Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23197 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23197 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9096-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 885/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/02/2024 R.G.N. 709/2023;
Oggetto
Licenziamento collettivo
R.G.N. 9096/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Con la sentenza n. 885/2024 la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti irrogati ai lavoratori in epigrafe indicati, dichiarando estinti i rapporti di lavoro degli stessi alla data del recesso e condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di ciascuno di essi, di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre accessori e spese di lite.
I lavoratori avevano lavorato ininterrottamente, in qualità di operai addetti alle pulizie dell’ipermercato RAGIONE_SOCIALE sito all’interno del Centro Commerciale Campania di Marcianise, dal 30 luglio 2012 al 29 giugno 2018, essendo adibiti al medesimo appalto affidato alle diverse società che si erano succedute nel tempo: precisamente era stati assunti dalla RAGIONE_SOCIALE il 30 luglio 2012, erano poi transitati alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE il 16 luglio 2016 e, da ultimo, il 2 gennaio 2017, erano passati alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE a seguito di una procedura di passaggio di cantiere, con inquadramento nel 3° livello (per Vallosco) e nel 2° (per tutti gli altri) del vigente CCNL per il personale; i licenziamenti oggetto di giudizio erano stati intimati all’esito di una procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223 del 1991 avviati dalla RAGIONE_SOCIALE con lettera dell’11.5.2018 a causa della imminente cessazione dell’attività della RAGIONE_SOCIALE e con nota del 4 luglio 2018 la società aveva trasmesso alle parti sociali una tabella
contenente solo i nominativi e i dati anagrafici dei sette dipendenti, facendo coincidere la platea dei lavoratori da licenziare con l’intero organico degli addetti all’appalto di pulizia dell’ipermercato RAGIONE_SOCIALE ed omettendo qualsiasi comparazione con altri dipendenti.
In sede di reclamo i lavoratori avevano contestato la decisione del primo giudice, con la quale era stata respinta la domanda di impugnativa del licenziamento collettivo loro intimato, sostenendo che vi era stata una assoluta discrezionalità, da parte della datrice di lavoro nel licenziarli e che, come era emerso negli atti di causa, vi era piena fungibilità tra tutte le unità lavorative alle dipendenze della società cosicché non era stata legittima la scelta di limitare i licenziamenti al solo personale addetto ad un cantiere e che doveva ritenersi integrata una ipotesi di trasferimento di azienda, ai sensi del co. 3 dell’art. 29 D.lgs. n. 276/2003 tale da ritenere il loro rapporto di lavoro interrotto fin dal luglio 2012.
I giudici di seconde cure, premessa l’applicabilità del cd. rito Fornero in ordine alle modalità della decisione, hanno rilevato che la mera inerenza dei rapporti di lavoro ad un appalto non costituiva, in sé, una valida ragione per circoscrivere gli effet ti di un esubero strutturale dell’azienda e che, quindi, l’applicazione dei criteri di scelta doveva essere effettuata sull’intero compendio aziendale e non sulla singola unità produttiva, come invece avvenuto nella fattispecie in esame; ne conseguiva la violazione dei criteri di scelta e la illegittimità dei licenziamento per violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991, con il riconoscimento delle tutele di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 10 D.lgs. n. 23/2015, come
sopra riportate. I giudici di appello hanno, infine, escluso la sussistenza di una ipotesi di trasferimento di azienda.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui hanno resistito con controricorso i lavoratori in epigrafe indicati; NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno invece svolto attività difensiva.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 legge n. 223/91 nonché la violazione dell’art. 112 cpc, per essere la Corte territoriale incorsa in un vizio di extra-petizione in quanto la contestazione dei lavoratori, circa il compendio aziendale cui fare riferimento per la violazione dei criteri di scelta, era stato delimitato ai soli appalti della società nel RAGIONE_SOCIALE di Marcianise e non a tutti quelli di cui era titolare su tutto il territorio nazionale.
Il motivo non è fondato.
In materia di procedimento civile, il divieto di ultra o extrapetizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (cfr. Cass. n. 12943/2012); non si ha, pertanto, vizio di ultra o extra petizione se dalla pronuncia non derivino effetti sostanziali più ampi di quelli richiesti dalla parte, e
sempreché il giudice si mantenga nell’ambito dei fatti allegati e ritualmente acquisiti al processo.
Nella fattispecie in esame la Corte territoriale si è mantenuta, con le proprie statuizioni, nel perimetro delle richieste avanzate dai lavoratori e ha svolto la comparazione, premessa la fungibilità delle prestazioni lavorative, avendo riguardo a risultanze processuali (ritenute non contestate) in ordine alle circostanze che la RAGIONE_SOCIALE operava esclusivamente nel settore delle pulizie ed occupava, nel luglio del 2018, circa 1800 dipendenti su tutto il territorio nazionale, tra cui 40 impegnati nello stesso Centro Commerciale addetti alle pulizie delle gallerie commerciali, degli spazi esterni e dei servizi igienici.
Non vi è stata, pertanto, da parte dei giudici di merito, alcuna interferenza nel potere dispositivo delle parti, né alcuna alterazione degli obiettivi dell’azione ovvero sostituzione dei fatti costitutivi della pretesa, o infine, emissione di un provvedimento diverso da quello richiesto, oppure attribuzione o negazione di un bene della vita diverso da quello conteso.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 legge n. 223/91, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per non avere considerato la Corte territoriale che, nella fattispecie in esame, non si trattava di una semplice perdita di appalto con subentro di un nuovo soggetto appaltatore, bensì di un recesso del rapporto senza alcun subentro, per la chiusura dell’attività dell’esercizio cui i lavorat ori erano addetti alle pulizie da almeno quattro mesi.
