Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20532 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20532 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9876-2022 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 435/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2022 R.G.N. 2587/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
La RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con lettera del 24 giugno 2019, avviava una procedura di licenziamento
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
CC
collettivo con riguardo a n. 816 dipendenti il cui numero, per ciascuna unità produttiva, era stato indicato nel prospetto riepilogativo allegato.
Tale procedura era stata iniziata a causa della oggettiva impossibilità di continuare ad espletare il servizio di call center RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE della Regione Lazio, avendo la RAGIONE_SOCIALE perso l’appalto per lo svolgimento di tale servizio. Con successiva lettera dell’11.7.2019, a seguito del primo verbale di incontro sindacale del 3.7.2019, la RAGIONE_SOCIALE rendeva edotte le OO.SS. dell’intenzione di procedere a licenziamento nell’ambito della Regione Lazio, provvedendo a comunicare, in data 30.8.2019, l’elenco dei possibili esuberi. Nel verbale di mancato accordo del 2.9.2019 la RAGIONE_SOCIALE precisava che tutti i lavoratori addetti al menzionato appalto dovevano ritenersi esuberi strutturali, così come lo era una serie di unità lavorative dettagliatamente descritte e relative ad altri settori aziendali attualmente sovradimensionati. Tra gli altri dipendenti veniva intimato il licenziamento a COGNOME NOME, assunto con qualifica di impiegato e che svolgeva attività di piccola manutenzione di tipo idraulico, elettrico ed edile e, allorché operava presso la sede di Frosinone, anche parte dell’attività di accoglienza; la sede operativa di Frosinone, alla quale era assegnato il COGNOME, era stata dismessa in data 26.8.2019 ed il dipendente non aveva, secondo la società, mai comunicato di avere contratto matrimonio nel febbraio 2019 né di avere familiari a carico.
Il Tribunale di Roma, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92/2012, dichiarava l’illegittimità del licenziamento rilevando che nella lettera di avvio della procedura di mobilità, a differenza di quanto successivamente stabilito, non era stata indicata la limitazione del perimetro degli esuberi al personale occupato presso le sedi operative site nella Regione Lazio e che la RAGIONE_SOCIALE aveva errato nella individuazione del lavoratore quale soggetto da licenziare, avendo confrontato la posizione lavorativa dello stesso con riferimento esclusivo alle mansioni di ordinaria manutenzione e non anche con quelle di
addetto all’accoglienza ancora presenti presso analoghe commesse ancora in atto presso altre Regioni.
Sul reclamo della società la Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 435 del 2022, rigettava il gravame precisando, però, da un lato, che la società ben poteva, all’esito dell’incontro del 3.7.2019, ridurre la platea dei lavoratori licenziabili a quelli in servizio nella sede della Regione Lazio, differentemente da quanto indicato nella lettera di avvio della procedura di mobilità; dall’altro, che illegittimamente la posizione del COGNOME non era stata comparata come quella degli altri dipendenti in servizio nella Regione Lazio, addetti allo svolgimento di mansioni fungibili con quelle svolte dallo stesso.
Per la cassazione di tale sentenza la società proponeva ricorso affidato ad un articolato motivo; resisteva il lavoratore con controricorso.
Le parti depositavano memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con il motivo di ricorso la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 5 della legge n. 223/91, in combinato disposto con l’art. 115 cpc e l’art. 41 Cost., per avere, in primo luogo, la Corte territoriale erroneamente accertato la fungibilità delle mansioni svolte dal COGNOME con quelle eseguite da altri dipendenti in servizio presso unità operative site nella Regione Lazio, non avendo il lavoratore assolto a tale onere probatorio; in secondo luogo, per avere la Corte territoriale erroneamente esteso l’ambito di comparazione a tutti i dipendenti in servizio nelle unità operative di RAGIONE_SOCIALE site nella Regione Lazio, in particolare agli addetti alle pulizie e al magazzino, di medesimo livello di inquadramento contrattuale del COGNOME, facendo quindi riferimento alla categoria di inquadramento e non invece al profilo professionale dei lavoratori.
Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Sono inammissibili tutte le doglianze articolate nel motivo dirette ad una richiesta di una nuova ricostruzione della vicenda di cui è processo.
E’ un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 29867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).
