito da giustificatezza, non essendo arbitrario ed essendo stato intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dirigente, e da giusta causa, per la gravità della condotta (per l’entità degli importi in questione e per la natura di partecipata pubblica del datore di lavoro);
la Corte territoriale ha altresì dichiarato inammissibile l’appello incidentale della società relativo alla condanna della stessa al pagamento della somma di € 31.666,50 in accoglimento parziale della domanda del dirigente di pagamento della componente variabile della retribuzione per gli anni 2013-2016, pagamento non avvenuto per la mancata assegnazione degli obiettivi; il comportamento inadempiente della società sul punto era stato ritenuto in primo grado fonte di danno risarcibile, trattandosi di adempimento obbligatorio previsto dal CCNL, e il danno era stato quantificato in via equitativa nella misura del 50% del massimo della retribuzione incentivante astrattamente erogabile, tenuto conto dell’impossibilità di verificare l’effettivo raggiungimento di risultati conformi agli obiettivi;
avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi; ha resistito con controricorso la società, proponendo altresì ricorso incidentale
con due motivi, cui ha resistito con controricorso avverso il ricorso incidentale il ricorrente principale; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970: sostiene che la Corte di merito ha errato nel negare la genericità dell’addebito secondo il quale il dirigente avrebbe conferito a uno studio legale esterno diversi incarichi di consulenza su temi giuslavoristici, violando il regolamento interno del 13.2.2015 che impone un ‘raccordo’ nella formulazione dell’incarico con il responsabile della Direzione affari legali e di ottenere la previa autorizzazione dell’amministratore delegato, indicando per relationem solo l’oggetto dei pareri emessi dal legale esterno incaricato;
con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970: sostiene l’erroneo rigetto del motivo di appello riguardante l’illegittimità del rifiuto della società di consentire l’accesso agli atti al ricorrente, richiesto dopo la contestazione;
con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970: sostiene l’erroneità del rigetto dell’eccezione di tardività dell’addebito contestato con lettera datata febbraio 2016, nonostante da ottobre 2015 la società fosse a conoscenza dei fatti;
con il quarto articolato motivo, deduce: I) (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., per erroneo rigetto dell’eccezione relativa alla non qualificabilità
come ‘regolamento interno’ del documento del 13.2.2015 intitolato ‘pianificazione acquisizione e monitoraggio consulenze’ sull’unico rilievo che tale documento sarebbe sottoscritto anche dal dirigente, atteso che la sottoscrizione non è apposta in calce al testo ma su un foglio separato non facente corpo con il documento stesso, bensì ad esso anteposto; II) (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativamente all’analisi testuale del documento in questione, in cui si legge che il process owner (ovvero il soggetto emittente la relativa regola) era la distinta Direzione pianificazione, controllo e coordinamento piani, e che quindi si trattava di un mero atto interno ad altra ripartizione aziendale; III) (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per mancata considerazione della circostanza che il dirigente, sin dal ricorso introduttivo, ha negato la conoscenza e ogni forma di pubblicità del suddetto regolamento; IV) (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione, in via gradata, degli artt. 2049 c.c., 2 e 7 legge n. 300/1970, 2104 e 2106 c.c., per avere la Corte territoriale errato nel ritenere sussistente la responsabilità del dirigente perché, seppure l’irregolare conferimento di incarichi non promanasse dal dirigente ricorrente, ma da altri dirigenti preposti a strutture dipendenti dalla direzione da lui diretta, sarebbe stato ritenuto responsabile di tutto quanto posto in essere nell’ambito della propria direzione; V) (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2106 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto i (contestati) comportamenti addebitati disciplinarmente posteriori rispetto alle disposizioni aziendali ritenute violate;
5. con il quinto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 34 del CCNL per i dirigenti delle imprese che gestiscono servizi pubblici locali, nonché degli artt. 1453, 2106, 2119 c.c., anche in relazione al disposto dell’art 4, comma 13, d.l. n. 95/2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 135/2012) e dell’art. 1, comma 3, T.U. società partecipate (d. lgs. n. 175/2016): sostiene che erroneamente è stata ritenuta integrata la giustificatezza del licenziamento ai sensi della disciplina collettiva, mentre si è trattato di responsabilità per fatto altrui, ed è stato omesso l’accertamento, nel caso di specie, che il dirigente fosse tenuto al controllo analitico degli atti posti in essere dall’autore dell’illecito; sostiene, inoltre, l’errata ricostruzione del concetto di giusta causa sul solo presupposto che il datore di lavoro è una società partecipata pubblica;
6. con il sesto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1359, 1218, 1223, 2120 c.c.: sostiene che la Corte di Roma ha errato nel confermare l’accoglimento parziale a titolo risarcitorio e non retributivo della domanda del dirigente relativa al mancato pagamento dei compensi variabili, sul presupposto che, non avendo il datore di lavoro assegnato al dirigente gli obiettivi da raggiungere, il giudice non avrebbe potuto accertare la maturazione del credito bensì solo accertare equitativamente il danno derivante da tale inadempimento; invece, doveva applicarsi la regola della condizione non avverata per causa imputabile alla società con conseguente maturazione dell’intero credito retributivo in favore del dirigente;
7. con il primo motivo di ricorso incidentale, la società si duole (art. 360, n. 4, c.p.c.) di violazione e falsa applicazione degli artt. 421, 350, 435, 436, 291 c.p.c.: denuncia erronea
declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale sul presupposto che l’appellato incidentale ne avrebbe ricevuto la notifica oltre la scadenza del termine a difesa ex art. 436, terzo comma, c.p.c., in quanto tali termini sono posti a pena di decadenza esclusivamente per il deposito in cancelleria dell’appello incidentale, e non anche per la sua notifica;
8. con il secondo motivo di ricorso incidentale, si duole (art. 360, n. 5, c.p.c.) di omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti: denuncia che erroneamente è stato ritenuto inammissibile l’appello incidentale sul presupposto che la società non avrebbe chiesto il rinnovo della notifica senza dare atto né motivare in ordine alla richiesta di rinvio o di termine per nuova notifica dell’appello incidentale, che la società aveva invece formulato nelle note autorizzate del 24.9.2020;
il ricorso principale è complessivamente infondato, mentre è fondato per quanto di ragione il ricorso incidentale;
i primi tre motivi, da trattare congiuntamente per connessione, in quanto tutti concernenti la denuncia di violazione delle regole della procedura disciplinare, riprendono i corrispondenti primi tre motivi di appello, e non sono fondati, perché la motivazione della sentenza impugnata al riguardo è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di valutazione della specificità della contestazione, di valutazione delle prove, di applicazione del principio di immediatezza relativa, e il Collegio non ravvisa elementi per discostarsene;
l’apprezzamento del carattere della specificità della contestazione dell’addebito, da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali, è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo
mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata; infatti, la contestazione dell’addebito ha la funzione di indicare il fatto contestato al fine di consentire la difesa del lavoratore, mentre non ha per oggetto le relative prove, e il relativo grado di precisione della contestazione risponde all’esigenza di consentire concretamente all’incolpato di approntare la propria difesa (cfr. Cass. n. 13667/2018, n. 3820/2022, n. 30271/2022, n. 24523/2024); nel caso di specie, la Corte di merito ha ritenuto, con specifica e congrua motivazione, che la contestazione contenesse tutti gli elementi atti a individuare i fatti addebitati al dipendente nella loro materialità, consentendogli di esercitare appieno il proprio diritto di difesa, e tale valutazione di merito non è rivedibile in questa sede di controllo di legittimità;
12. sempre alla valutazione dei fatti storici e delle relative prove attiene la doglianza contenuta nel secondo motivo, con conseguente inammissibilità in questa sede, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, della richiesta rivalutazione dei fatti come operata dal giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. S.U. n. 34476/2019 e successive conformi), a fronte della valutazione in concreto dell’irrilevanza dell’acquisizione della documentazione richiesta considerato il contenuto della lettera, a firmata dello stesso dirigente, allegata alla lettera di contestazione;
13. analogamente, la sentenza gravata contiene congrua e logica motivazione circa la tempestività della contestazione; per consolidata giurisprudenza qui condivisa, la valutazione in concreto della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove
adeguatamente motivato (cfr. Cass. n. 281/2016, n. 16841/2018, n. 2654/2022, n. 29332/2022);
14. osserva il Collegio che anche i profili di censura articolati nel quarto motivo risultano, in ultima analisi, attinenti alla valutazione delle prove svolta nei gradi di merito, e dunque esterni al perimento del giudizio di legittimità; la difesa ricorrente, invero, contrappone la propria valutazione sulla natura del regolamento interno di cui è stata addebitata al dirigente la violazione e sulla conoscenza di esso da parte del medesimo a quella effettuata nei gradi di merito;
la Corte d’Appello non ha affermato che il dirigente è responsabile di tutto quello che fanno i sottoposti; ha però affermato che, in questo caso, il dirigente era responsabile della violazione della procedura interna di assegnazione degli incarichi professionali addebitatagli, perché aveva firmato la nota di sollecito del pagamento, avendo partecipato alla procedura di approvazione del regolamento interno (partecipazione che rileva ai fini dell’elemento soggettivo, ritenuto provato, non alla natura giuridica dell’atto, la cui fidefacienza o conoscenza all’esterno è, ai fini di causa, non rilevante);
