Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6580 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6580 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20534-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LICENZIAMENTO RAPPORTO PRIVATO
R .G.N. 20534/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 1218/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/06/2020 R.G.N. 1631/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2023 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato inefficace il licenziamento intimato a NOME COGNOME in data 7.8.2014, e, per l’effetto, condannato RAGIONE_SOCIALE alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con adibizione alle mansioni svolte all’atto del licenziamento o ad altre equivalenti, e al risarcimento del danno mediante versamento di un’indennità pari alle mensilità di retribuzione maturate dalla data del licenziamento sino alla data dell’effettiva reintegra, da determinare in base alle tabelle paga tempo per tempo in vigore per il personale inquadrato al livello F del RAGIONE_SOCIALE, oltre accessori, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali maturati sulle somme versate a titolo risarcitorio; ciò in riforma di sentenza del Tribunale di Latina, reclamata dalle parti in via principale e incidentale, che, in sede di opposizione alla decisione di rigetto delle domande del lavoratore resa in esito alla fase sommaria nel rito di cui alla legge n. 92/2012, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento e condannato la società al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
a fondamento della decisione, per quanto rileva in questa sede, la Corte distrettuale ha, in particolare, osservato che:
il lavoratore era dipendente RAGIONE_SOCIALE (poi incorporata in RAGIONE_SOCIALE) dal 2004 con mansioni di operaio addetto all’imbottigliamento presso lo stabilimento di Pontinia; che il 14.7.2014 aveva ricevuto comunicazione ex art. 7 legge n. 604/1966, nella quale si affermavano la necessità oggettiva di riduzione del personale, la soppressione del posto di lavoro, l’impossibilità di utilizzazione come autista o operaio imbottigliatore; che il lavoratore aveva sostenuto la nullità del licenziamento per violazione degli artt. 4 e 24 legge n. 223/1991, atteso che nell’arco di 120 giorni la società aveva licenziato 7 lavoratori nel sito di Pontinia (LT), 7 in quello di Roma -Malagrotta, 4 in quello di Cesa (CE) e 2 in quello di Sovicille (SI), non essendo gli stabilimenti di Pontinia, Cesa e Sovicille unità produttive autonome, in quanto ogni decisione organizzativa ed amministrativa faceva capo alla sede legale di Roma-Malagrotta; che, quantunque nello stabilimento di Pontinia, in provincia di Latina, fossero stati intimati soltanto 4 licenziamenti, doveva comunque, contrariamente a quanto ritenuto in primo grado, ritenersi la rilevanza del limite territoriale di cui all’art. 24 legge n. 223/1991 (ai fini dell’obbligo di seguire le procedure previste per i licenziamenti collettivi) soltanto se i lavoratori licenziati appartengono a più unità produttive, ma non, come nel caso di specie, se i lavoratori licenziati, anche se assegnati a stabilimenti situati in province diverse, appartengono alla medesima unità produttiva; che, in assenza di direttore di stabilimento o di personale con funzioni direttive nel sito di Pontinia, semplice deposito, si doveva escludere la sua natura di autonoma unità produttiva, perché tale sito non aveva indipendenza tecnico-amministrativa, ma svolgeva attività strumentale; che, di conseguenza, il licenziamento era inefficace per mancata attivazione della procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24 legge n.
223/1991, con applicazione della tutela di cui all’art. 18, comma 1, St. lav.;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria; ha resistito con controricorso il lavoratore; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, la società ricorrente deduce (art. 360, n.3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 1, legge n. 223/1991, in relazione alla delimitazione dell’ambito territoriale entro cui calcolare il numero di recessi utile ai fini all’applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi;
con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 1, della legge n. 223/1991, nonché della Direttiva 98/59/CE, in relazione alla definizione di unità produttiva, erroneamente identificata dalla Corte di merito;
con il terzo motivo, formulato in via subordinata, deduce (art. 360, n.3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 1, legge n. 223/1991 in relazione al momento della valutazione della presenza di una ‘unità produttiva’, erroneamente avvenuta ‘a valle’ dei recessi, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), per non avere la Corte di merito considerato che, fino alle operazioni di dismissione e esternalizzazione delle attività lo stabilimento di Pontinia (LT) era comunque e pacificamente una ‘unità produttiva’ pienamente autonoma;
con il quarto motivo, formulato in via ulteriormente gradata, deduce (art. 360, n.3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 1, 2, 4, 5 e 7 della legge n. 300/1970, relativamente all’illegittima applicazione delle conseguenze sanzionatorie di cui al primo e secondo comma, a seguito della mancata effettuazione della procedura per il licenziamento collettivo, anziché del comma quinto o, in via subordinata, quarto dell’art. 18 cit.;
i primi tre motivi, connessi perché tutti riguardanti l’applicazione dell’art. 24, comma 1, legge n. 223/1991, risultano inammissibili;
è condiviso il principio di questa Corte per il quale è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia, ma che miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte, Cass. S.U. n. 34476/2019, Cass. n. 8758/2017);
invero, la disposizione di cui all’art. 24 legge n. 223/1991, con l’utilizzo del termine ‘impresa’, ancor prima di quello di ‘unità produttiva’, ai fini dell’applicazione della speciale normativa sui licenziamenti collettivi, è espressione della volontà del legislatore di mantenere distinta e separata tale fattispecie da quella dei licenziamenti individuali; pertanto, il requisito dimensionale va valutato con riguardo alla globalità dell’impresa;
