Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10960 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10960 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6949-2024 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1138/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/01/2024 R.G.N. 775/2023;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DIRIGENTE
R.G.N. 6949/2024 Cron. Rep. Ud. 27/03/2025 CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento de lla illegittimità del licenziamento intimato il 9.3.2021 per andamento negativo dell’impresa e per la condanna al pagamento di differenze retributive dovute al riconoscimento anticipato della qualifica di dirigente.
La Corte territoriale -premesso che in caso di licenziamento di un dirigente è necessaria la ricorrenza di una giustificatezza del recesso, che non deve essere pretestuoso o arbitrario – ha rilevato che il quadro probatorio raccolto (di fonte documentale e testimoniale) dimostrava la fondatezza delle ragioni comunicate con la lettera di licenziamento, ossia l’effettiva riorganizzazione aziendale (con soppressione della posizione di General manager assegnata al COGNOME) determinata da difficoltà finanziarie della società. La Corte territoriale ha, inoltre, escluso che il rapporto di collaborazione autonoma avviato nel periodo giugno-agosto 2019 (ossia prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato) fosse simulato, posto che la prova testimoniale non aveva fornito elementi sufficienti a integrare gli indici sintomatici della subordinazione.
Avverso tale sentenza il dirigente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, ‘violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli art. 1175 c.c., 1362 c.c., 1365 c.c., 1366 c.c., 1373 c.c. 1375 c.c., art. 2697 c.c. nonché 39 del CCNL di categoria dei dirigenti e art 2099 c.c. nonché in violazione delle norme e falsa applicazione delle stesse ex artt. 115 c.p.c, 116 c.p.c. 132 c.p.c. e 421 c.p.c.’ avendo, la Corte territoriale, trascurato di rendere una motivazione intellegibile in ordine alla richiesta di pagamento delle differenze retributive (in quanto ha pedissequamente riportato le argomentazioni della sentenza di primo grado) né i giudici di merito hanno preso in considerazione i documenti prodotti, i quali (mail del maggio 2019 concernente il contributo scuola; lettera di assunzione concernente il c.d. long term incentive; art. 39 del CCNL di categoria ) dimostravano pianamente, secondo una agevole interpretazione del tenore testuale, il diritto vantato dal dirigente.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 c.c., 1375 c.c., 2118 c.c., art 2 Costituzione nonché art 24 della Carta Sociale Europea del 3 maggio 1996’ essendo emerso, nel corso del giudizio, che la nuova organizzazione ‘dichiarata’ nella lettera di l icenziamento non aveva trovato conforto nei fatti, avendo la società adottato in concreto un’organizzazione differente da quella esposta e, in concreto, intendendo solamente liberarsi di un dirigente divenuto scomodo. La Corte territoriale avrebbe, dunque, dovuto applicare i principi di buona fede e correttezza e verificare la ricorrenza effettiva delle ragioni addotte nella lettera di recesso.
Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, ‘violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli art. 115 c.p.c., 116 c.p.c. nonché art. 421 c.p.c.’ essendosi limitata, la Corte territoria le, ad una valutazione superficiale e distorta delle prove orali, senza esercitare il prudente apprezzamento e senza ammettere le istanze istruttorie formulate dalla difesa del lavoratore e senza esercitare i poteri d’ufficio ai fini di colmare alcune lacu ne delle risultanze di causa (asserite lampanti alla semplice lettura dei fatti di causa e dei documenti offerti dal dirigente nonché dall’interpretazione corretta delle prove orali).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Nel giudizio di legittimità il ricorrente che proponga una questione giuridica, implicante un accertamento di fatto, non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa ( in tal senso fra le tante Cass. n. 8206/2016; Cass. n. 16706/2018; Cass. n. 16843/2018; Cass. S.U. n. 17532/2018; Cass.n. 25543 del 2018). Detto onere non è stato assolto dal ricorrente il quale, nel lamentare l’omessa considerazione da parte della Corte territoriale delle domande retributive proposte, non deduce né dimostra di avere sottoposto al giudice d’appello la questione della corretta ed esaustiva allegazione di tali pretese, a fronte del rigetto contenuto nella sentenza del giudice di primo grado motivato sulla base della presenza, nel ricorso introduttivo del giudizio, di
un ‘ mero elenco di pretesi privo di allegazioni idonee a consentire di comprendere sulla base di quali presupposti fattuali e giuridici tali domande sono state formulate’. Il ricorrente, invero, insiste sulla produzione documentale svolta, senza considerare che è consolidato il principio di diritto secondo cui, non potendo la produzione documentale equivalere di per sé all’allegazione del fatto di cui il documento è supporto narrativo, non si dà per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione ai fini della decisione di documenti relativi a fatti che non siano stati oggetto di tempestiva e compiuta allegazione (così da ult. Cass. n. 13625 del 2019, 9646 del 2022 e 1084 del 2023, Cass. 14450/2024).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. La censura formulata come violazione e falsa applicazione di legge mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
5.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
6.1. Questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020; nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso, con regolazione delle spese di lite secondo il criterio della soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 marzo