la responsabilità dirigenziale nel caso concreto è stata dunque ricondotta alle attività poste in essere dalla struttura dal dirigente diretta e dal dirigente consapevolmente fatte proprie, con accertamento in fatto conforme nel doppio grado di merito;
17. ne consegue che:
le doglianze di cui al primo sotto-motivo del quarto motivo sono eccentriche rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, perché concernenti la (non rilevante ai fini del licenziamento) natura giuridica del regolamento interno,
anziché la questione dirimente della conoscenza da parte del dirigente, ritenuta provata nel merito;
quelle di cui al secondo sotto-motivo sono inammissibili in presenza di pronuncia di merito doppia conforme;
quelle di cui al terzo sotto-motivo non sono meritevoli di accoglimento, perché la violazione dell’art. 115 c.p.c. si realizza quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre non è ammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; la censura in esame si risolve in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019 cit., S.U. n. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023, n. 7168/2024);
quelle di cui al quarto e quinto sotto-motivo non sono fondate, perché, come sopra sottolineato, la responsabilità dirigenziale è stata accertata in concreto come da ricondurre al responsabile della struttura in quanto consapevolmente recepita ed espressa in attività di competenza del medesimo posta in essere in violazione delle regole interne;
il quinto motivo non è fondato;
esso, nuovamente, propone censure di valutazioni in fatto congruamente motivate e non rivalutabili in questa sede, che non costituisce terzo grado di merito;
20. è stato precisato da questa Corte che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito ai fini dell’individuazione della giusta causa di licenziamento, non può essere censurata in sede di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n.13534/2019; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 14777/2021);
21. in tema di licenziamento per giusta causa, nel giudicare la violazione disciplinare addebitata al lavoratore, rilevano la natura e la qualità del singolo rapporto, la posizione delle parti, l’oggetto delle mansioni e il grado di affidamento che queste richiedono, occorrendo altresì valutare il fatto concreto nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del fatto medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento (Cass. n. 31202/2021, n. 17092/2011);
22. occorre, pertanto, distinguere tra l’integrazione a livello generale e astratto della suindicata clausola elastica, che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge, e l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, che rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, in ordine alle connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità, in termini positivi o negativi, all’ipotesi normativa; ne deriva che il sindacato di legittimità sull’applicazione di un concetto giuridico indeterminato deve essere rispettoso dei limiti che il legislatore
gli ha posto, attribuendo al giudice del merito uno spazio di libera valutazione e apprezzamento; questa Corte non può, pertanto, sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione (Cass. n. 13534/2019 cit., in motivazione, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass n. 22318/2023);
23. inoltre, la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604/1966, ai dirigenti, e, ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità supplementare prevista per la categoria suddetta, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604/1966, e di giusta causa ex art. 2119 c.c., trovando la sua ragione d’essere, in particolare, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate -suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro (Cass. n. 27199/2018, n. 25145/2010);
24. ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario
con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (Cass. n. 34736/2019, n. 6110/2014; v. anche Cass. n. 88/2023, n. 381/2023);
25. la sentenza impugnata, che ha sussunto gli accertamenti in fatto svolti nell’ambito dei principi testé ricordati, resiste perciò alle critiche oggetto del motivo in esame;
26. il sesto motivo non è fondato;
27. non essendo possibile, in realtà, per effetto dell’inadempimento datoriale nel fissare gli obiettivi, stabilire se il dirigente li avrebbe raggiunti o meno, la fattispecie non è compiutamente inquadrabile in quella della condizione non avverata da considerarsi, invece, avverata per responsabilità della parte avente un interesse contrario all’avveramento; non sono stati raccolti elementi per comprendere se l’azienda, una volta fissati gli obiettivi come da suo dovere contrattuale, avrebbe dovuto poi erogare l’intera retribuzione incentivante, o una percentuale di essa, o, al limite, non erogarla del tutto per mancato raggiungimento degli obiettivi stessi;
