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Licenziamento dirigente: spese legali e vittoria parziale

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un licenziamento dirigente per riorganizzazione aziendale. Pur confermando la legittimità del recesso, basato sul più ampio concetto di ‘giustificatezza’ e non arbitrarietà, ha accolto il ricorso della lavoratrice su un punto cruciale: le spese legali. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: la parte che ottiene una vittoria anche solo parziale (in questo caso, il riconoscimento di somme non pagate) non può essere condannata a rimborsare le spese legali della controparte. Di conseguenza, la sentenza di merito è stata cassata su questo punto e le spese di tutti i gradi di giudizio sono state interamente compensate tra le parti.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Dirigente: la Vittoria Parziale Annulla la Condanna alle Spese

Il licenziamento dirigente è un’area del diritto del lavoro con regole specifiche, distinte da quelle applicate alla generalità dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su due aspetti fondamentali: la nozione di ‘giustificatezza’ in caso di riorganizzazione aziendale e un principio cruciale in materia di spese processuali in caso di vittoria parziale. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una dirigente di una compagnia assicurativa veniva licenziata a seguito di un’operazione di riorganizzazione interna, precedente a una fusione per incorporazione. La motivazione addotta dall’azienda era la necessità di contenere i costi, migliorare l’efficienza ed evitare la duplicazione di incarichi, accentrando le mansioni della manager in capo ad altri soggetti già operanti nel gruppo societario.

La lavoratrice impugnava il licenziamento, ma la Corte d’Appello lo riteneva legittimo, escludendo il suo diritto a un’indennità supplementare. Inoltre, la Corte territoriale condannava la dirigente al pagamento di due terzi delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio, nonostante le fosse stato riconosciuto il diritto a ricevere il trattamento di fine rapporto e altre spettanze non ancora corrisposte dall’azienda.

Contro questa decisione, la manager proponeva ricorso in Cassazione, lamentando sia l’ingiustificatezza del recesso sia l’errata condanna al pagamento delle spese legali.

La Decisione sul Licenziamento Dirigente

La Corte di Cassazione ha respinto quasi tutti i motivi di ricorso relativi alla legittimità del licenziamento. Ha ribadito un principio consolidato: il recesso dal rapporto di lavoro con un dirigente non è soggetto alle norme limitative della Legge 604/1966. La nozione di ‘giustificatezza’, prevista dalla contrattazione collettiva, non coincide con il ‘giustificato motivo oggettivo’.

Per la Corte, la giustificazione del licenziamento di un dirigente deve essere valutata alla luce dei principi di correttezza e buona fede, bilanciati con la libertà di iniziativa economica garantita dall’articolo 41 della Costituzione. L’imprenditore può riorganizzare l’azienda per renderla più efficiente, e il controllo del giudice non può spingersi fino a sindacare il merito delle scelte imprenditoriali. Il licenziamento è illegittimo solo se risulta arbitrario, pretestuoso o persecutorio. Nel caso di specie, la riorganizzazione volta a ‘contenere i costi ed evitare la duplicazione di incarichi’ è stata ritenuta una scelta organizzativa reale e non pretestuosa, validando così il recesso.

Il Principio Innovativo sulle Spese Legali

La vera svolta della sentenza risiede nell’accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso, quello relativo alla condanna alle spese. La Cassazione, richiamando un importante precedente delle Sezioni Unite (n. 32061/2022), ha affermato un principio di diritto fondamentale: la parte che risulta parzialmente vittoriosa non può essere condannata a rifondere, neppure in parte, le spese legali della controparte.

Nel caso in esame, la dirigente, pur avendo perso sulla questione principale del licenziamento, aveva agito in giudizio anche per ottenere il pagamento di somme (TFR e altre spettanze) che le erano dovute e che l’azienda non aveva corrisposto. Essendo risultata vittoriosa su questa parte della domanda, non poteva essere considerata totalmente soccombente. Pertanto, la condanna a pagare le spese legali inflitta dalla Corte d’Appello era illegittima.

Le Motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha chiarito che il licenziamento di un dirigente non richiede la ricorrenza di un giustificato motivo oggettivo come per gli altri lavoratori. Le scelte di riorganizzazione aziendale sono legittime purché non siano arbitrarie. La valutazione sull’effettività di tali ragioni è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.

Sul punto delle spese, la motivazione è netta. La condanna della parte parzialmente vittoriosa al pagamento delle spese processuali è consentita dall’ordinamento solo in casi eccezionali, come l’accoglimento della domanda in misura non superiore a un’eventuale proposta conciliativa. Al di fuori di queste ipotesi, si applica la regola generale per cui chi ha visto, anche solo in parte, riconosciute le proprie ragioni in giudizio non può subire una condanna che lo penalizzi economicamente per aver tutelato i propri diritti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, conferma l’ampia discrezionalità del datore di lavoro nel licenziamento dirigente per ragioni organizzative, a patto che non siano pretestuose. In secondo luogo, e con maggiore impatto pratico, stabilisce un baluardo a tutela di chi agisce in giudizio. Anche in caso di accoglimento parziale delle proprie domande, il cittadino non dovrà temere di essere condannato a pagare le spese dell’avversario. La Corte ha cassato la sentenza d’appello sul punto delle spese e, decidendo nel merito, ha compensato integralmente i costi di tutti i gradi di giudizio, riequilibrando l’esito economico della lite.

Qual è il criterio per valutare la legittimità di un licenziamento dirigente per riorganizzazione aziendale?
Il licenziamento di un dirigente non richiede un ‘giustificato motivo oggettivo’, ma la ‘giustificatezza’. Questo significa che la decisione del datore di lavoro, basata su ragioni organizzative reali come il contenimento dei costi o l’ottimizzazione dell’efficienza, è legittima a meno che non si dimostri che sia stata arbitraria, pretestuosa o dettata da mala fede.

La riorganizzazione aziendale può consistere nella redistribuzione dei compiti del dirigente a dipendenti di altre società dello stesso gruppo?
Sì. La Corte ha ritenuto legittima la scelta organizzativa che prevedeva la soppressione della posizione dirigenziale e la redistribuzione dei suoi compiti ad altri soggetti già operanti all’interno del gruppo societario, in un’ottica di efficienza e risparmio dei costi, senza che ciò costituisse un motivo di illegittimità del recesso.

Una parte che vince solo su alcune delle sue richieste può essere condannata a pagare le spese legali della controparte?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito chiaramente che la parte che ottiene una vittoria, anche se solo parziale (ad esempio, il riconoscimento di un credito pur perdendo sull’impugnazione del licenziamento), non può essere condannata a rifondere le spese legali della controparte. In questi casi, il giudice può al massimo compensare le spese, ma non porle a carico della parte parzialmente vittoriosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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