Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13313 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13313 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20148-2024 proposto da:
COGNOME ESTERCOGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 873/2024 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 30/07/2024 R.G.N. 353/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 20148/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
RILEVATO che
1. Con sentenza del 30 luglio 2024, la Corte d’Appello di Catanzaro, confermando la decisione impugnata, ha respinto il reclamo avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato la opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal medesimo Ufficio il 14 aprile 2023, con la quale, all’esito della fase sommaria del giudizio ex art. 1, comma 51, L. n. 92/12, era stato respinto il ricorso proposto dalla dirigente avverso il licenziamento per giusta causa intimatole dalla società RAGIONE_SOCIALE in data 21 settembre 2017.
La Corte, condividendo l’iter decisorio del primo giudice, ha escluso il rilievo dirimente, con efficacia di giudicato, nella fattispecie, della sentenza penale di assoluzione ed ha, al contempo ritenuto non adeguatamente provata, in fatto, la natura pseudodirigenziale del rapporto, che ha ricondotto, tout court, in consonanza con le due fasi precedenti, alla dirigenza, escludendo, altresì, l’assenza di giustificatezza del licenziamento e la ritorsività del motivo posto a fondamento dello stesso.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
2.1. Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
2.2. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli artt.2909 cod. civ. e 652 e 654 cod. proc. civ., asserendosi esser fondata la decisione di secondo grado sull’erroneo presupposto dell’efficacia di giudicato circa l’accertamento della sussistenza del fatto – della sola sentenza irrevocabile di condanna in sede penale e non di quella di assoluzione.
Con il secondo motivo, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ., e comunque per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente apparente.
Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., allegandosi la totale omissione di valutazione delle prove del fatto decisivo.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Va preliminarmente rilevato che, come noto, il codice del 1988 ha abolito la cd. pregiudiziale penale automatica prevista del previgente art. 3, commi 2 e 4, del cod. proc. pen. (nel testo anteriore alla riforma del 198889) ed ha limitato i casi di pregiudizialità penale alle sole ipotesi disciplinate dall’art. 75, comma 3, cod. proc. pen. e dall’art. 211 disp. att. cod. proc. pen., introducendo la sindacabilità, media nte regolamento di competenza di cui all’art. 42 cod. proc. civ. (come sostituito dall’art. 6 della legge n. 353 del 1990), dei provvedimenti di sospensione emessi ex art. 295 cod. proc. civ..
I limiti rispetto a tale disposizione si riscontrano nell ‘ efficacia riservata ai soli fatti materiali, intesi come modifica prodotta nella realtà fisica, in conseguenza di un’azione od omissione (sussistenza del fatto, conseguenze dannose; concorso di colpa), anziché ai fatti giuridici, che sono stati oggetto del giudizio penale e sono comprensivi della condotta, dell’evento, del rapporto di causalità e di ogni altro accertamento contenuto nella motivazione della decisione.
Come è stato osservato da questa Corte (Cfr., fra le più recenti, Cass. n. 2700 del 2024), in ragione della circostanza che ne fa un’eccezione ai principi generali, trattasi di norma che deve sottostare alla regola di una stretta interpretazione: in presenza di una coincidenza soggettiva tra i due giudizi, l’efficacia, dal punto di vista oggettivo, deve ritenersi limitata agli accertamenti relativi a circostanze specifiche costituenti oggetto dell ‘ imputazione, senza estendersi ad aspetti valutativi, ancorché riguardanti elementi costitutivi del reato contestato.
1.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha effettuato una corretta applicazione della norma considerata e, con essa, del disposto di cui all’art. 2909 cod. civ., offrendone una interpretazione in piena consonanza con quella della nomofilachia.
Infatti, si legge nella motivazione che, in disparte la constatazione che l’assoluzione della reclamante nel processo penale poggia sulle due determinanti constatazioni della carenza, in capo alla medesima, della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e della non configurabilità del peculato, ove, come nella specie, si sia di fronte a spese anticipate e rimborsate in un successivo momento, ciò che è determinante è, significativamente, l’assenza di pregiudizialità penale.
