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Licenziamento collettivo: illegittimo se la platea è limitata

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1970/2024, ha confermato l’illegittimità di un licenziamento collettivo in cui un’azienda aveva limitato la platea dei lavoratori da licenziare alla sola sede oggetto di chiusura, ignorando la presenza di professionalità fungibili in altre unità produttive. Tale limitazione costituisce una violazione dei criteri di scelta legali e comporta il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento collettivo: illegittimo senza confronto tra tutte le sedi

L’ordinanza n. 1970/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di licenziamento collettivo: la corretta determinazione della platea dei lavoratori tra cui operare la scelta. La Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: l’azienda non può limitare arbitrariamente il confronto ai soli dipendenti della sede da chiudere se esistono professionalità simili in altre unità produttive. Una decisione che rafforza le tutele per i lavoratori e chiarisce gli obblighi del datore di lavoro nelle procedure di ristrutturazione.

Il caso: chiusura di una sede e licenziamento di tutti i dipendenti

Una società operante nel settore tecnologico decideva di chiudere una delle sue sedi, avviando una procedura di licenziamento collettivo che coinvolgeva tutto il personale di quella specifica unità produttiva. Un lavoratore impugnava il licenziamento, sostenendo che l’azienda avesse illegittimamente ristretto la platea di comparazione alla sola sede in chiusura. Sia in primo grado che in appello, i giudici davano ragione al dipendente, dichiarando il licenziamento illegittimo e ordinando la sua reintegrazione.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva accertato che:
1. La motivazione addotta dall’azienda per limitare la platea era generica e standardizzata, basata unicamente sulla dislocazione geografica.
2. Esistevano in altre sedi aziendali professionalità del tutto comparabili a quelle dei lavoratori licenziati.
3. Le competenze dei dipendenti della sede chiusa erano fungibili e utilizzabili in altri settori produttivi della società, senza la necessità di una formazione eccessivamente onerosa.

Di fronte a questa decisione, la società proponeva ricorso in Cassazione, basandosi su diversi motivi, tra cui la presunta violazione delle norme sulla determinazione della platea e l’errata applicazione della sanzione reintegratoria.

La decisione della Cassazione sul licenziamento collettivo

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno riaffermato i principi consolidati della loro giurisprudenza in materia di licenziamento collettivo, chiarendo che la scelta dei lavoratori da licenziare deve avvenire nel rispetto rigoroso dei criteri di legge, applicati su una platea correttamente identificata.

La corretta individuazione della platea aziendale

Il punto centrale della controversia era se fosse legittimo limitare la platea dei lavoratori da comparare alla sola unità produttiva soppressa. La Cassazione risponde con un netto no. Quando le esigenze di ristrutturazione non sono legate a specifiche e infungibili professionalità presenti solo in una determinata sede, il datore di lavoro ha l’obbligo di estendere la comparazione a tutto il personale dell’azienda che svolge mansioni equivalenti.

L’obiettivo della normativa, spiegano i giudici, è quello di minimizzare l’impatto sociale dei licenziamenti. Pertanto, l’eventuale aggravio di costi o i disagi organizzativi derivanti dal trasferimento di personale da una sede all’altra non sono ragioni sufficienti a giustificare una deroga a questo principio.

La violazione dei criteri di scelta e la tutela reintegratoria

La Corte ha qualificato la limitazione unilaterale e ingiustificata della platea come una vera e propria violazione dei criteri di scelta previsti dalla Legge n. 223/1991. Non si tratta di un mero vizio formale della procedura, ma di un vizio sostanziale che incide direttamente sulla selezione dei lavoratori da espellere.

Di conseguenza, la sanzione applicabile non può che essere quella della tutela reintegratoria, prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. La scelta di licenziare tutti i dipendenti di una sede senza confrontarli con i colleghi di altre unità con mansioni fungibili rende il licenziamento radicalmente illegittimo, imponendo il ripristino del rapporto di lavoro.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. I giudici hanno sottolineato che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità deve indicare in modo trasparente e non generico le ragioni tecnico-produttive che giustificano l’eventuale limitazione della platea. Nel caso di specie, la motivazione dell’azienda era stata ritenuta standardizzata e insufficiente, poiché non teneva conto del livello professionale e delle competenze dei singoli lavoratori, facilmente ricollocabili in altre sedi. La Corte ha inoltre evidenziato come l’onere di provare l’infungibilità delle mansioni e l’impossibilità di una comparazione allargata spetti al datore di lavoro, prova che nel caso specifico non era stata fornita. La decisione di limitare la platea alla sola appartenenza territoriale è stata considerata una violazione diretta dei criteri di scelta, rendendo applicabile la massima tutela per il lavoratore.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un’importante conferma a tutela dei diritti dei lavoratori coinvolti in procedure di licenziamento collettivo. Per le aziende, emerge un chiaro monito: le decisioni di ristrutturazione devono essere gestite con la massima trasparenza e nel rispetto sostanziale delle norme. La selezione del personale da licenziare non può basarsi su comode scorciatoie, come la chiusura di un’intera filiale, ma deve sempre fondarsi su un’analisi comparativa estesa a tutta la realtà aziendale, al fine di individuare i lavoratori da licenziare secondo i criteri oggettivi di legge (carichi di famiglia, anzianità di servizio, esigenze tecnico-produttive), garantendo così equità e riducendo al minimo l’impatto sociale dei licenziamenti.

In un licenziamento collettivo, un’azienda può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare solo a quelli di una specifica sede che sta chiudendo?
No. La Corte ha stabilito che la platea dei lavoratori tra cui scegliere deve estendersi a tutta l’azienda se esistono professionalità fungibili o comparabili in altre sedi, anche se geograficamente distanti. La limitazione è possibile solo se le esigenze tecnico-produttive sono specificamente collegate alle professionalità infungibili presenti solo in quella sede.

Qual è la conseguenza se l’azienda viola i criteri di scelta limitando ingiustificatamente la platea dei lavoratori?
La conseguenza è l’applicazione della tutela reintegratoria, come previsto dall’art. 18 della Legge n. 300/1970. Il licenziamento viene considerato illegittimo per violazione dei criteri di scelta, che è un vizio sostanziale, e non per un semplice errore formale nella procedura.

L’eventuale costo o disagio per trasferire i dipendenti da una sede all’altra giustifica la limitazione della platea?
No. La Corte ha ribadito che l’eventuale aggravio di costi per l’azienda, derivante dal trasferimento di personale, non è un motivo sufficiente per derogare alla regola legale che impone di applicare i criteri di scelta sulla platea più ampia possibile per minimizzare l’impatto sociale dei licenziamenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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