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Licenziamento collettivo: pool di lavoratori limitato

Una società di consulenza tecnologica ha effettuato un licenziamento collettivo limitando la selezione dei dipendenti alla sola sede di una città, escludendo personale con professionalità comparabili di altre sedi. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1844/2024, ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando l’illegittimità del licenziamento. È stato ribadito il principio secondo cui, nel licenziamento collettivo, la platea dei lavoratori da considerare deve estendersi all’intero complesso aziendale, a meno che non sussistano comprovate e specifiche esigenze tecnico-produttive che giustifichino una limitazione, onere probatorio non assolto dall’azienda. Di conseguenza, è stata confermata la tutela reintegratoria per il lavoratore.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento collettivo: perché limitare la scelta a una sola sede è illegittimo

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di licenziamento collettivo: la platea dei lavoratori tra cui scegliere chi licenziare deve, di regola, includere l’intero complesso aziendale. Limitare la selezione a una singola sede o reparto è possibile solo in presenza di precise e comprovate esigenze tecniche e organizzative. In caso contrario, il licenziamento è illegittimo e scatta la tutela reintegratoria.

I fatti del caso: una riorganizzazione aziendale limitata

Una società operante nel settore delle telecomunicazioni, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, avviava un licenziamento collettivo. Tuttavia, l’azienda decideva di limitare la platea dei dipendenti coinvolti ai soli lavoratori della sede di una specifica città, sostenendo che le professionalità presenti in altre sedi non fossero comparabili o che un eventuale trasferimento avrebbe comportato costi eccessivi.

Un lavoratore licenziato impugnava il provvedimento. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello gli davano ragione, dichiarando l’illegittimità del licenziamento. I giudici di merito accertavano che, in realtà, nelle altre sedi dell’azienda esistevano professionalità del tutto fungibili e che la motivazione addotta dall’impresa per limitare la scelta era generica e non provata. La società, quindi, proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte sul licenziamento collettivo

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ripercorso i principi consolidati in materia, sottolineando come la regola generale imposta dalla Legge n. 223/1991 sia quella di considerare l’intero “complesso aziendale” come base per la selezione dei lavoratori da licenziare.

La violazione di questo criterio non costituisce un vizio meramente formale o procedurale, bensì una violazione sostanziale dei criteri di scelta, che determina l’applicazione della sanzione più grave: la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno.

Le motivazioni della Cassazione

Il principio del “complesso aziendale”

La Corte ha ribadito che l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire avendo riguardo al “complesso aziendale”. Una deroga a questo principio è ammissibile solo se l’azienda dimostra l’esistenza di oggettive esigenze tecnico-produttive che giustifichino la restrizione della platea a un determinato reparto, settore o sede territoriale. Tali ragioni devono essere specifiche, coerenti con la comunicazione di avvio della procedura e non basate su motivazioni standardizzate o generiche.

L’onere della prova a carico dell’azienda

È onere del datore di lavoro provare non solo le ragioni che limitano i licenziamenti a una specifica unità, ma anche l’impossibilità di utilizzare i dipendenti in esubero in altre mansioni o sedi. Nel caso di specie, l’azienda non ha fornito tale prova; al contrario, le testimonianze e i documenti hanno dimostrato la piena fungibilità tra i lavoratori della sede soppressa e quelli delle altre sedi.

Violazione sostanziale e non solo formale

La Corte ha chiarito che l’errata delimitazione della platea dei licenziabili non è un mero errore di procedura, ma una vera e propria “violazione dei criteri di scelta” previsti dalla legge. Quando i criteri sono applicati a un gruppo di lavoratori illegittimamente ristretto, la procedura risulta viziata nella sua sostanza. Questo vizio comporta l’applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), come modificato dalla Legge Fornero.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale a tutela dei lavoratori, imponendo alle aziende che affrontano una riorganizzazione di agire con la massima trasparenza e correttezza. Non è sufficiente addurre generiche difficoltà organizzative o costi aggiuntivi per limitare la comparazione dei dipendenti a una sola sede. Le imprese devono dimostrare in modo rigoroso e puntuale le ragioni tecniche che impediscono una valutazione su scala nazionale, al fine di garantire che i processi di ristrutturazione abbiano il minor impatto sociale possibile.

In un licenziamento collettivo, un’azienda può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a una sola delle sue sedi?
No, di regola la platea dei lavoratori da considerare deve estendersi all’intero complesso aziendale. Una limitazione è ammessa solo se l’azienda prova l’esistenza di specifiche ed oggettive esigenze tecnico-produttive che la giustifichino, e che tali ragioni siano state chiaramente indicate nella comunicazione di avvio della procedura.

Cosa succede se l’azienda applica i criteri di scelta a una platea di lavoratori ingiustificatamente ristretta?
Si configura una violazione sostanziale dei criteri di scelta, non un mero vizio procedurale. La conseguenza è l’illegittimità del licenziamento e l’applicazione della tutela reintegratoria, che comporta l’obbligo per l’azienda di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e di risarcirgli il danno.

La circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore richiederebbe un trasferimento in un’altra sede è una ragione valida per escluderlo dalla comparazione?
No, la Corte ha specificato che la necessità di un trasferimento, con i relativi costi o interferenze sull’assetto organizzativo, non è di per sé una ragione sufficiente per escludere la comparazione tra lavoratori di sedi diverse. La legge mira a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, e non si può escludere a priori che un lavoratore preferisca il trasferimento alla perdita del posto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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