Inoltre, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici, come detto nel caso in esame, sono stati comunque presi in considerazione (Cass. n. 19881/2014; Cass. n. 27415/2018) avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente sulla problematica in ordine alla fungibilità delle mansioni svolte dal COGNOME attraverso l’analisi dele risultanze processuali.
Sotto questo, profilo deve, poi, osservarsi, da un lato, che si verte in una ipotesi di c.d. doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5 cpc ove la ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse fossero tra loro diverse; dall’altro, è opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Il motivo è, invece, infondato in ordine alla censura riguardante il fatto che il lavoratore non aveva assolto l’onere allegatorio su di esso gravante di dimostrare la fungibilità delle sue mansioni rispetto a quelle svolte da lavoratori non licenziati.
E’ opportuno premettere che, nel caso de quo , i giudici di merito hanno specificato che il COGNOME aveva allegato, nel ricorso introduttivo della prima fase del giudizio di primo grado, di avere svolto ‘mansioni altamente fungibili, nell’ambito del livello di inquadramento richiesto, avendo partecipato, su richiesta della società, a vari corsi di formazione professionale ; in particolare, egli ha svolto mansioni di pulizia, logistica e sicurezza…’ . Gli stessi giudici hanno poi specificato che la società si era limitata a lamentare che la sentenza impugnata non avesse spiegato le ragioni per le quali il COGNOME non sarebbe stato in grado di espletare mansioni proprie dell’addetto al magazzino o dell’addetto alle pulizie, come pure che, in ogni caso, le mansioni dallo stesso svolte con prevalenza non potevano essere considerate equivalenti a quelle testè indicate, senza tuttavia in alcun modo esplicitare, a fronte della pacifica riconducibilità delle stesse al medesimo livello di inquadramento contrattuale, le ragioni di tale pretesa esclusione.
In questo ragionamento logico-giuridico i suddetti giudici hanno, quindi, considerato rilevante il complessivo bagaglio
di esperienze e conoscenze acquisito dal lavoratore nel corso del rapporto di lavoro e hanno ritenuto non contestate le circostanze circa la esistenza di posizioni lavorative analoghe a quelle del COGNOME da assoggettare a comparazione.
Tale operazione è corretta in punto di diritto perché conforme all’orientamento di questa Corte (Cass. n. 6086/2021) in virtù del quale, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la comparazione tra lavoratori di professionalità equivalente addetti a diverse unità produttive deve tener conto non solo delle mansioni concretamente svolte in quel momento, ma anche della capacità professionale degli addetti ai settori da sopprimere, mettendo quindi a confronto tutti coloro che siano in grado di svolgere le mansioni proprie dei settori che sopravvivono, indipendentemente dal fatto che in concreto non le esercitino al momento del licenziamento collettivo. Ciò in quanto in quanto la fungibilità, nella comparazione dei lavoratori da licenziare, implica la necessità di ricostruzione del complessivo bagaglio di esperienza e conoscenza del lavoratore onde verificare la effettiva sussistenza di professionalità omogenee da mettere a confronto; la relativa esclusione non può, pertanto, essere ancorata solo all’esclusivo riferimento ai compiti svolti in concreto dalla lavoratrice, occorrendo una più complessiva valutazione della sua professionalità che tenga conto delle esperienze pregresse, della formazione, del bagaglio di conoscenze acquisito (Cass. n. 24882/2019).
Inoltre, è stato affermato che ove la ristrutturazione della azienda interessi una specifica unità produttiva o un settore, la comparazione dei lavoratori per l’individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quella unità o a quel settore, salvo l’idoneità dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti della azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti, spettando ai lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni (Cass. n. 6296/2022).
Non vi è stata, pertanto, da parte della Corte territoriale alcuna violazione del principio dell’onere della prova,
come denunciato dalla ricorrente, ma solo un esame delle allegazioni (non efficacemente ed adeguatamente contrastate dalla datrice di lavoro e, quindi, ritenute non contestate) da cui era emerso che il complessivo bagaglio di esperienze e conoscenze acquisito dal lavoratore nel corso del rapporto di lavoro era fungibile con quello di altri dipendenti in servizio nella Regione Lazio e non licenziati e tale mancata comparazione si era tradotta nella non corretta applicazione dei criteri di scelta.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2024