la distinzione tra le due fattispecie (licenziamento collettivo e licenziamento individuale, anche plurimo) è ben delineata e trova fondamento in ragione dei diversi interessi tutelati, nonché delle distinte esigenze che le due tipologie di
licenziamento disciplinano; i licenziamenti collettivi seguono l’obiettivo non solo di tutelare il lavoratore nella sua individualità, ma anche di adottare misure atte ad eliminare o ridurre l’impatto sociale del provvedimento intimato al complesso dei lavoratori, sicché la disciplina prevista dalla legge n. 223/1991 mira alla tutela di un interesse collettivo, o più precisamente alla tutela dell’occupazione, la quale esige, dunque, procedure più stringenti rispetto a quelle previste per il recesso individuale;
l’intensità dell’impatto sociale del provvedimento espulsivo collettivo assume un rilievo tale da ritenersi meritevole di un’autonoma e peculiare disciplina, e presuppone un controllo preventivo del sindacato, necessitando dunque di una verifica delle scelte del datore di lavoro e della legittimità della procedura sia ex ante che ex post ; e lo stesso ordinamento dell’Unione europea ha ravvisato l’esigenza di uniformare le disposizioni in ambito di licenziamenti collettivi tra gli Stati membri, in ragione della pregnanza degli interessi che vengono coinvolti in siffatte procedure, nonché al fine di calmierare e di evitare situazioni di crisi sociali derivanti dal numero dei lavoratori interessati dal provvedimento;
secondo il risalente e costante orientamento di questa Corte, dopo l’entrata in vigore della legge n. 223/1991, il licenziamento collettivo costituisce un istituto autonomo, che si distingue radicalmente dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo; nell’ambito di questa disciplina assume rilievo il mancato espletamento dell’iter procedurale (v., da ultimo, Cass. n. 1965/2023);
da tali premesse deriva la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la quale, ferma la regola generale di cui al primo comma dell’art. 5, legge n. 223/1991,
secondo cui “l’individuazione dei lavoratori da licenziare” deve avvenire avuto riguardo al “complesso aziendale” (cfr. Cass. n. 5373/2019, n. 2390/2022) , ha chiarito che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o RAGIONE_SOCIALE o sede territoriale, purché il datore indichi nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223/1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o RAGIONE_SOCIALE in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine; ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti; con la conseguenza che la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento è condizionata (cfr. Cass. n. 981/2020, n. 14800/2019) agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto, non potendo rappresentare l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma dovendo essere giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale adeguatamente esposte nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 223/1991, onde consentire alle 00.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere (cfr. Cass. n. 32387/2019, n. 203/2015, n. 880/2013, n. 22825/2009);
la sentenza gravata è coerente con i principi espressi da questa Corte in materia di distinzione tra licenziamenti individuali e procedure di licenziamento collettivo; nel caso di specie, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, è stato constatato il difetto di autonomia produttiva del sito di Pontinia, in base a elementi probatori riferiti agli assetti organizzativi e direttivi, debitamente valorizzati nella motivazione, con conseguente necessaria
applicazione della specifica procedura prescritta per i licenziamenti collettivi con riguardo alla riduzione del personale contestualmente programmata dall’impresa considerata nel suo insieme, traendone quindi le conseguenze conformi alla giurisprudenza di legittimità citata;
il quarto motivo di ricorso è fondato;
nel dichiarare l’inefficacia del licenziamento in esame, perché è stato intimato un recesso individuale in luogo dell’attivazione della procedura collettiva, la Corte di merito non ha tenuto conto del regime di tutela del lavoratore applicabile ratione temporis , ossia delle modifiche all’art. 18 legge n. 300/1970 ad opera della legge n. 92/2012;
sulla base di tale regime, questa Corte è pervenuta, in tema di licenziamenti collettivi, alla distinzione tra vizi sostanziali, che determinano la cd. tutela reintegratoria attenuata, e vizi formali, che determinano la cd. tutela indennitaria forte;
ad esempio, è stato osservato che la non corrispondenza al modello legale della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, costituisce ‘violazione delle procedure’ e dà luogo alla tutela indennitaria (ex art. 18, comma 7, terzo periodo, della l. n. 300 del 1970), quantificabile tra dodici e ventiquattro mensilità, previa dichiarazione di risoluzione del rapporto alla data del licenziamento; viceversa, la violazione dei criteri di scelta, illegittimi per violazione di legge ovvero illegittimamente applicati in difformità dalle previsioni legali o collettive, dà luogo all’annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità (ex art. 18, comma 4, della legge citata) (Cass. n. 2587/2018; conf. Cass. n. 19010/2018);
l’ipotesi in esame è riconducibile a violazione sostanziale delle procedure in materia di licenziamento collettivo (non attivate perché sostituite da licenziamento individuale, senza tenere conto della necessità di considerazione globale dell’impresa ai fini di tutela collettiva dell’occupazione), piuttosto che alla nullità per mancanza di forma scritta o per gli altri motivi elencati nel comma 1 dell’art. 18 cit., il cui accertamento comporta l’applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria nei limiti di cui ai commi 4 e 7 dell’art. 18 legge n. 300/1970 vigente ratione temporis ;
in relazione a tale motivo, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, per determinare la misura dell’indennità risarcitoria spettante nel caso concreto entro il limite massimo di legge, nonché per provvedere sulle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale del 13