Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23659 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23659 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19476-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 491/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/02/2022 R.G.N. 242/2015;
Oggetto
LICENZIAMENTO DIRIGENTE GIUSTIFICATEZZA INDENNITA’ SUPPLEMENTARE
R.G.N. 19476/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 04/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del tribunale, ha dichiarato privo di giustificatezza il licenziamento intimato a COGNOME COGNOME dalla società Gruppo Editoriale l’Espresso S.p.A. in data 9/12/2008 e per l’effetto ha dichiarato che COGNOME aveva diritto di percepire l’indennità supplementare di cui all’art. 27 del CCNL Dirigenti di Aziende Editrici di giornali quotidiani in misura pari a 16 mensilità di retribuzione per complessivi euro 160.664, oltre accessori; ha dichiarato che il lavoratore aveva diritto di percepire a titolo di differenza sul TFR la somma di euro 2034,25, nonché a titolo di differenza sull’indennità dovuta ai sensi dell’articolo 21 lettera B del CCNL, la somma di euro 5841,72, oltre, in entrambi i casi, interessi e rivalutazione dalla data del licenziamento al saldo; ha dichiarato che la società Gruppo editoriale l’Espresso aveva diritto di ripetere da COGNOME la somma di euro 123.871,51 versata in data 24/10/2014 in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi dalla data del pagamento al saldo; ha compensato parzialmente i crediti sopraindicati e condannato la società al pagamento della differenza; ha dichiarato nulla la domanda avanzata dal Di Vito alla lettera N) delle conclusioni di primo grado ed ha regolato le spese del doppio grado e di c.t.u. come in dispositivo, con compensazione di 1/3 e liquidazione per la restante parte a carico della società.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, nonché RAGIONE_SOCIALE con tre motivi
di ricorso ai quali ha resistito NOME COGNOME con controricorso, illustrato da successiva memoria. Il Collegio dopo la decisione ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine previsto dalla legge.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 Cost. comma 2, artt. 3 e 5 l. 604/66 e art. 1375 c.c., nonché degli artt. 21 e 27 CCNL Dirigenti Aziende Poligrafiche, omessa pronuncia per non aver la Corte rilevato che il Dirigente che incassa la somma di cui all’art.27 rinuncia per il solo effetto della ricezione a d impugnare il recesso.
1.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato, atteso che la sentenza impugnata non parla dell’eccezione di rinuncia al ricorso che la ricorrente sostiene di aver sollevato in giudizio senza però documentare se ed in che termini la stessa eccezione fosse stata sollevata in primo grado e poi riproposta in appello, senza di che la censura diventa inammissibile per difetto di specificità e per violazione del divieto di nova in cassazione.
1.2. Nel merito si lamenta in sostanza che la Corte di appello non si sia pronunciata in ordine al versamento dell’indennità ex art. 21 CCNL che ai sensi della art. 27 avrebbe precluso l’impugnativa del recesso. Ma in realtà così non è, posto che la norma contrattuale si può riferire soltanto al procedimento arbitrale disciplinato dallo stesso articolo 27 del CCNL e non all’impugnativa del licenziamento in sede giudiziaria, come si evince anche dalla giurisprudenza di questa Corte intervenuta sull’argomen to (v. Cass. n. 1937/2011), la quale ha statuito che ‘Il dirigente di azienda industriale, che, ai sensi degli artt. 19 e 22 del contratto collettivo di categoria 16 maggio 1985,
integranti una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, abbia adito il collegio arbitrale, senza che a ciò si sia opposta la controparte, per la determinazione dell’indennità supplementare dovuta in ragione della mancanza di giustificazione del proprio licenziamento, non può (salvo che il collegio predetto si sia dichiarato privo di legittimazione a decidere la controversia o che il procedimento non sia pervenuto alla sua conclusione con il lodo o che il relativo patto sia divenuto per qualsiasi ragione inoperante) proporre la medesima azione in sede giudiziaria, non essendo abilitato a trasferire unilateralmente la questione davanti al giudice dopo il compimento di atti incompatibili con la volontà di avvalersi di tale tutela ed in mancanza di una volontà del datore di lavoro contraria all’utilizzazione del procedimento arbitrale messo in moto dal dirigente medesimo; ove questi, invece, non abbia attivato la procedura arbitrale, ben può proporre l’azione giudiziaria, in conformità al principio di alternatività delle tutele consentite in relazione alla specificità delle ipotesi delle controversie di lavoro, ai sensi dell’art. 5, primo comma, legge n. 533 del 1973.’
Con il secondo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 41, 2 comma Cost., artt. 3 e 5 l. 604/66, e dell’art. 1375 c.c. nonché degli artt. 21 e 27 CCNL per non avere il giudice di merito compreso che la posizione del dirigente era stata integralmente eliminata e che tanto bastava ai fini della legittimità del licenziamento del lavoratore.
3.Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. per non aver la Corte di
appello considerato l’avvenuta effettiva soppressione della posizione di lavoro del ricorrente.
3.1. Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati unitariamente per la connessione che li correla. Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Sono inammissibili nella parte in cui sottopongono a censura un accertamento di fatto che la Corte di merito ha operato attraverso una complessa ed articolata valutazione delle prove.
Sono infondati posto che la Corte di appello, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, ha in realtà esaminato il fatto della soppressione del posto, ma non l’ha ritenuto sufficiente e comprovato ai fini della legittimità del licenziamento.
La Corte ha in sostanza accertato la pretestuosità del licenziamento perché ha escluso che la causa del provvedimento estintivo potesse essere il fallimento della realizzazione del progetto SEM; ed inoltre perché la società non aveva dato alcuna prova dell’impossibilità di utilizzare in altro modo la professionalità del Di Vito, pur avendo essa stessa indicato come motivazione de ll’atto estintivo tale impossibilità che era stata contestata dal ricorrente e della quale la società avrebbe dovuto fornire la prova. Un elemento decisivo a supporto della tesi della pretestuosità della motivazione del licenziamento si desumeva inoltre, secondo la Corte, dallo scambio di e-mail avvenuto in data 7/8/2008 fra il COGNOME ed il COGNOME e dalla valutazione della successione temporale degli eventi. Secondo la Corte perciò il licenziamento del ricorrente era dovuto alla posizione di scontro che di Vito aveva assunto nei confronti del COGNOME e non alle ragioni oggettive addotte dalla datrice di lavoro.
Si tratta di valutazioni logiche, idonee a sorreggere il decisum in quanto conformi a diritto e che si sottraggono pertanto alle censure avanzate in ricorso davanti a questo Corte di legittimità.
4.Complessivamente, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.
5.- Sussistono altresì le condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 5500,00 per compensi e € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli altri oneri di legge; ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater d.p.r. numero 115 del 2000, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 4.6.2025
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME