Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1360 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1360 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17137-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 442/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 13/04/2021 R.G.N. 1172/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
R.G.N. 17137/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 22/10/2024
CC
la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 1 aprile 2021, ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, con la quale, per quanto qui rileva, era stata accertata l’illegittimità del licenziamento intimato a NOME COGNOME nell’ambito di una procedura di mobilità avviata dalla RAGIONE_SOCIALE ex artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991.
La corte ha ritenuto che il licenziamento fosse illegittimo per la violazione della procedura di comunicazione di cui all’art. 4, comma 9 della Legge n. 223/1991, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE contestualmente all’invio delle lettere di licenziamento ai pri mi trentadue dipendenti il 2 maggio 2019, non aveva, nella comunicazione alle OO.SS. e agli enti competenti, indicato il numero e i nominativi dei lavoratori coinvolti nella procedura di mobilità e non aveva consentito alle parti sociali e alle amministrazioni interessate il controllo, primario obiettivo delle medesime comunicazioni, sui criteri di selezione applicati, in particolare quello della “vicinanza al pensionamento”, previsto dall’accordo sindacale dell’11 febbraio 2019.
Sul rilievo che l’art. 4 della Legge n. 223/1991 impone alle imprese precise prescrizioni formali e procedurali per la gestione dei licenziamenti collettivi, la corte ha evidenziato come la RAGIONE_SOCIALE non avesse rispettato tali prescrizioni, in quanto la comunicazione inviata alle autorità competenti e alle OO.SS. non conteneva tutti i nominativi dei lavoratori posti in mobilità entro i sette giorni successivi al licenziamento, come previsto dalla norma in esame, né conteneva un’adeguata specificazione dei punteggi attribuiti ai lavoratori sulla base dei criteri di scelta, limitando così la trasparenza e l’efficacia del controllo sindacale. Neppure valevano a sanare la dedotta omissione, ha ritenuto la corte, le successive comunicazioni del 6 e del 14 maggio 2019 che nella prospettiva del datore di lavoro avrebbero integrato la
comunicazione iniziale, poiché anch’esse risultavano carenti nella descrizione dei criteri di selezione, in particolare riguardo alla verifica dell’anzianità contributiva, elemento cruciale per l’applicazione del criterio della vicinanza al pensionamento, come stabilito nell’accordo dell’11 febbraio 2019.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE con un motivo, cui resiste con controricorso NOME COGNOME al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con un unico articolato motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, della Legge n. 223/1991, in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Palermo, avendo erroneamente ritenuto che la comunicazione prevista dalla norma in questione potesse essere inviata solo dopo l’invio delle lettere di licenziamento, e che non fosse sufficiente l’allegazione della graduatoria di tutti i dipendenti della Ksm, con l’indicazione dei punteggi attribuiti a ciascuno di essi, e l’indicazione dell’applicazione al sig. Scorsone del criterio della pensionabilità, ma si dovesse immediatamente indicare anche i lavoratori in concreto licenziati, poiché tale omissione avrebbe viziato la procedura impedendo un controllo adeguato sulla corretta applicazione dei criteri di scelta.
Nella prospettiva della ricorrente la comunicazione iniziale, che conteneva i criteri generali di scelta adottati, era idonea a rispettare la procedura poiché contestuale all’invio delle graduatorie con i punteggi assegnati ai lavoratori, e non poteva ravvisarsi l’obbligo di indicare immediatamente i nominativi di tutti i lavoratori posti in mobilità, elenco peraltro inviato con la comunicazione successiva del maggio 2019, circostanza che
avrebbe sanato le eventuali carenze della comunicazione iniziale, non comportando una violazione della norma.
La ricorrente si duole che la Corte d’Appello ha fornito un’interpretazione eccessivamente restrittiva della norma la cui unica finalità sarebbe di permettere un controllo da parte delle organizzazioni sindacali e delle autorità competenti sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, senza l’obbl igo di indicare immediatamente e contestualmente tutte le informazioni.
Nella prospettazione della ricorrente, l’inosservanza delle formalità previste dall’art. 4, comma 9, della Legge n. 223/1991, non determina automaticamente l’illegittimità del licenziamento collettivo, poiché il vizio sarebbe di natura formale e non avrebbe inciso concretamente sulla trasparenza della procedura o sul diritto di controllo da parte delle organizzazioni sindacali. Nel caso di specie, secondo la ricorrente, il criterio della “vicinanza al pensionamento”, come stabilito nell’accordo sindacale dell’11 febbraio 2019, sarebbe stato correttamente applicato e la documentazione successiva avrebbe fornito tutte le informazioni necessarie per un controllo adeguato.
4.Il motivo è infondato.
Questa corte ha avuto modo di evidenziare in analoghe vicende, anche riferite alla medesima azienda (sia pure relative ad altra procedura, cfr. ex multis, Cass. 3554/2023) che la disciplina dettata dalla legge n. 223 del 1991 in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale rappresenta una garanzia, di natura essenzialmente procedimentale, destinata ad operare su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individualiassolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere ma altresì di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la
previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro (Cass. n. 19618 del 2011; Cass. n. 15694 del 2009).
4.1. In particolare, la comunicazione di cui all’art.4, comma 9 della legge n. 223 del 1991, che fa obbligo di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, è finalizzata a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti (Cass. n. 12344 del 2015, Cass. n. 19320 del 2016). Essa cristallizza anche le ragioni del recesso, non consentendo al datore di lavoro di dedurre in giudizio, ex post, l’applicazione di modalità della scelta diverse da quelle risultanti dalla citata comunicazione. A tal fine, quindi, l’esigenza di consentire il controllo (contestuale e successivo) impone che non solo i criteri, ma anche i presupposti fattuali sulla base dei quali i criteri sono stati applicati risultino ricavabili dalla comunicazione. La valutazione dell’adeguatezza della comunicazione costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito (così, con riferimento alla comunicazione, di apertura della procedura, Cass. n. 2113 del 2016).
4.2 Come noto, nell’art. 4, nono comma, legge n. 223/1991, la parola “contestualmente” è stata sostituita dall’art. 1, quarto comma, legge n. 92/2012, con le parole “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”, mentre l’art. 2, comma 72 della stessa legge ha modificato il primo comma dell’art. 4 della legge n. 223/91 (secondo cui “L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrere a misure alternative, ha facoltà
di avviare le “procedure di mobilità” ai sensi del presente articolo”), sostituendo le parole “le procedure di mobilità” con le parole “la procedura di licenziamento collettivo”. E il dodicesimo comma dello stesso art. 4 ha disposto poi che “le comunicazioni di cui al nono comma sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l’osservanza della forma prescritta delle procedure previste dal presente articolo”;
4.3. secondo il consolidato orientamento di questa Corte, elaborato con riguardo al testo precedente le modifiche del 2012 (cfr., in particolare, Cass. n. 23736 del 2016), il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza può non determinarne l’inefficacia, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare dal datore di lavoro (Cass. n. 1722 del 2009; Cass. n. 16776 del 2009; Cass. n. 7490 del 2011); contestualità, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, giustificata dallo scopo di consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei criteri di scelta da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione; l’orientamento consolidato richiam ato ha, dunque, respinto una nozione “elastica” di contestualità (Cass. n. 8680 del 2015; Cass. n. 22024 del 20/15);
4.4. tale interpretazione rigorosa è stata ribadita anche con riguardo al termine di sette giorni previsto dall’art. 4, nono
comma, legge n. 223/1991 (novellato dalla legge n. 92/2012), per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alla Commissione regionale per l’impiego nonché alle organizzazioni sindacali, termine che deve intendersi come cogente e perentorio (Cass. n. 29183 del 2018; Cass. n. 25807 del 2019). In particolare, tali ultime sentenze hanno affermato come il carattere cogente e perentorio del termine comporti, in caso di violazione, l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione, considerato l’obiettivo (il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale del procedimento, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo spatium deliberandi riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui all’art. 6 della legge n. 604/1966) perseguito dal legislatore con tale prescrizione e scansione temporale;
4.5. E’ stato anche chiarito (Cass. 9800/2022) come la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare dei dati relativi ai carichi di famiglia e della concreta traduzione, per ciascun lavoratore, dei punteggi ricollegati -astrattamente -ai criteri selezionati (anzianità di famiglia, esigenze tecnico produttive ed organizzative, carichi di famiglia), rende illegittima la procedura poiché impedisce ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offrendo alcun parametro comparativo, rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, correttamente applicando i suddetti principi, ha accertato, e congruamente argomentato che la comunicazione del 2.5.2019, ai sensi del cit.
art. 4, comma 9, legge 223/1991, inviata all’Ufficio Provinciale del Lavoro e alle associazioni sindacali contestualmente all’invio delle lettere di licenziamento ai primi 32 dipendenti, non appare conforme ai principi di quei parametri di ‘trasparenza informativa, completezza contenutistica e rigidità procedurale prescritti dal a normativa di settore…. perché nella stessa non è assolutamente indicato il numero dei soggetti effettivamente posti in mobilità’.
La corte ha pure evidenziato a pag. 6 che ‘in ogni caso, anche a volere prendere in considerazione, quali altrettante comunicazioni finali ex art. 4 comma 9, le successive comunicazioni del 6.5.2019 (contenente l’elenco dei primi lavoratori licenziati il 2.5.2019) e quella del 14.5.2019 (contenente l’elenco degli ulteriori dipendenti licenziati nel la stessa data), neanch’esse sono in grado di assolvere pienamente agli oneri informativi di cui s’è detto, né isolatamente considerate né lette quali integrazioni della precedente comunicazione del 2.5.2019’ poiché l’elenco con esse trasmesso ‘non dà minimamente conto della corretta applicazione dei criteri di scelta ai fini della loro individuazione, non contenendo alcun riferimento ai punteggi attribuiti’.
Ha poi chiarito la sentenza impugnata che neppure la comparazione con le graduatorie comunicate il 2.5.2019 era sufficiente a colmare la lacuna informativa, vista la l’omissione del dato dell’anzianità contributiva utile a verificare il criterio della vicinanza alla pensione scelto per individuare i lavoratori da licenziare.
Tale argomentato accertamento resiste alla censura della ricorrente e conduce al rigetto del ricorso, per infondatezza, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario in base alla sua richiesta, nonché raddoppio del contributo
unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. S.U. n. 23535 del 2019);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2024