A guardar bene, ad avviso del Collegio, proprio gli argomenti portati dall’attuale ricorrente a sostegno della sussistenza di una stretta interdipendenza fra i due procedimenti giocano, alla luce della già richiamata giurisprudenza di legittimità, in senso contrario.
Invero, la ragione della assoluzione risiede nella circostanza della ritenuta carenza in capo alla COGNOME ed al supposto concorrente della medesima, come detto, della qualità di pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio, aspetti, questi, che incidono sulla qualificazione giuridica del fatto (come peculato, appunto) ma non, invece, sulla consistenza materiale del medesimo – peraltro non contestata nella sua essenza salvo che, in grado di appello, con riferimento all’asserita insussistenza della giustificatezza del licenziamento – tanto che lo stesso giudice penale fa riferimento, con riguardo alla eccessività delle spese sostenute, a ‘profili di eventuale responsabilità contabile e, comunque, interna alla società’.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere valutati congiuntamente per reciproca connessione, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l ‘ operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza, contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza della giustificatezza del licenziamento intimato.
2.1. Va preliminarmente rilevato che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis , è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” , ma anche a quella di cui all’art. 348 ter , ult. co . cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014);
quindi, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito, in contrasto sia con i principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. limitando la scrutinabilità al c.d. ‘minimo costituzionale’.
Occorre, poi, evidenziare, quanto ai principi vigenti in tema di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., che l’inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., opera non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cfr., sul punto, Cass. n. 7724 del 2022).
2.2. Con riferimento alla dedotta violazione de ll’ art. 115, va rilevato che, secondo quanto statuito recentemente dalle Sezioni Unite, per dedurre tale violazione, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), mentre, con riguardo alla dedotta v iolazione dell’art. 116 cod. proc. civ., va rilevato che una questione di violazione e falsa applicazione di tale norma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
Nel caso di specie, del tutto inconferente deve reputarsi il richiamo alle disposizioni considerate, atteso che parte ricorrente lamenta esclusivamente una erronea interpretazione delle prove offerte, delle quali, tuttavia, suggerisce un diverso apprezzamento, meramente contrapponendo alla motivazione della Corte la propria diversa interpretazione, senza apportare elementi che possano indurre a reputare la prima implausibile.
2.3. Va, infine, rilevato, con particolare riguardo alla violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. ed alla denunziata motivazione apparente, che questa Corte ha affermato che in caso di censura per
motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020);
Occorre poi sottolineare, quanto alla ritenuta responsabilità disciplinarmente rilevante, che, come costantemente affermato in sede di legittimità (cfr., sul punto, fra le più recenti, Cass. n. 381 del 2023) in tema di licenziamento disciplinare del dirigente, ciò che viene in rilievo è la giustificatezza che non si identifica con la giusta causa.
Ne deriva che, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento del dirigente non deve necessariamente costituire una extrema ratio , da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l ‘ affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente.
Non si pone, pertanto, un problema di proporzionalità della sanzione ma di accertamento di comportamenti che hanno determinato la perdita della fiducia, e la Corte distrettuale ha riscontrato, con motivazione non implausibile, la condotta contestata, ritenendola appunto grave ed idonea a turbare il legame di fiducia con il datore di lavoro, con valutazione che deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
3. Appare evidente che tutte le censure, veicolate per il tramite dell’art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., in realtà corrono lungo i binari della censura fattuale, in quanto mirano ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.
Parte ricorrente, infatti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede, in realtà, alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni
raggiunte con riguardo alla sussistenza della lamentata violazione del rapporto fiduciario, mentre le argomentazioni da essa apportate si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali , mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto, tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di merito, inerente al contenuto dell’accertamento compiuto con riguardo alla voluttuarietà ed eccessività delle spese effettuate e, conseguentemente, alla ritenuta giustificatezza del licenziamento intimato.
Conclusivamente, parte ricorrente, nel propugnare una diversa interpretazione delle risultanze probatorie, oblitera quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn. 3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve, quindi, essere respinto.
4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese di lite, che liquida in euro 6.000,00 per compensi e euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nell’Adunanza camerale del 15 aprile 2025.
La Presidente
NOME COGNOME