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Licenziamento collettivo: limiti scelta dipendenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1972/2024, ha confermato l’illegittimità di un licenziamento collettivo in cui un’azienda aveva limitato la selezione dei dipendenti da licenziare a una sola sede. La Corte ha ribadito che la platea dei lavoratori deve estendersi all’intero complesso aziendale, a meno che non sussistano specifiche e comprovate ragioni tecnico-produttive. La violazione di questo principio non è un vizio formale ma sostanziale, comportando il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Collettivo: Quando la Scelta dei Lavoratori è Illegittima?

Il licenziamento collettivo è uno degli strumenti più delicati a disposizione delle imprese in fase di riorganizzazione. La sua corretta applicazione richiede il rispetto di procedure rigorose, volte a bilanciare le esigenze aziendali con la tutela dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 1972/2024) ha ribadito un principio fondamentale: la scelta dei lavoratori da licenziare non può essere arbitrariamente limitata a una singola sede, ma deve, di norma, estendersi all’intero complesso aziendale. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: La Chiusura di una Sede e il Ricorso

Una società operante nel settore tecnologico avviava una procedura di licenziamento collettivo che interessava esclusivamente i dipendenti della sede di L’Aquila. Un lavoratore, raggiunto dal provvedimento di recesso, impugnava il licenziamento sostenendone l’illegittimità. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello gli davano ragione, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro. Secondo i giudici di merito, l’azienda aveva illegittimamente ristretto la platea dei lavoratori da comparare alla sola sede interessata dalla riorganizzazione, senza fornire una valida giustificazione tecnico-produttiva. Le prove raccolte, infatti, dimostravano la presenza di professionalità del tutto simili in altre sedi della società e la fungibilità delle mansioni tra i diversi settori produttivi aziendali.

Il Licenziamento Collettivo e la Delimitazione della Platea dei Lavoratori

Il cuore della questione ruota attorno all’individuazione della cosiddetta “platea dei licenziabili”, ovvero l’insieme dei lavoratori tra cui scegliere chi licenziare. La legge (L. 223/1991) stabilisce che i criteri di scelta (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive) devono essere applicati in relazione all'”intero complesso aziendale”.

Questo significa che il datore di lavoro deve comparare tutti i dipendenti con profili professionali omogenei, a prescindere dalla loro collocazione geografica. Una limitazione a un singolo reparto o a una singola sede è ammessa solo in via eccezionale e a due condizioni:

1. Devono esistere oggettive esigenze tecnico-produttive e organizzative che la giustifichino.
2. Tali esigenze devono essere specificate in modo dettagliato e trasparente sin dalla comunicazione di avvio della procedura ai sindacati, per permettere un confronto effettivo.

L’azienda, non soddisfatta della decisione della Corte d’Appello, proponeva ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione della normativa sulla selezione dei lavoratori.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando le decisioni dei gradi precedenti e offrendo chiarimenti cruciali.

In primo luogo, la Corte ha ribadito il principio generale: la platea di comparazione deve essere aziendale. Qualsiasi deroga a questo principio costituisce un’eccezione che deve essere rigorosamente provata dal datore di lavoro. Non sono sufficienti motivazioni generiche o standardizzate, come quelle addotte dalla società nel caso di specie, che si limitavano a fare riferimento alla dislocazione geografica del personale.

In secondo luogo, la Cassazione ha sottolineato che l’eventuale aggravio di costi per trasferire un lavoratore da una sede all’altra non è una ragione valida per limitare la platea. La normativa sui licenziamenti collettivi mira a ridurre l’impatto sociale delle crisi aziendali, e non si può escludere a priori che un lavoratore preferisca il trasferimento alla perdita del posto di lavoro.

Infine, e questo è il punto più rilevante, la Corte ha qualificato l’illegittima restrizione della platea come una violazione dei criteri di scelta (art. 5, L. 223/1991) e non come una mera violazione procedurale (art. 4). Questa distinzione è fondamentale per le conseguenze sanzionatorie. Mentre una violazione procedurale comporta una tutela solo risarcitoria, la violazione dei criteri di scelta determina l’applicazione della tutela reintegratoria, la più forte prevista dall’ordinamento, che obbliga il datore di lavoro a riammettere il lavoratore in servizio e a risarcirgli il danno subito.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale a forte tutela dei lavoratori coinvolti in procedure di riduzione del personale. Il messaggio per le aziende è chiaro: la scelta di chi licenziare deve avvenire su basi trasparenti e oggettive, estendendo la comparazione a tutti i dipendenti con mansioni fungibili nell’intera organizzazione. Limitare il perimetro di selezione è una scelta rischiosa che, se non sorretta da prove concrete e specifiche, espone l’azienda alla sanzione più grave: l’obbligo di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato.

In un licenziamento collettivo, un’azienda può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a una sola sede?
Sì, ma solo a condizioni molto rigide. L’azienda deve dimostrare l’esistenza di specifiche ed oggettive esigenze tecnico-produttive che giustifichino tale limitazione. Queste ragioni devono essere chiaramente indicate nella comunicazione di avvio della procedura e non possono essere generiche.

Cosa succede se un’azienda limita illegittimamente la platea dei lavoratori in un licenziamento collettivo?
Secondo la Cassazione, limitare illegittimamente la platea dei lavoratori non è una mera violazione procedurale, ma una violazione sostanziale dei criteri di scelta. Di conseguenza, la sanzione applicabile è la tutela reintegratoria, che comporta l’obbligo per il datore di lavoro di riassumere il lavoratore e risarcirgli il danno.

L’aumento dei costi per trasferire un lavoratore è una ragione valida per escluderlo dalla comparazione in un licenziamento collettivo?
No. La Corte ha ribadito che la legge non considera i costi aggiuntivi legati al trasferimento di personale come un valido motivo per limitare la comparazione. L’obiettivo della normativa è minimizzare l’impatto sociale della ristrutturazione, e non si può escludere a priori che un lavoratore preferisca trasferirsi piuttosto che perdere il posto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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