Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20525 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18721-2021 proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 633/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/05/2021 R.G.N. 1229/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/05/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado e dopo aver assunto prova testimoniale, ha respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, azienda esercente il commercio all’ing rosso di farmaci e di prodotti parafarmaceutici;
la Corte, in estrema sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha esaminato la contestazione disciplinare del 5 aprile 2018 in cui veniva addebitato al COGNOMECOGNOME addetto al magazzino, di aver prelevato senza autorizzazione, ‘insieme ad altri e con la complicit à del vettore Filice’, ‘prodotti farmaceutici non commissionati da clienti, per utilità personale’; premesse talune massime tratte dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte, all’esito di un argomentato percorso motivazionale in cui ha valorizzato ‘pr egressi episodi di illegittimo storno di farmaci verificatisi in azienda’, ‘modalità e contenuto dell’audizione del lavoratore’ nonché le ‘stesse allegazioni difensive del COGNOME‘, ha conclusivamente ritenuto che, ‘pur non essendo stati inseriti nella contestazione disciplinare riferimenti contabili e temporali precisi agli episodi di indebito prelievo di farmaci, il protratto comportamento che poi ha condotto al suo licenziamento fosse stato adeguatamente individuato in termini tali da consentire al COGNOME u n’adeguata difesa’;
la Corte ha, poi, ritenuto che la fondatezza degli addebiti emergesse ‘dagli stessi elementi di prova sopra enunciati (dichiarazioni testimoniali e circostanze non contestate o esplicitamente ammesse dal lavoratore), oltre che dal verbale
di conciliazione intercorso fra la reclamante ed il Sig. NOME COGNOME;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con cinque motivi, cui ha resistito l’intimata società con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi del ricorso possono essere sintetizzati come segue;
1.1. il primo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per ‘totale carenza di motivazione in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; si sostiene che ‘non si evince in alcun modo il ragionamento seguito per ritenere sussistente la specificità della contestazione disciplinare in questione’ e che la Corte territoriale non avrebbe esaminato la ‘mancata indicazione, nel provvedimento di contestazione, delle circostanze di tempo e di luogo degli addebiti contestati e dei soggetti coinvolti’;
1.2. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 300 del 1970 perché la contestazione era da ritenere generica e aveva leso il diritto di difesa del COGNOME, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in quanto le deposizioni testimoniali addotte dalla Corte a sostegno dell’esercizio del diritto di difesa del deducente non erano state ‘previamente sottoposte ad alcun apprezzamento critico’, e,
infine, l’apparenza della motivazione ‘non risultando in alcun modo da quale giustificazione da parte dell’incolpato in sede di audizione sarebbe emersa l’insussistenza della lesione della difesa’;
1.3. col terzo motivo si denuncia la ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c.’ e, ancora, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentando che nella sentenza impugnata difetterebbe ‘totalmente l’esame della po sizione e delle contestazioni assunte dal deducente con riguardo ai fatti di causa’;
1.4. il quarto mezzo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 2700, 2909 e 2119 c.c. e degli artt. 101 c.p.c. e 24 Cost.’; si contesta che la Corte territoriale abbia utilizzato come fonte di prova un verbale di conciliazione ‘intervenuto e sclusivamente fra il datore di lavoro e l’altro dipendente’;
1.5. con l’ultimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 7 l. n. 300/1970, per avere la Corte di merito introdotto ‘espressamente, quanto apoditticamente e arbitrariamente, nel procedimento il sulla mancata consegna del denaro come prezzo dei prodotti asseritamente prelevati’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato;
la sentenza impugnata contiene una motivazione che sicuramente valica la soglia del cd. ‘minimum costituzionale’ e viene esaminato esplicitamente il fatto -come riportato nello storico della lite -che non erano stati ‘ inseriti nella contestazione disciplinare riferimenti contabili e temporali precisi agli episodi di indebito prelievo di farmaci’, sicché di alcun omesso esame può dolersi l’istante;
per il resto, l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si è ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensib ile’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effetti vo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’ (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016);
il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per ritenere non violato nella specie il principio di specificità della contestazione disciplinare in relazione al mancato pregiudizio del diritto di difesa, mentre non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza della motivazione, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente;
2.2. il secondo motivo è inammissibile per concorrenti ragioni; esso, innanzitutto, invoca promiscuamente i vizi di cui ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., senza adeguatamente specificare quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono invece essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., in tal modo non consentendo una sufficiente identificazione del devolutum e dando luogo
all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di irredimibile eterogeneità’ (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass.
ricorso, ‘di censure caratterizzate da SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016);
inoltre, la dedotta violazione dell’art. 7 l. n. 300 del 1970 non individua realmente un error in iudicando ma si traduce in un diverso apprezzamento rispetto a quello argomentato dalla Corte del merito circa il grado adeguato di specificità della contestazione disciplinare;
parimenti spetta al giudice del merito valutare le prove testimoniali ed è impropria la deduzione di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
come ribadito dalle Sezioni unite civili (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
la pronuncia rammenta, poi, che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia
operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi individuati da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
tuttavia, il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è denunciato ben al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite civili con le sentenze ora ricordate;
in particolare, non viene enucleato un fatto storico realmente omesso nella sentenza impugnata che avrebbe carattere ‘decisivo’ nel senso inteso da questa Corte, secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015);
2.3. inammissibile è anche il terzo motivo;
sia perché evoca ancora impropriamente la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. sia perché denuncia erroneamente la violazione dell’art. 2697 c.c., atteso che la norma è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza
tra fatti costitutivi ed eccezioni e non laddove oggetto di censura -come nella specie – sia la valutazione che il giudice del merito abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), opponendo una diversa valutazione;
inoltre, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (tra molte: Cass. n. 3680 del 2019; Cass. n. 3126 del 2019);
2.4. il quarto motivo di ricorso, che contesta l’utilizzo probatorio del verbale di conciliazione sottoscritto da terzi, non merita condivisione;
posto che il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza degli addebiti -come ricordato nello storico della lite -si fonda su di una pluralità di elementi e non solo sul verbale di conciliazione contestato da parte ricorrente, quest’ultimo è evidentemente stato valutato dai giudici d’appello alla stregua di una prova atipica, sottoposta al contradditorio delle parti;
invero, nel vigente ordinamento processuale, mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, in quanto idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se non smentite dal raffronto critico, che tuttavia è riservato al giudice di merito (Cass. n. 9507 del 2023);
in particolare, gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, né di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice del merito, e possono, in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa
natura della controversia, fornire utili elementi di convincimento (Cass. n. 12763 del 2000; Cass. n. 4666 del 2003), senza che ne derivi la violazione del principio di cui all’art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio (Cass. n. 17392 del 2015; Cass. n. 1593 del 2017; più di recente v. anche Cass. n. 2947 del 2023);
di poi, la valutazione del materiale probatorio -destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudice -è espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità (con la conseguenza che non è denunciabile, dinanzi a quest’ultima, come vizio della decisione di merito, a seguito della definitiva riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c.) restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio;
2.5. l’ultimo motivo, infine, è inammissibile perché la violazione del canone della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. è configurabile rispetto a domande o eccezioni di merito (Cass. n. 22592 del 2015; Cass. n. 321 del 2016; Cass. n. 25154 del 2018), non certo rispetto a mere argomentazioni, niente affatto decisive, poste a sostegno della pronuncia impugnata;
conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ult eriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 22 maggio