Con il terzo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223/1991, per avere errato la Corte di merito nella interpretazione del concetto di subentro dei lavoratori, da effettuarsi su tutto il territorio nazionale, quando invece le stesse Organizzazioni sindacali non avevano mai sollevato il problema di estendere la procedura anche all’a ltro appalto, di cui era titolare essa RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito dello stesso Centro Commerciale e riguardante la pulizia delle gallerie commerciali, degli spazi esterni e dei servizi igienici.
Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 legge n. 223/1991 nonché dell’art. 4 del CCNL Multiservizi, per non avere valutato la Corte territoriale che i lavoratori licenziati erano ancorati al solo appalto presso il punto RAGIONE_SOCIALE da oltre quattro mesi e che tale esercizio commerciale era da sopprimere.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, non sono fondati.
Appurato che la società, che opera esclusivamente nel settore delle pulizie, nel luglio del 2018 occupava circa 1.800 dipendenti su tutto il territorio nazionale, di cui 40 addetti all’altro appalto presso lo stesso Centro Commerciale di Marcianise, correttamente la Corte territoriale, in assenza di allegazione e di prova su specificità professionali e/o competenze del personale addetto alle pulizie presso l’RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto la insussistenza di un valido motivo oggettivo che giustificasse la delimitazione della platea dei licenziabili ai soli addetti all’appalto cessato.
La statuizione è in linea con il precedente di legittimità secondo cui, in tema di licenziamenti collettivi, ai fini
dell’applicazione dei criteri di scelta dettati dall’art. 5 della l. n. 223 del 1991, la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità deve avvenire nell’ambito dell’intero complesso organizzativo e produttivo ed in modo che concorrano lavoratori di analoghe professionalità (ai fini della loro fungibilità) e di similare livello, rimanendo possibile una deroga a tale principio solo in riferimento a casi specifici, ove sussista una diversa e motivata esigenza aziendale, onde evitare che il datore di lavoro finalizzi surrettiziamente detti criteri, eventualmente in collegamento con preventivi spostamenti di personale, all’espulsione di elementi non graditi, senza che questi abbiano concrete possibilità di difesa; ne consegue l’illegittimità della scelta in ragione dell’impiego dei lavoratori da porre in mobilità in un reparto soppresso o ridotto, senza tener conto del possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altri settori aziendali (Cass. n. 33889/2022, richiamato dagli stessi giudici di appello).
E’ stato anche affermato, sempre da questa Corte, che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo, atteso che, ove manchi o sia viziato l’accordo sui criteri di scelta con le organizzazioni sindacali, operano i criteri legali sussidiari previsti dall’art. 5, comma 1, della l. n. 223 del 1991, che non contempla tra i suoi parametri la
sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro (Cass. n. 32387/2019).
Le doglianze di cui ai su esposti motivi non sono, pertanto, meritevoli di accoglimento in quanto è condivisibile l’assunto della Corte di appello che ha sottolineato che la mera inerenza dei rapporti di lavoro ad un appalto non costituisca in sé una valida ragione per circoscrivere gli effetti di un esubero strutturale dell’azienda ai soli dipendenti addetti all’appalto cessato.
Né, infine, è pertinente il richiamo all’art. 4 del CCNL Multiservizi, per limitare la platea dei licenziabili all’appalto cessato, perché tale disposizione regola le modalità di subentro (Cass. n. 5373/2019) della nuova impresa alla precedente, per effetto della scadenza del contratto di appalto, secondo le ipotesi di cessazione di appalto ma non può incidere sul momento funzionale del rapporto di lavoro e, in particolare sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, ai sensi dell’art. 5 legge n. 223 /91 che, attraverso il doppio richiamo operato alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, comporta che la riduzione del personale debba, in linea generale, investire l’intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami d’azienda soltanto se caratterizzati da autonomia e
specificità delle professionalità utilizzate (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22824).
Con il quinto motivo parte ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, della violazione degli artt. 3 e 10 D.lgs. n. 23/2015, per avere la Corte territoriale erroneamente ancorato la determinazione della indennità risarcitoria ad un elemento (la violazione d ell’art. 5 legge n. 223/91 che nel passato regime normativo avrebbe condotto alla reintegra dei lavoratori) poi abrogato.
Il motivo è inammissibile perché non coglie nel segno della gravata decisione che ha fatto sì riferimento alla circostanza che, secondo il previgente regime di tutela dei licenziamenti sarebbe stata disposta la reintegra nel posto di lavoro in caso di viol azione dell’art. 5 legge n. 223/1991, ma ha comunque parametrato la determinazione della indennità ai criteri della anzianità di servizio dei lavoratori e alle dimensioni della attività produttiva della società.
Si verte, pertanto in un giudizio rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, costituente apprezzamento di fatto adeguatamente argomentato, sindacabile nei limiti consentiti dall’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c., tempo per tempo vigente: violazione, questa, non ravvisabile nel caso di specie perché, nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, non violato nella statuizione della Corte territoriale.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo, con distrazione in favore del Difensore dei controricorrenti dichiaratosi antistatario; nulla per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore dei controricorrenti; nulla per gli altri intimati che non hanno svolto attività difensiva. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 aprile 2025