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Licenziamento collettivo: illegittimo se limitato a 1 sede

La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo un licenziamento collettivo in cui la società aveva limitato la platea dei lavoratori da licenziare alla sola sede interessata dalla riorganizzazione. Secondo la Corte, in assenza di comprovate e oggettive ragioni tecnico-produttive che impediscano la comparazione, la scelta deve estendersi a tutti i dipendenti con profili professionali fungibili nell’intera azienda. La violazione di questo principio comporta la reintegrazione del lavoratore.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Collettivo: Illegittimo se la Scelta è Limitata a una Sola Sede Aziendale

Il licenziamento collettivo è uno strumento complesso, governato da regole precise per bilanciare le esigenze di riorganizzazione aziendale con la tutela dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4959/2024) ha ribadito un principio fondamentale: l’illegittimità della procedura qualora l’azienda limiti arbitrariamente la platea dei dipendenti da licenziare a una sola unità produttiva, senza dimostrare l’impossibilità di confrontare le loro posizioni con quelle di colleghi di altre sedi. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore delle telecomunicazioni avviava una procedura di licenziamento collettivo a seguito della decisione di chiudere una delle sue sedi operative. Tuttavia, nella comunicazione di avvio della procedura, l’azienda limitava la selezione del personale da licenziare esclusivamente ai dipendenti di quella specifica sede.

Un lavoratore, ritenendo illegittima tale limitazione, impugnava il licenziamento. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello gli davano ragione, dichiarando il licenziamento illegittimo e ordinando la sua reintegrazione nel posto di lavoro. La motivazione dei giudici di merito era chiara: la società non aveva fornito una giustificazione valida e oggettiva per non aver esteso la comparazione dei profili professionali anche ai dipendenti delle altre sedi, dove esistevano professionalità del tutto analoghe e fungibili. La società, insoddisfatta, ricorreva in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando integralmente le decisioni dei gradi precedenti. Gli Ermellini hanno consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in un licenziamento collettivo, la platea dei lavoratori tra cui operare la scelta deve includere l’intero complesso aziendale, a meno che non sussistano specifiche e comprovate esigenze tecnico-produttive che rendano oggettivamente impossibile la comparazione.

Le Motivazioni della Decisione sul Licenziamento Collettivo

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni pilastri giuridici fondamentali:

1. L’Onere della Prova sull’Azienda: Spetta al datore di lavoro dimostrare perché la comparazione dei dipendenti non possa essere estesa a livello nazionale. Non è sufficiente una motivazione generica o standardizzata, come quella basata sulla mera dislocazione geografica delle sedi. L’azienda deve provare che le professionalità presenti nella sede da chiudere non sono fungibili con quelle di altre sedi, o che un eventuale trasferimento comporterebbe oneri formativi eccessivi e complessi.

2. Il Principio della Fungibilità delle Mansioni: Nel caso di specie, è emerso che le competenze dei lavoratori della sede soppressa erano non solo comparabili ma anche utilizzabili in altri settori produttivi dell’azienda (spazio, difesa, automotive). Il passaggio tra settori non richiedeva una formazione particolarmente onerosa, rendendo quindi i profili professionali fungibili a livello aziendale.

3. La Violazione dei Criteri di Scelta e la Sanzione Reintegratoria: La Corte ha chiarito che limitare la platea dei lavoratori in modo ingiustificato costituisce una violazione diretta dei criteri di scelta imposti dalla legge (art. 5, L. 223/1991). Questa non è una mera irregolarità formale, ma un vizio sostanziale della procedura. Di conseguenza, la sanzione applicabile è la più severa prevista dall’ordinamento: la tutela reintegratoria, come stabilito dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. L’azienda è quindi tenuta a riammettere il dipendente in servizio e a corrispondergli un’indennità risarcitoria.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un principio di garanzia fondamentale per i lavoratori coinvolti in procedure di riduzione di personale. Per le aziende, il messaggio è inequivocabile: un licenziamento collettivo deve essere gestito con rigore e trasparenza. La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta a una singola unità produttiva è ammessa solo in via eccezionale e deve essere supportata da ragioni oggettive, specifiche e dimostrabili in giudizio. La semplice distanza geografica o la volontà di contenere i disagi organizzativi non sono motivazioni sufficienti per derogare alla regola generale della comparazione su scala aziendale. In caso contrario, il rischio è la declaratoria di illegittimità del licenziamento con le conseguenti e pesanti sanzioni economiche e normative.

In un licenziamento collettivo, un’azienda può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a una sola sede o unità produttiva?
No, di regola non può. La selezione deve avvenire confrontando tutti i dipendenti con profili professionali simili nell’intero complesso aziendale. La limitazione a una sola sede è consentita solo se l’azienda dimostra l’esistenza di oggettive e specifiche ragioni tecnico-produttive che rendano impossibile la comparazione con il personale di altre sedi.

Quali sono le conseguenze se un’azienda viola i criteri di scelta nel licenziamento collettivo, ad esempio limitando ingiustificatamente la platea dei dipendenti?
La conseguenza è la sanzione della tutela reintegratoria. Il licenziamento viene dichiarato illegittimo e il giudice ordina all’azienda di reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, oltre a condannarla al pagamento di un risarcimento del danno, come previsto dall’art. 18 della Legge n. 300/1970.

Chi deve dimostrare che le professionalità tra diverse sedi aziendali non sono comparabili?
L’onere della prova spetta interamente al datore di lavoro. È l’azienda che deve fornire prove concrete e specifiche del fatto che le competenze e le mansioni dei dipendenti della sede soppressa non sono fungibili con quelle dei colleghi di altre sedi, giustificando così la limitazione della platea di selezione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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