Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20695 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20695 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25012-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA COGNOMEA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME , domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA COGNOMEA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 355/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/10/2023 R.G.N. 937/2022;
Oggetto
Giudizio di rinvio
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, in seguito a rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 17689 del 2022, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME, direttore generale della società, il 10 agosto 2013, con condanna al pagamento di somme a titolo di indennità derivanti dalla dichiarata illegittimità;
i giudici d’appello, in estrema sintesi, hanno ritenuto che ‘in presenza del tipo di statuizione posta alla base della cassazione della sentenza impugnata, per via della sua natura, del suo contenuto e dei suoi effetti vincolanti’ fosse da escludere ‘la possibilità di addivenire a una soluzione diversa da quella impostata’, non essendo ‘rivalutabile la vicenda sotto un profilo di fatto’; conseguentemente ha affermato ‘la completa illegittimità del recesso intimato al COGNOME, sia sotto il profilo dell’ass enza di una giusta causa che della giustificatezza del licenziamento’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente società con un unico motivo, cui ha resistito l’intimato con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
1. il motivo di ricorso denuncia: ‘ex art. 360, n. 5 e n. 3 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c.’; si deduce che ‘la Corte di Appello avrebbe dovuto procedere al nuovo esame della fattispecie e, quindi, in concreto, valutare la legittimità o meno del licenziamento alla luce dei principi enunciati (con carattere vincolante) dalla Suprema Corte e non limitarsi ad affermare (co me, invece, erroneamente ha fatto) l’illegittimità del licenziamento’;
2. il motivo è inammissibile;
con esso, infatti, si invoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., senza tenere in adeguato conto i limiti posti dalle Sezioni unite con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, secondo cui: a) la disposizione richiamata deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso;
il motivo in esame risulta irrispettoso di tali enunciati, in particolare, neanche individuando il fatto storico decisivo, di cui sarebbe stato omesso l’esame da parte della Corte territoriale; la radicale inammissibilità di tale censura travolge anche l’eccepita violazione dell’art. 384 c.p.c., che risulta priva di adeguata specificità, rispetto ad una decisione che, preso atto che i fatti di causa non potevano essere oggetto di un difforme accertamento, ha dato esecuzione ai principi affermati dalla pronuncia cassatoria n. 17689 del 2022;
questa decisione ha statuito in modo vincolante, proprio sulla base dei fatti già accertati, da un lato, come ‘non possa attribuirsi rilevanza disciplinare atta ad integrare di per sé la giusta causa di recesso alla condotta di un lavoratore, dirigente e d irettore generale che, senza neanche rivolgersi all’autorità giudiziaria o amministrativa, si limiti a ipotizzare la configurabilità di illeciti penali o amministrativi, mettendo in guardia i soggetti insieme a lui teoricamente responsabili, e ciò
faccia nelle sedi e con le modalità specificamente previste dall’ordinamento, come negli artt. 2392 e 2396 cod. civ.’, e, d’altro canto, che, avuto riguardo al dirigente che rivesta la qualifica di direttore generale, ‘non integra di per sé la giustificatezza del licenziamento la condotta del dirigente direttore generale che, anche al fine di non incorrere in responsabilità verso la società per atti e comportamenti degli amministratori, eserciti, in maniera non pretestuosa, il diritto al dissenso nelle se di proprie, di cui all’art. 2392 c.c., con modalità non diffamatorie o offensive’;
la sentenza qui impugnata si rivela conforme al dictum così enunciato;
pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 21 maggio