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Licenziamento collettivo: l’intera azienda va inclusa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1948/2024, ha confermato l’illegittimità di un licenziamento collettivo in cui un’azienda aveva limitato la platea dei lavoratori da selezionare a una sola sede. La Corte ha ribadito che, salvo specifiche e comprovate esigenze tecnico-produttive, la comparazione deve avvenire sull’intero complesso aziendale. La distanza geografica e i costi di trasferimento non sono, di per sé, ragioni sufficienti a derogare a questo principio, configurando una violazione sostanziale dei criteri di scelta che comporta la reintegrazione del lavoratore.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento collettivo: la Cassazione ribadisce l’obbligo di considerare l’intero complesso aziendale

Con la recente ordinanza n. 1948 del 18 gennaio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto del lavoro: l’ambito di applicazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo. La decisione conferma un orientamento ormai consolidato, sottolineando che la platea dei lavoratori da comparare non può essere arbitrariamente limitata a una singola sede, ma deve estendersi, di norma, all’intero complesso aziendale. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti per datori di lavoro e dipendenti coinvolti in procedure di ristrutturazione aziendale.

Il caso: licenziamento limitato a una sola sede

Una società operante nel settore tecnologico, nell’ambito di una procedura di ristrutturazione, avviava una procedura di licenziamento collettivo. Tuttavia, l’azienda decideva di limitare la selezione dei lavoratori da licenziare esclusivamente al personale impiegato presso la sede di L’Aquila. Un lavoratore licenziato impugnava il recesso, sostenendo l’illegittimità di tale limitazione.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di L’Aquila davano ragione al lavoratore. I giudici accertavano che le professionalità presenti nella sede soppressa erano del tutto comparabili a quelle di altre sedi della società. La comunicazione di avvio della procedura, incentrata unicamente sulla dislocazione geografica del personale, era stata ritenuta insufficiente e standardizzata. Veniva quindi dichiarato illegittimo il licenziamento, con ordine di reintegra del lavoratore e condanna al risarcimento del danno.

I motivi del ricorso e il licenziamento collettivo in Cassazione

L’azienda ricorreva in Cassazione, affidandosi a sei motivi di ricorso. Tra i principali, sosteneva che la comparazione tra dipendenti di sedi geograficamente distanti centinaia di chilometri fosse inesigibile e contraria alle esigenze organizzative. Contestava inoltre che la violazione commessa, se mai esistente, dovesse considerarsi meramente formale e sanzionabile con una tutela solo risarcitoria, e non con la più gravosa reintegrazione nel posto di lavoro.

La violazione dei criteri di scelta

Il cuore della questione legale risiede nell’interpretazione degli articoli 4 e 5 della Legge n. 223/1991. L’azienda riteneva che la limitazione geografica fosse giustificata da ragioni organizzative. Il lavoratore, al contrario, sosteneva che tale limitazione violasse i criteri di scelta, poiché impediva una corretta comparazione con colleghi di altre sedi aventi professionalità fungibili.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le sentenze dei gradi precedenti e fornendo chiarimenti fondamentali.

Il principio del “complesso aziendale”

La Cassazione ha ribadito con forza il principio secondo cui, in tema di licenziamento collettivo, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale deve essere individuata con riferimento al “complesso aziendale”. Una limitazione a un singolo reparto, settore o sede territoriale è ammissibile solo in presenza di oggettive esigenze tecnico-produttive che devono essere:
1. Coerenti con le ragioni indicate nella comunicazione di avvio della procedura (ex art. 4, comma 3, L. 223/1991).
2. Provate dal datore di lavoro.

La Corte ha specificato che la mera circostanza della distanza territoriale o dei costi aggiuntivi derivanti da un eventuale trasferimento non costituisce, di per sé, una valida ragione per escludere la comparazione su scala nazionale. La legge mira a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, e non si può escludere a priori che un lavoratore preferisca il trasferimento alla perdita del posto di lavoro.

Violazione sostanziale e non meramente formale

La Corte ha inoltre chiarito un punto decisivo riguardo alla sanzione. L’illegittima delimitazione della platea dei licenziabili non è una semplice incompletezza formale della comunicazione (violazione procedurale), ma rappresenta una diretta violazione dei criteri di scelta (violazione sostanziale). Di conseguenza, la sanzione applicabile non è la mera tutela indennitaria, ma quella reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori, come novellato dalla Legge Fornero. Questo perché una platea ristretta in modo illegittimo vizia alla radice l’intero processo di selezione, rendendolo ingiusto.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un principio di garanzia fondamentale per i lavoratori. In un licenziamento collettivo, il datore di lavoro non può operare scelte discrezionali limitando il perimetro di selezione senza ragioni oggettive, specifiche e dimostrabili. La comunicazione ai sindacati deve essere trasparente e dettagliata, spiegando non solo perché si intende sopprimere certi posti, ma anche perché non è possibile ricollocare il personale in altre unità produttive. In assenza di queste rigorose giustificazioni, il licenziamento è illegittimo e la tutela per il lavoratore è quella massima della reintegrazione.

In un licenziamento collettivo, un’azienda può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a una sola sede o reparto?
No, di norma la scelta deve basarsi sull’intero “complesso aziendale”. Una limitazione è possibile solo se l’azienda dimostra l’esistenza di oggettive e specifiche esigenze tecnico-produttive che giustifichino tale restrizione, e queste ragioni devono essere state chiaramente esposte nella comunicazione di avvio della procedura ai sindacati.

La distanza geografica tra le sedi aziendali è una ragione sufficiente per limitare la platea dei lavoratori da comparare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la distanza geografica o i costi connessi al trasferimento del personale non sono, di per sé, motivi sufficienti per limitare la platea. La legge privilegia la salvaguardia del posto di lavoro e non si può presumere che un lavoratore non accetti un trasferimento.

Qual è la sanzione se un’azienda limita illegittimamente la platea dei lavoratori in un licenziamento collettivo?
La sanzione è la tutela reintegratoria. Limitare illegittimamente la platea è considerato una violazione sostanziale dei criteri di scelta (art. 5 della L. 223/1991), non un mero vizio procedurale. Pertanto, il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il risarcimento del danno, come previsto dall’art. 18, comma 4, della Legge 300/1970.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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