Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18455 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18455 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9487-2021 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 589/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/10/2020 R.G.N. 302/2020;
Oggetto
Licenziamento dirigente per giustificatezza
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in atti, decidendo in sede di rinvio, a seguito della sentenza di questa Corte di cassazione n. 34549/2019 ha dichiarato che il licenziamento irrogato a COGNOME NOME da RAGIONE_SOCIALE era s orretto da ‘giustificatezza’ ed ha pertanto rigettato la domanda avente ad oggetto l’indennità supplementare di cui all’articolo 34 del CCNL dirigenti commercio ed ha condannato la lavoratrice a restituire la somma percepita a tale titolo in esecuzione della sentenza della Corte d’appello annullata dalla sentenza rescindente citata, oltre a accessori e spese.
Ha affermato la Corte di appello (pag. 5 sentenza) che fosse ‘coperta da giudicato l’accertata insussistenza della giusta causa di licenziamento irrogato il 5/6/2014 per carenza di prova in ordine alla effettiva commissione dei fatti addebitati in seguito al rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso (cfr. rispettivamente n.7 e 8 della sentenza della Cassazione).
E che oggetto del giudizio di rinvio, cui il Collegio era vincolato, fosse unicamente l’indagine sulla giustificatezza del licenziamento intimato alla COGNOME con lettera del 5 giugno 2014.
Per compiere tale accertamento la Cassazione aveva quindi rinviato alla Corte di merito in sede di rinvio, come risultava al punto n. 9.5 della sentenza n. 34549/2019, per verificare ‘se la parte datoriale avesse prospettato e dimostrato a fondamento dell’atto di recesso circostanze o elementi ulteriori’.
La Corte di appello tuttavia ha sostenuto che ‘pur non potendosi ritenere dimostrata la realizzazione delle plurime condotte
riportate nella lettera di avvio dell’iter disciplinare ed integranti la giusta causa del recesso (sul punto, va ricordato, si è formato giudicato) – condotte per le quali la COGNOME è stata indagata e poi rinviata a giudizio – si ricava comunque dagli atti che ella è intervenuta nella definizione delle procedure da seguire per la individuazione dei consulenti legali in relazione agli incarichi oggetto di contestazione – come emerge dalle intercettazione ambientali (per es. quella del 12/7/12, richiamata nel foglio 100 della ordinanza del GIP del Tribunale di Milano, nel corso della quale la predetta viene indicata quale responsabile dell’approvazione dello studio di fattibilità in favore dell’AVV_NOTAIO) -tanto è vero che le verifiche eseguite nel corso del procedimento penale hanno condotto alla interdizione della stessa dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e dalla professione di ingegnere. Il fatto che la citata dirigente sia stata destinataria di gravi accuse in forza degli accertamenti posti in essere dalla Autorità penale esclude, attesa la rilevanza della posizione ricoperta dalla stessa nell’ambito della organizzazione aziendale, tenuta a garantire il rispetto della normativa vigente nell’affidamento degli incarichi -l ‘ arbitrarietà e/o la pretestuosità e/o la ritorsività del recesso, essendo ragionevole la decisione datoriale di risolvere il rapporto di lavoro in essere e ciò indipendentemente dall’esito del processo penale e/o dalla sussistenza o meno dei reati ascritti le.’ (primi 2 cp v. p. 6 sentenza)
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con tre motivi di ricorso cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE Le parti hanno comunicato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 38 0bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art.23, comma 5 CCNL dirigenti commercio, atteso che la Corte d’appello si era limitata a ritenere giustificato il licenziamento sulla base della mera sussistenza dei fatti contestati con il richiamo dell’ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari violando la norma dell’articolo 23 comma, 5 del CNL secondo cui il rinvio a giudizio del dirigente per fatti attinenti all’esercizio delle funzioni attribuitegli non giustifica di per sé il licenziamento.
Il licenziamento doveva essere pertanto fondato su ulteriori elementi rispetto a quelli relativi alla sottoposizione del dirigente a procedimento penale.
2.- Con il secondo motivo si prospetta la violazione e/o falsa applicazione dei principi generali in ordine all’onere della prova ed in particolare dell’articolo 1218 c.c. in combinato disposto con l’articolo 5 legge 604/1966, oltre che dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 1362 c.c. e seguenti in ordine all’articolo 34 CCNL dirigenti commercio con riferimento alla prova della sussistenza della giustificatezza del licenziamento, atteso che l’onere di provare la giustificatezza del licenziamento era a carico del datore di lavoro; ma nel caso di specie il datore null’altro aveva contestato, addotto ed allegato nell’atto di recesso all’infuori del richiamo operato all’ordinanza applicativa della misura cautelare 3.- Col terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art.384 c.p.c. non essendosi la Corte d’appello uniformata a quanto statuito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 34549 del 2019 la quale aveva demandato alla Corte di merito di verificare l’esistenza della giustificatezza del licenziamento sulla base di fatti ulteriori a quelli penali -ritenuti non provatiin particolare chiedendo di verificare se ‘la parte datoriale
avesse prospettato e dimostrato a fondamento dell’atto di recesso circostanze o elementi ulteriori pure rilevanti ai fini del giudizio di giustificatezza’.