28. dunque la condotta aziendale inadempiente è da valutare in termini di risarcimento del danno da perdita di chance, come in fattispecie similari esaminate da questa Corte, che possono ritenersi applicabili al caso in esame; è stato affermato, ad esempio, che, nell’ipotesi di accertata illegittimità del procedimento di valutazione negativa di un dirigente pubblico per il mancato raggiungimento degli obiettivi (nella specie, per tardiva indicazione degli stessi rispetto al periodo in cui avrebbero dovuti essere perseguiti) non compete un risarcimento automaticamente commisurato all’indennità di risultato non percepita, in quanto il giudice ordinario non può sostituirsi all’organo deputato alla verifica dei risultati che ne condizionano l’erogazione, ma, ove ritualmente richiesto, non
può essere escluso il danno da perdita di chance , dimostrabile anche per presunzioni e con liquidazione necessariamente equitativa (Cass. n. 9392/2017); o che il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione (conseguente all’inottemperanza della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi) è suscettibile di liquidazione equitativa quando il dipendente allega l’esistenza del pregiudizio e fornisce, anche mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità, la prova dei suoi elementi costitutivi e, cioè, di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (Cass n. 7110/2023);
è fondato il primo motivo del ricorso incidentale, con derivato assorbimento del secondo motivo;
30. è stato precisato da questa Corte che, nelle controversie soggette al rito del lavoro, la proposizione dell’appello incidentale (alla stessa stregua, peraltro, di quello principale) si perfeziona, ai sensi dell’art. 436 c.p.c., con il deposito, nel termine previsto dalla legge, del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem , che impedisce ogni decadenza; ne consegue che, qualora sia osservata la tempestività nel deposito dell’appello incidentale, ma la parte non abbia provveduto alla rituale notificazione della memoria che lo contiene almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata per la discussione, per averla omessa o per essere stata la stessa invalidamente eseguita, non può derivarne la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione (come, invece, statuito erroneamente nella specie con la sentenza oggetto di ricorso per cassazione), dovendo il giudice di appello concedere all’appellante incidentale nuovo termine, da qualificarsi come perentorio, per
la notificazione, sempre che la controparte presente all’udienza non vi rinunci, accettando il contraddittorio o limitandosi a chiedere un congruo rinvio, da disporsi anche nel caso di intervenuta notificazione tardiva (così Cass. n. 11888/2007); l’appello incidentale è inammissibile nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell’appellato entro il termine di dieci giorni prima dell’udienza di discussione, mentre alla omissione della successiva attività di notifica è collegata la diversa sanzione di improcedibilità dell’impugnazione tempestivamente proposta (Cass n. 24742/2017); peraltro, l’appello incidentale tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile solo se non è stato affatto notificato alla controparte (Cass n. 23159/2024), mentre il mancato rispetto del termine di cui all’art. 436, comma 3, seconda parte, c.p.c. da parte dell’appellante incidentale determina un vizio della vocatio in ius che, anche in ipotesi di prolungata inerzia che si sostanzi nella richiesta di avvio alla notifica del gravame incidentale dopo la scadenza del termine di legge, si traduce in nullità della notificazione, e non già in inesistenza od omissione della stessa, con possibilità per il giudice del gravame di autorizzarne la rinnovazione o di concedere un differimento dell’udienza a fronte rispettivamente della richiesta dell’appellante incidentale di procedere a rinotifica dell’impugnazione o dell’istanza, da parte dell’appellante principale, di differimento dell’udienza di discussione (Cass n. 21889/2020; v. anche Cass n. 5166/2023);
31. esclusa l’inesistenza o omissione della notifica dell’appello incidentale, il termine è dunque fissato a garanzia del diritto di difesa dell’appellante principale, che può, appunto, dolersi della violazione del termine a difesa; nel caso in esame, tuttavia, il
differimento è stato disposto dalla Corte territoriale, sicché era l’appellante principale che, eventualmente, avrebbe potuto contestare la limitazione dell’ambito delle note difensive alle sole questioni preliminari;
32. in conclusione, il ricorso principale deve essere respinto; in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, puramente processuale, la sentenza impugnata deve essere cassata e rinviata alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, per procedere all’esame nel merito dei motivi dell’appello incidentale dichiarato inammissibile, nonché per provvedere sulle spese di lite, incluse quelle del presente giudizio di legittimità;
33. al rigetto del ricorso principale consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto, nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese. Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 3 dicembre 2024.