4.- I tre motivi di ricorso, da trattarsi unitariamente per la connessione delle censure sollevate, sono fondati.
La Corte di appello di Milano ha affermato a fondamento della pronuncia gravata che a seguito della sentenza della Corte della cassazione n. 34549/2019 fosse coperta da giudicato l’accertata insussistenza della giusta causa di licenziamento irrogato il 5/6/2014 per carenza di prova in ordine alla effettiva commissione dei fatti addebitati (in seguito al rigetto del primo e secondo ed alla inammissibilità del quarto motivo di ricorso in sede di giudizio di cassazione). Ed ha rilevato che oggetto del giudizio di rinvio cui il collegio era vincolato fosse dunque unicamente l’indagine sulla giustificatezza del licenziamento intimato alla COGNOME con lettera del 5 giugno 2014, sulla scorta di ulteriori fatti (rispetto a quelli di natura penalistica).
6.- Tanto premesso la Corte d’appello ha però omesso di effettuare alcuna indagine al fine di verificare se la parte datoriale avesse “prospettato e dimostrato circostanze o elementi ulteriori” (rispetto a quelli di natura penalistica) rilevanti ai fini del giudizio di giustificatezza, come aveva richiesto la citata sentenza rescindente della Corte di cassazione.
7.- La Corte di appello si è invece limitata a ritenere legittimo il licenziamento sulla base della diversa rivalutazione (in chiave di giustificatezza) dei medesimi fatti oggetto dell’ordinanza cautelare emessa in sede penale dal giudice per le indagini preliminari (in particolare sulla base delle intercettazioni ambientali) la cui insussistenza in fatto ed irrilevanza sotto il profilo causale e della responsabilità della ricorrente era stata
invece accertata con sentenza, appunto passata in giudicato, a seguito della pronuncia di Cassazione n. 34549/2019, che aveva rigettato i motivi in fatto, proposti avverso la prima sentenza della Corte di appello.
8. Per evidenziare la latitudine del vincolo derivante dal precedente giudicato che si era formato sui fatti ed in particolare sulle stesse intercettazioni, è utile ricordare che, come emerge appunto dalla sentenza della Cassazione n. 34549/2019, con la precedente sentenza n. 1956/2017 la Corte di appello aveva ritenuto ‘non provata la giusta causa di recesso argomentando, in sintesi, come segue. Sia la contestazione, sia il licenziamento avevano fatto riferimento al concorso in un disegno criminoso nella “qualifica di Direttore Generale di RAGIONE_SOCIALE“, una qualifica che pacificamente l’appellante ancora non ricopriva all’epoca dei fatti. La mancata descrizione del suo apporto causale non consentiva di formulare giudizi “in quale veste e in ragione di quali poteri” la COGNOME avesse compiuto le condotte contestate. Il fatto che in data 20 marzo 2014 il GIP di Milano avesse notificato alla società l’ordinanza di applicazione della misura cautelare sulla base dei capi di imputazione ivi riportati non poteva costituire, in sé, proprio per la natura meramente cautelare del provvedimento, giusta causa di recesso, in mancanza di qualsivoglia indagine interna che consentisse di confermare (e poi di provare in giudizio) i fatti contestati in concorso. Non potevano essere addebitate alla lavoratrice le circostanze di cui alle intercettazioni, che non risultavano sufficientemente comprensibili in mancanza di un dimostrato quadro illecito di riferimento, “in assenza di qualsivoglia autonoma verifica da parte del datore di lavoro dei fatti illeciti di cui all’ordinanza cautelare e, di conseguenza, in assenza di qualsivoglia istanza istruttoria nel presente giudizio da parte del
datore di lavoro…” circa la sussistenza del “disegno criminoso” e l’illiceità dell’attribuzione degli incarichi professionali come contestati in sede penale. 4.3. L’assunto difensivo della società RAGIONE_SOCIALE, secondo cui il coinvolgimento di un dirigente in una vicenda penale aveva fatto venir meno, di per sé, il vincolo fiduciario e, comunque, rendeva giustificato il licenziamento, non essendo lo stesso avvenuto per ragioni pretestuose e/o contrarie al principio generale di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro, costituiva “un argomento difensivo recessivo” rispetto al fatto che la società non avesse svolto un’indagine interna diretta a ricostruire in modo autonomo i fatti. 4.4. In conclusione, non poteva ritenersi provata la giusta causa e neppure era possibile formulare un giudizio di giustificatezza del licenziamento del dirigente, poiché i fatti oggetto della contestazione disciplinare devono essere prima allegati e poi provati in giudizio, non essendo sufficiente a tal fine l’emissione della misura interdittiva e il contenuto delle intercettazioni’.
9.Va poi evidenziato che nella medesima sentenza rescindente, la Corte di cassazione aveva pure affermato nella narrativa che i fatti contestati dalla datrice di lavoro fossero stati esclusivamente quelli di fonte penale: ‘In data 20 marzo 2014 aveva ricevuto la notifica di un’ordinanza di misura cautelare, nel contesto del procedimento penale n.818/2011, recante il divieto di esercitare tutte le attività inerenti gli uffici direttivi delle persone giuridiche e la professione di ingegnere. In ragione di ciò, la società RAGIONE_SOCIALE le aveva comunicato la sospensione dal rapporto di lavoro e dalla retribuzione; quindi, in data 16 maggio 2014, richiamando e riproducendo il contenuto dell’ordinanza cautelare, incluso il contenuto delle intercettazioni ambientali e telefoniche dei soggetti coinvolti, le
aveva contestato la partecipazione, in ragione della sua qualifica di Direttore Generale di RAGIONE_SOCIALE, in un fraudolento accordo nell’affidamento di servizi a due legali esterni, attraverso la falsificazione di atti amministrativi correlati agli incarichi affidati agli stessi nel settembre 2011 .’
10.Deve essere ancora evidenziato che la sentenza rescindente della Corte di Cassazione aveva rigettato il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiarando inammissibile il quarto motivo di ricorso, i quali vertevano proprio sulla prova della responsabilità della lavoratrice in base alle intercettazioni ed ha convalidato quanto affermato dal primo giudice secondo cui ‘ da tali fonti non fosse ricavabile una prova sufficiente della effettiva sussistenza e commissione dei fatti addebitati’ (v. punto 8 della sentenza; ma anche punto 7.3.). Dei fatti dunque, non soltanto della giusta causa. Ciononostante, aveva rinviato alla Corte di appello in sede di rinvio per verificare se ‘la parte datoriale avesse prospettato e dimostrato a fondamento dell’atto di recesso circostanze o elementi ulteriori pure rilevanti ai fini del giudizio di giustificatezza’.
Pertanto solo con riferimento ad ulteriori e diversi fatti storici potrebbe essere inteso il dictum appena indicato con cui la sentenza rescindente aveva rinviato la causa ai giudici di merito per verificare se vi fossero circostanze diverse; non per operare una riqualificazione in chiave giuridica dei medesimi fatti insussistenti.
11.- La stessa sentenza qui impugnata esordisce affermando che sulla inesistenza dei fatti contestati fosse calato il giudicato. E tuttavia afferma che gli stessi fatti penali potessero esprimere la giustificatezza del licenziamento pur non essendo sussistenti, pur affermando che la sentenza rescindente chiedeva di accertare se il licenziamento fosse fondato su eventuali
‘circostanze ulteriori’, pur prevedendo il CCNL che ‘il rinvio a giudizio del dirigente per fatti attinenti all’esercizio delle funzioni attribuitegli non giustifica di per sé il licenziamento’; pur essendo sbagliato affermare che la ricorrente (assolta da qualsivoglia accusa in sede penale) fosse stata pure interdetta dato che, invece, come si legge nella stessa precedente sentenza della Cassazione la lavoratrice sarebbe stata soltanto sospesa in via cautelare.
Ora, non solo non stati addotti dal datore, né accertati dai giudici ulteriori fatti, ma le sole intercettazioni e la sola ordinanza del giudice delle indagini preliminari sarebbero state di nuovo sufficienti, secondo la Corte di merito, per ritenere il licenziamento giustificato e comunque non arbitrario o pretestuoso. Non si fa infatti riferimento ad altro nella sentenza: si richiamano soltanto le intercettazioni e l’accusa mossa con l’ordinanza già considerata dai giudici insussistente in fatto.
11.1. Sicché, la Corte territoriale non ha esercitato quei poteri attribuitile quale giudice di rinvio -diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione -ad essa propri, ricorrendo nel caso di specie la terza ipotesi, ossia di potestas iudicandi del giudice di rinvio, che, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, comporta la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione (come con la sentenza rescindente n. 34549/2019 di questa Corte) e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. 24
ottobre 2019, n. 27337; Cass. 14 gennaio 2020, n. 448; Cass. 15 giugno 2023, n. 17240).
12.- Sulla scorta di tali motivi il ricorso va quindi accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla decisione della causa e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione, conformandosi, ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., ai principi di diritto sopra enunciati (punti 6-11).
13.- Non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 15.5.2024